Nel Mare del Nulla, nel Fiume del Niente e nel Torrente del Poco proviamo a tirare su qualcosa di dignitoso sul quale riflettere e dibattere. Magari, in attesa che Draghi, o chi per lui, avrà la compiacenza di far sapere all’italico popolo cosa pensa delle telecomunicazioni, del mercato degli audiovisivi, del Servizio Pubblico e, infine, della Rai.
Prima però
necessario dar conto di due notizie: la prima è relativa alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge Sostegni, dove, all’art. 6, si legge “5.
Per l’anno 2021, per le strutture ricettive nonché di somministrazione e
consumo di bevande in locali pubblici o aperti al pubblico il canone di
abbonamento alle radioaudizioni… è ridotto del 30 per cento”. Si tratta di un
intervento, a carico dello Stato, di circa 25 mln di Euro per il cosiddetto “canone
speciale” che, a bilancio 2019, vale per Rai oltre 80 mln di Euro. La vera, grande
novità è che questi soldi che verranno erogati a Rai “in compensazione” dei
mancati introiti transiteranno invece attraverso il MES e non più come prima
il versati direttamente nelle casse di Viale Mazzini. Inoltre, il MES opera delle trattenute: la concessione governativa e l'IVA pagata dal detentore
l'apparecchio televisivo. In soldoni, cresce il “peso” del Governo sulla Rai e,
come già successo in passato potrà/vorrà chiedere conto di come verranno spesi
questi soldi.
La seconda notizia si riferisce a quanto già vi abbiamo
anticipato nei giorni scorsi: i Presidenti di Senato e Camera, entro il 31
marzo daranno avvio alle procedure per la presentazione delle candidature
necessarie alla nomina del nuovo Cda di Viale Mazzini. Inizia la battaglia,
qualcuno potrà cominciare a preparare gli scatoloni.
Il tema che oggi ri/proponiamo è quello del futuro digitale
del Paese e, in subordine, di Viale Mazzini alla vigilia di un possibile cambio
del suo vertice. In particolare, ci
interessa capire cosa potrà succedere nell’ambito delle scelte che il Governo
dovrà compiere per quanto riguarda la BUL e la rete unica. Il passo
indietro che come al solito bisogna compiere, senza andare troppo lontano, ci
riporta alla fine dello scorso agosto quando sembrava che i giochi si stavano
chiudendo: i Cda di TIM e CdP approvano un “memorandum of understanding” per
far nascere AccessCo dove a TIM sarebbe andato il 50,1%. A ridosso di questo
passaggio il Corriere della Sera ha scritto: ““Ci vorrà tempo per incastrare i
tasselli. Per arrivare all’accordo di fusione Tim e Cdp si sono date tempo fino
a marzo dell’anno prossimo”. Siamo arrivati giust’appunto a questi giorni,
quando il nuovo Governo Draghi da poco insediato ha preso in mano il dossier
per valutare i passaggi successivi. Cosa è successo nel frattempo?
Semplicemente: è cambiato anzitutto il paradigma politico delle scelte che si
stavano per compiere. Da una “visione della nuova società e della rete unica a
“prevalente interesse privato” ad una dove è determinante la presenza pubblica.
In altre parole, il progetto Conte/Gualtieri va in soffitta e TIM potrebbe
uscirne alquanto ridimensionata nelle ambizioni e nei progetti. Poi è cambiata
l’agenda e le sue priorità: da un solo punto all’ordine del giorno, la BUL, si
è passati alla possibilità di esplorare il “Piano B” proposto da Colao dove la
tecnologia non sarebbe più unicamente il cavo ma il il 5G e il FWA (Fixed
Wireless Access). Inoltre, proprio nei giorni scorsi il Ministro
dell’innovazione ha dichiarato in Commissione trasporti che “non possiamo più
permetterci ritardi” nel processo di digitalizzazione del Paese, esprimendo
pure la necessità di anticipare al 2026 i tempi previsti dalla direttiva UE
Digital Compass 2030.
Ma il punto centrale consiste negli obiettivi che si
intendono raggiungere: come recita un antico proverbio, non è importane di che
colore sia il gatto (la fibra o le onde radio) è importante invece che prenda
il topo. Il topo, in questo caso, consiste nella necessità di fornire a tutti
gli italiani una modalità di accesso e una velocità di connessione adeguata e
sufficiente alle necessità che il Covid ha reso ancora più impellenti e inderogabili:
DAD e smart working. È importante rileggere il Rapporto Auditel Censis ( https://www.auditel.it/wp-content/uploads/2020/10/Auditel-Censis-2020.pdf
) dello scorso novembre dove si fotografa lo stato drammatico del “vero
distanziamento sociale” degli italiani caratterizzato non solo dallo storico
divario Nord/Sud ma anche da nuove e più articolate separazioni tra ceti
sociali, tra livello di scolarità e capacità di accesso alle nuove tecnologie. Fra
pochi mesi (giugno) verrà pubblicato l’aggiornamento 2021 del DESI (Digital
Economy and Society Index) dove si misura lo “stato di salute” dei paesi UE
nello sviluppo digitale. In particolare, si misurano: la qualità della connettività
in relazione alle infrastrutture di banda larga e ultralarga (broadband
connectivity); il “capitale umano” in termini di competenze e specializzazioni
digitali (human capital – digital skills); quantità e qualità di utilizzo di internet
da parte dei cittadini (internet use of citizens); l’integrazione delle
tecnologie digitali nelle imprese e nel commercio (Integration of digital
technology by businesses); la disponibilità di servizi pubblici digitali
(Digital public services). Lo scorso anno l’Italia era al 19° posto tra i paesi
EU, in terz’ultima posizione. Che ci sia possibilità in questi pochi mesi, di
poter contribuire ad alzare l’asticella è tutto da vedere ma si comprende
perché Colao pone il problema “tempo” prima di ogni altro. Attenzione, da non
dimenticare mai che quest’anno, a settembre, prenderà avvio la tappa di
evoluzione della transizione al DVB-T2 con tutte le conseguenze che ci potranno
essere quando è verosimile che potrà avvenire una sostanziosa migrazione verso
la Smart Tv.
Ora, per venire alle faccende di bassa cucina di casa
nostra, il tema è capire come può evolvere il quadro e vedere come si potranno
comportare i vari soggetti direttamente interessati. Non ci addenteremo nei
territori sconosciuti dell’ingegneria finanziaria, nelle alchimie dell’M&A.
Cercheremo solo di immaginare se e quali conseguenze ci potrebbero essere,
qualora avvenisse, nella mutazione di orientamento strategico da un modello
“politico” rispetto alla presenza dello Stato nelle grandi infrastrutture di
interesse strategico nazionale (sistema delle TLC) sia rispetto alle tipologie
e modello di piattaforme che verranno maggiormente supportate. Il Servizio
Pubblico, ora che pure il Piano Industriale 2018-21 si appresta a scadere
(nonostante il suo “congelamento” causa Covid) si è dotato di un progetto
strategico in questo ambito? In che termini, con quali investimenti e con quali
orientamenti si appresta ad avviare il prossimo triennio con il nuovo Cda? “The Future is unwritten” (Joe Strummer, The
Clash). Sarà pure questo il momento in cui qualcuno debba cominciare a pensarci? Questo
momento è prossimo e ci vorranno persone competenti per farlo e, anche queste avranno poco tempo a diposizione: dopo 5 minuti dal loro insediamento dovrebbero
già sapere da che parte mettere le mani. Subito, anzi, da ieri.
Nessun commento:
Posta un commento