La giornata comincia storta sia per la pioggia e sia per la lettura
dei giornali. La rassegna stampa è inquietante: ci aspetta tanta roba e, in
testa, campeggiano i titoli sui prossimi conduttori di Sanremo con un brivido che corre acido e sottile
lungo la schiena: saranno tutti “garantiti” Doc e a chiudere ci sarà Fiorello. Brrrrrrr
… un sospiro di sollievo.. Andiamo avanti e … zacchete … leggiamo di Pier
Silvio Berlusconi che gongola: “Mediaset
si sta infatti avviando a chiudere l’anno come primo gruppo televisivo italiano
per ascolti su tutto il pubblico: 38,3% di share nelle 24 ore
contro il 35,6% della Rai”. Porca miseria! Ci torna in mente un pensiero
nostalgico, ahhhh bei temi andati, quando recentemente l’Ufficio Stampa Rai diffondeva
uno nota dove si inneggiava “Mai in discussione leadership del servizio
pubblico” (2 novembre u.s.). Qualcuno
pesca nel torbido.
Avevamo in mente un
bel Post sulla “nuova narrazione” del Paese che i “nuovi programmi” di
approfondimento, di inchiesta (sic!) e di intrattenimento socio/politico stanno mandando in onda sugli schermi RAI. Ce lo
teniamo in serbo.
Andiamo, è tempo di migrare e ci dirigiamo verso l’Assemblea per i 10 anni di Confindustria RadioTv dove, guarda caso, prima interviene (legge il “gobbo”) la presidente Rai Marinella Soldi e, a seguire, l’unico che interviene a braccio, sorridente e accattivante ancora lui: Pier Silvio. La relazione del presidente Siddi è ricca di spunti e ci vorrebbero tre o quattro pagine di Bloggorai per affrontarli tutte. Il ritornello, il filo conduttore è binario: da un lato il confronto tra la televisione “tradizionale” universale, generalista e digitale terrestre e dall’altro le piattaforme, lo streaming, le nuove modalità di fruizione del mezzo e dei contenuti che incombono. Un termine spesso usato è resilienza che, più o meno, sta a dire “mi piego ma non mi spezzo”. Il “mezzo” tv ancora resiste, richiede “supporti” (altro temine spesso usato) normativi ma anzitutto economici (il famigerato tax credit esteso anche ai broadcasters). Questo è l’altro aspetto che ha tenuto banco: le risorse, poche per tutti, specie sul fronte della pubblicità che è e sarà il campo di battaglia dove le emittenti soccomberanno o sopravvivranno. Certo, poi ci sono le normative, i famigerati lacci e laccioli, specie imposti da Bruxelles con cui, però, si dialoga. E la RAI? Bella domanda. Dipende, vedremo, chissà. Da che dipende? Dipende dalla politica anzitutto che annaspa a brancola nel buio. Nel migliore dei casi si limita a intervenire sul canone (e se ne guarda bene dal toccare il famigerato extragettito che spetterebbe alla RAI) ma non gli si chieda di progetti e visioni di cosa dovrebbe essere l’Azienda di Servizio Pubblico prossimo venturo. Lasciamo perdere. La riflessione binaria scorre veloce e rimane un dubbio atroce: per quanto tempo ancora la televisione resisterà all’assalto del futuro che incombe ? Tanto per capirci: è stato fatto il riferimento al tema della “prominence” (la posizione dei tasti sul telecomando che nelle nuove smart tv ha visto sparire i numeri dei canali per lasciare posto ai logo delle piattaforme). Battaglia già persa? Il colosso sudocreano ha dettato una regola dalla quale non si torna più indietro? Abbiamo idea che sia così: si tratta solo di capire quando succederà il sorpasso definitivo e conclusivo della partita. Per rimanere sul tema, questa mattina ci è stato ricordato che a Dubai si dibatte sul futuro delle frequenze ”… della cosiddetta banda sb-700 attualmente utilizzata dalla Tv”. E se a Dubai, malauguratamente, si decidesse che quelle frequenze dovranno essere destinata alle TLC a scapito dei broadcasters? Boh !!! la BBC ha cominciato ad occuparsene nel 2017. Ci sarebbe tanto ancora da riferire però fuori ha smesso di piovere … la giornata ancora è lunga.
Pomeriggio, scena seconda. Abbiamo intuito che sarà complicata da descrivere e sintetizzare con poche battute: bisogna andare, esserci, osservare le movenze, gli sguardi, le battute per capire. Non sarà, forse, una data storica però … però… qualcuno lo teme. L’appuntamento è per la presentazione della nuova Associazione (non ancora sindacato) denominata AgiRAI (Associazione Liberi Giornalisti RAI). Il tema proposto è legittimamente ambizioso “La RAI che verrà, insieme per il cambiamento”. E già … si tratta del clamoroso “nuovo che avanza” ovvero di coloro che vanno speditamente a coprire la voragine lasciata da chi li ha preceduti, sindacato o meno che sia. In sala tanta gente, un pizzico di entusiasmo con “ … anvedi quanti semo …” e tanti volti noti, non proprio freschi di giornata (la vera vecchia destra di una volta a Viale Mazzini… quella che ha mangiato pane e politica dalla sua più tenera età).
Diciamo pure che abbiamo sentito parlare tanto di “cambiamento” . Tutti vorrebbero cambiare ma pochi sanno cosa, dove e quando. Come pure “difendiamo il Servizio Pubblico”. Va bene, ok, siamo d’accordo. È stato scritto, erroneamente, che si tratta della “nuova destra di Governo” che ha preso piede in RAI da qualche mese. Da qualche mese? Anzitutto di “nuovo” abbiamo visto ben poco, a partire dalla “benedizione” di Bruno Vespa e, a seguire, dall’entusiasmo di altri “giovani” raiofoni alla Giorgino per intenderci, in buona compagnia di tutti i “nuovi” (tanti) direttori che compongono l’organigramma di quanti sono o si presume che siano, bene che vada, di “area” o in “quota”governativa (alla Pionati o alla Chiocci, per intenderci). Prima sono comparsi in scena tutti i “direttori” pesanti , quelli che contano, di “genere” e testate, felici di esserci e di sentirsi tutti insieme, plasticamente riuniti sotto lo stesso tetto. Poi è stata la volta della “politica” ma questo è un capitolo a parte. Merita un altro convegno.
Chiudiamo: si commette un grave errore a liquidare tutto con facili battute e sommarie allegorie sul senso e il significato di questa iniziativa. Quello andato in onda oggi pomeriggio è stato un appuntamento importante, del quale non si potrà fare a meno di tenere in debita considerazione per il prossimo futuro che attende la RAI. Ne riparleremo.
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