venerdì 5 marzo 2021

Sanremo: nota n.2

Come ormai noto, anche gli ascolti della terza serata sono stati "deludenti" per usare un eufemismo. Facciamo fatica ad associarci a  quanti con facilità sparano sulla Croce Rossa. Però una nota la mettiamo da parte per quando si dovranno tirare i conti di questo evento.

Parliamo ancora del pubblico. La terza serata era destinata, supponiamo, al pubblico "adulto" (giacché gli "anziani" si sono già addormentati da un pezzo con lo spettacolo che è terminato oltre le due di notte). La partenza è stata fulminante e significativa: i Negramaro con un omaggio a Lucio Dalla per poi arrivare a Rosamunda, un passaggio d'obbligo con Orietta Berti, citazioni colte di Guccini e dei Nomadi e così via. Poteva anche bastare  ai quei famosi "cinquantatreenni" tanto ricercati. Eppure, così non è stato. 

Il passaggio dalla musica "indie" a quella nazional popolare non sembra avvenuto. La "mutazione genetica" non è avvenuta. Complice, dicono, anche la contemporanea presenza delle partite di campionato che, si sa, attraggono sempre una buona fetta di pubblico, prevalentemente maschile, forse poco acculturato.

La sola notazione che proponiamo si riferisce, appunto, alla pervicace ostinazione con la quale si ricerca, e si trova, la confusione. Rai Uno sembra sempre più un ibrido privo di identità e quella poca che gli rimane è attaccata alle fiction con l'Attack. Lo spettacolo leggero in prima serata, l'intrattenimento musicale dei talent è saldamente nelle mani di Mediaset che hanno formato, forgiato, educato, un pubblico che non si lascia ingannare dalle mezze misure. 

Il problema di questo Sanremo, di quello che "non sarà più come prima" è semplicemente nell'aver voluto riproporre lo stesso schema degli anni precedenti, come se nulla fosse avvenuto prima e non tanto e non solo a causa del Covid, quanto nell'insieme dei comportamenti individuali e collettivi che il "nuovo pubblico" sta assumendo. Non è più solo un problema di numeri, di  quantità, ma di qualità. Sanremo, forse non sarà più come prima non perché ha avuto pochi ascolti ma perché non sembra più in grado di intercettare i cambiamenti sociali in corso, non rappresenta più la "coesione sociale" del Paese. Anzi, per certi aspetti evidenzia le fratture e le diversità di comportamenti e scelte di prodotti, contenuti e piattaforme di fruizione.

Su questo argomento, ieri un attento e autorevole lettore ha commentato il post: "L'aumento della platea giovanile e il relativo ridimensionamento dei 50enni credo aumentino il valore del festival in termini di coesione sociale, non il contrario. Prima era troppo sbilanciato a favore degli anziani. Caso mai è il calo complessivo a creare problemi". Condividiamo solo una parte del suo pensiero: è il calo complessivo della platea televisiva a creare problemi. E' vero ed è noto da tempo.  

Per il resto, dallo scorso anno si è aperto un dibattito su cosa è e come si misura la coesione sociale di un programma televisivo. Argomento assai complesso sul quale non ci sono unanimi pareri. Per quanto noto, non esiste un "metro" consolidato e condiviso. Ci sono solo diversi approcci e metodologie. Può essere utile leggere la  recente pubblicazione curata dall'Ufficio Studi Rai dove si articola bene questo concetto. 

                                                                            bloggorai@gmail.com

1 commento:

  1. Forse qualche secondo lo dedicherei all’unica realtà che concretamente sta cambiando il mondo : la pandemia.Dopo un anno di contagio e di lockdown la tv non è più una piazza dove trovarsi ma un reticolo di vicoli in cui disperdersi ,con le piattaforme streaming a profilare e selezionate gusti e attenzione .Io trovo fin troppo il dato audience e penso che il ringiovanimento spinga pubblicitari e programmisti a sudare molto oer tenere o rimpiazzerei una platea instabile e irrequieta quale quella che ha usato i propri scampoli di tempo
    Libero dalla saturazione digitale per provare l’ebrezza di Sanremo

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