martedì 30 giugno 2020

Pausa

Questa mattina ci prendiamo una pausa, in linea con l'attenzione che la stampa di oggi dedica alla Rai. In linea poi con il clima generale che si avverte sui grandi temi che interessano il Servizio Pubblico radiotelevisivo. Mala tempora currunt.

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Grande disordine sotto il cielo


Mettiamo subito le cose in chiaro. La sola possibilità che il Consiglio di amministrazione Rai possa essere prorogato o meno si dovrebbe contemplare negli art. 45 e 46 del TUSMAR e poi nella Legge 220 del 2015. La nomina di quattro componenti del Cda è di esclusiva prerogativa di Camera e Senato, il quinto è eletto dai dipendenti e gli altri due sono di fonte governativa. Non ci sono dubbi di interpretazione o aggiornamento discrezionale, a meno che qualcuno non possa immaginare di modificare la Legge “in corso d’opera”. Operazione sempre possibile ma, in verità, assai ardua e ancor più n questo momento delicato. Ora che l’AD si possa essere incontrato o meno con il Capo del Governo Conte e possa aver discusso della possibile proroga del CdA appare ai limiti dell’offensivo e inverosimile. Tant’è che nessuno si azzarda a smentire o confermare. Lo è ancora di più se si deve poi constatare che nessuno si arrischia a motivare questa ipotesi. Per quale motivo dovrebbe avvenire tutto questo? Proviamo ad immaginare: perché i conti previsionali della Rai sono ai limiti della zona rossa dei libri in Tribunale? Possibile. Perché si vorrebbe provare a dare forma al punto del programma di Governo che prevede la riforma dell’intero sistema delle TLC? Probabile. Perché siamo alla vigilia dell’appuntamento istituzionale più rilevante della vita del Paese come l’elezione del Presidente della Repubblica e quindi si vorrebbe “garantire” una specie di stabilità televisiva? Futuribile.

Rimangono alcuni punti fermi. Il quadro politico è altamente instabile e a continuo rischio di rottura. Qualsiasi ipotesi di cambiamento richiede forza e lucidità che, invece, sembrano mancare in quasi tutte le parti in causa (centro destra compreso). Nessuno tra i partiti di maggioranza e opposizione, salvo la vecchia proposta formulata da Fico, ha qualche briciola di idea di come debba o possa essere riformato il sistema delle telecomunicazioni, figuriamoci la Rai. In questo contesto, come è possibile che a qualcuno possa essere venuto  in mente di: A) concordare un incontro Salini e Conte B) far trapelare i contenuti del presunto incontro riferiti alla proroga del mandato e all’aggiustamento del mercato pubblicitario (vedi post dei giorni scorsi) C) supporre che una operazione del genere potesse passare inosservata o sottovalutata nella sua rilevanza da tutti gli interessati e, in particolare dal PD che ancora vede Salini come braccio armato del vecchio accordo Di Maio-Salvini  ??? Misteri della Fede perché solo quella potrebbe aiutare a capire l’indecifrabile mistero che avvolge il fumo di queste alchimie politiche. Rimane, semplicemente, la battuta romana: “nun se po fa … metteteve l’anima in pace … nun se po fa” . Per essere più chiari: le alchimie si capiscono benissimo solo che non sempre riescono.

Chiudiamo il tema. Siamo convinti e non da ora che vada ripensato tutto il perimetro del Servizio Pubblico radiotelevisivo, nei suoi pilastri fondamentali: anzitutto la sua missione, poi la governance, le risorse e le tecnologie. Non riteniamo possibile un processo di riforma a singhiozzo o a spezzatino: questi pilastri sono saldamente connessi tra loro, toccarne uno e lasciare invariati gli altri rischia di compromettere tutta la stabilità. Sembra banale ribadirlo ma, evidentemente, a qualcuno piace pensare che un pezzetto alla volta si possa aggiustare tutto.  

Un passo indietro a ieri. Il Corriere ha pubblicato una pagina intera, firmata da Massimo Scaglioni, dedicata ai nuovi modelli di consumo televisivo: ”Boom della tv in streaming. Un miliardo e 300 milioni di consumi on line a marzo: l'impennata delle visualizzazioni durante il lockdown. La Total Audience fornisce un quadro sempre più rilevante per tutto il mercato undici miliardi di stream in un anno, quasi 900 milioni al mese, e un picco col lockdown di marzo: chiusi nelle loro abitazioni, gli italiani hanno guardato oltre un miliardo e 300 milioni di contenuti televisivi on line in trenta giorni. Il confinamento dovuto al Coronavirus ha fatto segnare un record non solamente al consumo di tv tradizionale, quella guardata attraverso il teleschermo di casa. Gli italiani hanno scoperto il piacere della tv in streaming, sia live, in contemporanea con la messa in onda, sia soprattutto on demand, attraverso apparecchi come tablet, smartphone, pc e smart tv (oggetto di una vera e propria «scoperta» nelle settimane della quarantena). Sono questi i principali risultati di una ricerca condotta su un anno di Auditel digitale”. Dettaglio: Canale5 stacca RaiUno di tanti punti. Il tema rimane una modalità di fruizione dei prodotti audiovisivi che si diversifica progressivamente dal tradizionale digitale terrestre e questo processo si innesta proprio nella fase di transizione, delicata e complessa, verso il DVB-T2  dove se già la situazione era preoccupante prima del Coronavirus ora lo è ancora di più.

Da leggere attentamente l’intervista a Paolo Bassetti, CEO di Banijay (“Con Endemol fate il 69% delle produzioni Rai, 1923 ore di trasmissioni”), sul Messaggero di oggi: “Ciclicamente si parla di una Rai senza pubblicità: è un'ipotesi praticabile? «Solo aumentando il canone, ma è impopolare. La Rai ha il canone più basso fra i maggiori paesi europei, a fronte del primato degli indici di ascolto. Se si levano 600 milioni di pubblicità e se ne recuperano 150 con il canone, senza un piano di ristrutturazione, come si colmerà il gap? Senza queste entrate la Rai produrrà meno. E crescerà la disoccupazione nel settore. Non sono tra quelli che pensano che una Rai senza pubblicità possa favorire qualche editore». E allora? «Si andrebbe verso un felice declino, come nel Paese”. Tutto chiaro?

Infine, da segnalare e incorniciare, un articolo a firma Francesco Ninfole, su MF: “Sul digitale Italia agli ultimi posti in Europa. In tempi di Stati Generali e riflessioni sul futuro dell'economia italiana possono far riflettere i dati contenuti in un rapporto pubblicato ieri dalla Bce sul grado di digitalizzazione nei Paesi Ue. In questo ambito l'Italia figura agli ultimi posti nelle principali classifiche, con ampio distacco dagli altri grandi Stati europei. Il Paese per esempio è quintultimo nell'indice Desi (Digital Economy and Society Index 2019) della Commissione Ue, che misura in una scala da 0 a 100 la connettività attraverso banda larga, competenze digitali del capitale umano, uso di internet, integrazione della tecnologia e servizi pubblici digitali. L'Italia è poco sopra quota 40, su livelli superiori soltanto a quelli di Bulgaria, Romania, Grecia e Polonia. La media europea è 55: Francia, Germania e Spagna sono attorno a questo valore, mentre i Paesi nordici sono vicini a 70. L'Italia è indietro anche in termini di peso del valore aggiunto di prodotti e servizi legati al digitale (5% del totale). Anche in questa classifica è al quintultimo posto, davanti a Grecia, Portogallo, Lituania e Belgio, mentre la media Ue è del 6,5%”. Meditate gente…meditate…

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lunedì 29 giugno 2020

Messaggio forte e chiaro


Ogni giorno, ogni mattina, da oltre due anni, mi si pone lo stesso problema: iniziamo dalla notizie positive o da quelle negative? Parliamo prima di quanto di buono viene fatto e si viene a conoscenza o quanto  di cattivo che pure non manca mai? In genere risolvo il problema con una guida sicura: la notizia che ispira maggiore curiosità e quella che potrebbe dare più fastidio far circolare.  Chi vi scrive appartiene a quella generazione di giornalisti che sono cresciuti leggendo le rassegne stampa alla radio con i giornali appena arrivati in edicola: cercavo sempre di capire quali articoli potessero suscitare maggiore attenzione ai radioascoltatori.

Questa mattina vi propongo tre articoli. Il primo si riferisce ad una lunga intervista ad Angelo Guglielmi su Il Foglio a firma Marianna Rizzini dove si legge ” La Rai di chi l'ha fatta e non la guarda più.  Sorride quando gli si parla dei sovranisti della tv pubblica, ricordando i tempi della spartizione partitica. “Ci si stava spartendo qualcosa che in teoria non doveva appartenere a nessuno. Fatto sta che poi lo si chiamava pluri-culturalismo: tre reti per tre culture, la cattolica, la comunista, la socialista"… Quando poi gli si nominano i sovranisti e gli antisovranisti, Guglielmi di nuovo sorride, e ricordando altri eserciti, quelli visti quando in Rai, tv di stato, la spartizione era teorizzata, applicata, inseguita, dichiarata nel modo in cui si agisce "in questo paese accomodante", dice: "Un paese non severo, di compromessi, un paese in cui essere tv di stato voleva dire  essere tv del governo e quindi dei partiti. …E se quella è la nota origine del male, dice Guglielmi, e se, "a differenza di altri paesi, non ci si limitava, dal governo, a scegliere un direttore generale", i ricaschi di quelle scelte arrivano fino a oggi, ma senza avere più la giustificazione del contesto”. Un’intervista nostalgica, del bel tempo che fù e che forse mai tornerà … da leggere non fosse altre per comparare con la Rai di oggi. Un confronto impietoso, alla faccia del “cambiamento” ...veri Gattopardi.

Poi la “notizia” che tale non è e che pure incuriosisce (abbiamo già posto la domanda): per quale motivo il Corriere tira sviolinate alla lasciva verso la Rai? Questa mattina un articolo da incorniciare e proporre alle scuole di giornalismo per quanto è imbarazzante: a firma di  Maria Elena Zanini si legge “ Lady fiction in aiuto a Netflix.  Cercansi serie nuove e «geniali». Eleonora Andreatta, direttrice di Rai Fiction, abbandona viale Mazzini per guidare il braccio italiano della piattaforma streaming che punta su nuovi progetti anche internazionali: la sua competenza (e i suoi contatti) aiuteranno”. Non c’è dubbio, i suoi contatti aiuteranno Netflix. Per tutto il resto … imbarazzante.

Veniamo ora alla politica: c’è  maretta nel Governo a proposito di Rai e non solo. Il presunto incontro tra Conte e Salini tiene ancora banco (per poco) e lascia chiaramente intendere il fuoco che cova sotto la cenere. Occorre avere pazienza ancora qualche giorno (il 14 luglio il Parlamento voterà i commissari AgCom) per avere indizi. Da leggere con attenzione un passaggio fondamentale oggi sul Messaggero firmato da Marco Conti: “Senza contare che su due questioni che per i dem avrebbero dovuto segnare un cambio di passo dal precedente governo giallo-verde, come Rai e decreto sicurezza, il Pd segna il passo. Ma se sui decreti sicurezza il rinvio a settembre è ormai scontato, sulla tv di Stato lo scontro si è riacceso e coinvolge anche i renziani che con Michele Anzaldi hanno chiesto conto dell'incontro a palazzo Chigi tra Conte e Salini. Tensioni che tagliano anche il Pd con l'ala più vicina a Zingaretti che attacca Salini e quella di Franceschini più defilata rispetto ad una possibile proroga dell'ad di viale Mazzini e ai suoi progetti di "riorganizzazione" della torta pubblicitaria. E che il contendere non sia tanto la governance del servizio pubblico quanto la proroga dell'ad e le risorse che si raccolgono con il canone e la pubblicità, si capisce anche dalla benevolenza con quale Silvio Berlusconi guarda all'inquilino di palazzo Chigi. D'altra parte l'accusa della Vigilanza e dell'Agcom - ancora in attesa dei documenti chiesti a viale Mazzini - è che nel periodo di lockdown, la Rai abbia praticato sconti del 90%, azzerando la pubblicità sulla carta stampata e mettendo anche in difficoltà La7 e le Tv del Cavaliere. Con quattro senatori in meno a palazzo Madama, e altri grillini pronti ad uscire convinti di spuntare da Matteo Salvini anche un terzo mandato, i voti di FI rischiano di diventare fondamentali. Al pari delle entrate pubblicitarie di Mediaset”. Messaggio ricevuto, forte e chiaro, passo e chiudo.

Infine, un ringraziamento ad un nostro attento e solerte lettore che ci segnale un lungo articolo sull’ultimo numero de L’Espresso con il titolo “Alla Guerra del 5G… Il nuovo standard ci cambierà la vita ma porterà con sé mille problemi” uno dei quali impatterà direttamente nelle modalità di produzione e diffusione dei segnali radiotelevisivi. La maggiore velocità di trasmissione dei dati in upload e download renderà tutto il mondo broadcast maggiormente rivolto più alla rete che non al digitale terrestre. Non ci sono dubbi: il 5G cambierà radicalmente la vita dei telespettatori e non solo loro, come in parte è già è avvenuto durante il lockdown e pure non ci sono dubbi che sorgeranno mille  problemi per la Rai e per il senso generale, per la mission di Servizio Pubblico. Torniamo, ahimè, sempre a bomba: qualcuno è a conoscenza di un progetto Rai per il 5G?  Forse…magari, è possibile che qualche ingegnere ancora sopravvissuto a Viale Mazzini dopo  la recente diaspora qualche idea possa averla ma se ne guarda bene da farla sapere. Va a sapere, magari potrebbe essere buona e dare fastidio a qualcuno che invece di idee non sembra proprio averne.

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domenica 28 giugno 2020

Il fumo e l'arrosto


Nei giorni scorsi abbiamo iniziato il post così “Le notizie passano, i racconti restano. Se c’è una cosa che è particolarmente irritante è la sensazione di essere presi in giro. Si tratta di quel sottile malumore che si avverte quando qualcuno cerca di spacciarti un suo racconto come se fosse “il  racconto”,  unico e universale.

Ieri pomeriggio, cominciamo a ricevere “strani” messaggi e curiose telefonate che ci informano di un presunto incontro tra l’AD Rai Salini e il Presidente del Consiglio Conte e l’oggetto sarebbe stato, nientepopodimenoche, il possibile prolungamento del suo mandato (fine prevista giugno del prossimo anno). Questa mattina le pagine dei giornali sono piene di analisi e commenti su questo presunto incontro comunicato dall’ANSA e non smentito dalle parti interessate.

Allora, con calma. Salini non è nuovo ad incontri più o meno segreti con il suo Azionista di Maggioranza (il Governo) come pure con i segretari dei partiti (Zingaretti) con una formula ormai collaudata: prima si svolge l’incontro e poi trapela notizia. Come ci disse a suo tempo un autorevole inquilino del VII piano di Viale Mazzini “… è del tutto naturale che l’AD incontri i suoi referenti politici …” . Certo, come no!!! Lo hanno fatto prima di lui altrettanto autorevoli direttori che magari non facevano trapelare la notizia e si limitavano all’uso del telefono, più discreto e riservato. Cosa c’è di nuovo dunque? Molto e sostanziale. C’è in ballo tutto il sistema di nuovi equilibri e allineamenti di alleanze e strategia sia sul mercato degli audiovisivi (nonché della rete) sia sul mercato primario della politica. Tutti cercano di guardare oltre l’orizzonte delle prossime scadenze e tutti cercano di posizionare bene le loro truppe in attesa di scontri dove qualcuno potrebbe soccombere.

Tra i commenti di oggi, merita attenzione Mario Ajello sul Messaggero dove si legge: “La tv pubblica. Conte a Salini: brava Rai. Ma il vero nodo politico è la spartizione degli spot. L'incontro a palazzo Chigi scatena lo scontro tra Pd e M5S, che fa le barricate in difesa dell'AD. I Dem: ha fallito, impensabile una proroga. I Pentastellati: il Nazareno lo attacca, solo perché non accetta pressioni partitiche la ridefinizione, della pubblicità essenziale per la trattativa con Berlusconi sul Senato”. Sintesi efficace quanto incompleta perché si riferisce solo ad una parte della grande battaglia in corso sull’intero perimetro del sistema delle TLC. Manca il tassello AgCom di prossima (forse) soluzione quando il 14 luglio si potrebbero votare i nuovi commissari e manca l’analisi di quello che potrebbe (dovrebbe) succedere per la soluzione del BIG Problem della banda larga. Evidente che della impossibile quanto improponibile proroga dell’attuale Cda non interessi poco o nulla a nessuno. Quanto invece interessa a molti l’altro argomento che potrebbe essere stato al centro della conversazione Salini-Conte: la pubblicità che buona parte del Governo sarebbe ben intenzionata a liberare a favore dei concorrenti Rai. Ci sarebbe da sistemare qualche dettaglio sul futuro del canone, ma quella è poca cosa e l’accordo si potrebbe trovare facilmente (alcuni pensano).

A farla breve: le tensioni tra PD (quale PD???) M5S (quale M5S ???) e il partito Conte (???) sono destinate a crescere per un verso (obbligo alla coesistenza pacifica, pena dover andare ad elezioni anticipate con il centro destra alle porte) e per verso opposto a fare una guerra di guerriglia per occupare posizioni vantaggiose dovunque possibile. Evidente che avere uomini di fiducia in Rai, da qui a quando si eleggerà il prossimo Presidente della Repubblica può costituire un vantaggio relativo ed è in questa chiave che si potrebbe leggere il presunto incontro Salini-Conte che il PD ha visto come il fumo negli occhi.

Tanto per capirci: nel PD non ci risulta che sia stato raggiunto l’accordo su chi debba essere il nuovo presidente AgCom (è ancora in pista Giacomelli? E a quale PD si dovrebbe accreditare?) come pure chi debbano essere i nuovi commissari. Lo stesso ci risulta per il M5S dove le idee in proposito non sembrano per nulla chiare (Carelli solo commissario o qualcosa di più e con la benedizione di Di Maio o di Crimi?).

Insomma, per finire, siamo entrati nel tunnel dell’alta politica: quella dei progetti, delle idee, del dibattito aperto e pubblico, delle riflessioni. Di questo presunto incontro, la sola presunta”notizia” è che si sarebbe parlato di una specie di “stati generali” dell’audiovisivo: Antonella Baccaro sul Corriere ha scritto “Di certo l'incontro di Salini con il premier rafforza la posizione dell'AD. I due avrebbero convenuto di convocare presto un incontro pubblico con tutti i soggetti dell'industria tv, tra cui broadcaster, produttori, artisti, lavoratori e giornalisti”. Questa potrebbe essere una novità: abbiamo dubbi sulla sua praticabilità ma registriamo intanto una buona intenzione. Non è chiaro invece dove, perché e in quale modo l’incontro rafforzerebbe Salini ma questa è altra storia. Bisognerebbe capire perché il Corriere da qualche giorno sembra essere in “simpatia” con Salini. Ma questa, appunto, è altra storia.

Su un aspetto tutti si possono mettere l’anima in pace: la riforma della governance Rai non è cosa di questo mondo e di questa legislatura. Occorrono il tempo e il coraggio (nonché le visioni) che pochi sembrano avere, almeno in questo momento. Poi, si vedrà. The future is unwritten.

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ps: oggi molti articoli sul tema banda larga, seguiamo con attenzione.

venerdì 26 giugno 2020

La nuova Pax televisiva


Questa mattina da segnalare solo un articolo interessante firmato da Francesco Verderami sul Corriere dove si legge, a proposito dei rapporti tra Conte e Berlusconi, che  “Il rapporto non si esaurisce certo in questioni di etichetta, perché è agli atti la disponibilità politica al dialogo di Forza Italia nel nome degli «interessi nazionali». Un atteggiamento che il capo del governo apprezza, ricambiando. Già nei mesi scorsi aveva fatto intervenire il ministero del fedele Patuanelli, schierandolo nella guerra tra Mediaset e Vivendi: «Di fatto — aveva commentato il Giornale — è una presa di posizione a favore di Media For Europe», il nuovo polo tv creato dal gruppo italiano. Non un gesto occasionale. E nemmeno l'unico. Se è vero infatti che Berlusconi — con qualsiasi interlocutore — non manca mai di lamentarsi riservatamente per la penuria di pubblicità sulle reti del Biscione, Conte dice pubblicamente di voler ridurre gli spot sulla Rai, garantendole una maggior porzione di canone”. Lo temevamo e lo abbiamo scritto più volte. 

Si sta profilando una nuova “pax televisiva” come abbiamo già visto nel passato con la differenza che i soggetti interessati a sottoscrivere il patto sono più di uno e pure in contrasto tra loro. Non ci sono dubbi sul fatto che gli interessi e le strategie di PD, M5S e del “partito” di Conte sul sistema delle TLC e sulla Rai possono essere divergenti, seppure formalmente, unite sotto la stessa cappa di Governo. La partita sull’innovazione tecnologica del Paese sarà quella che segnerà il campionato dello sviluppo e il partito che ne sarà l’attore principale potrebbe portare a casa un consenso rilevante (vedi l’interesse, seppure sottotraccia, sul tema rete unica). In gioco ci sono  i nuovi equilibri prossimi venturi legati sia alla tornata elettorale sempre incombente, sia alla elezione del prossimo Presidente della Repubblica intorno al quale i giochi sono appena iniziati. Un prossimo tassello di questo complicato puzzle potrebbe andare a posto il prossimo 14 luglio con la nomina dei commissari di AgCom e Privacy. Superfluo ricordare come la nomina del nuovo Consiglio AgCom sia di assoluta rilevanza strategica per tutto il sistema TLC, compresa Rai: sarà il vero arbitro di tutte le competizioni in corso e prossime venture. Sui nomi, nessuno si sbilancia (a parte i soliti più o meno noti).

Nei giorni scorsi si sono svolte l’Assemblea degli azionisti di Rai Way e quella di Mediaset: ci sono osservazioni interessanti che tratteremo nei prossimi giorni.

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Le false verità


Urticaria e prurito. Se un tizio parcheggia la macchina in divieto di sosta e poi paga la multa, non è che poi esce dall’Ufficio Postale e sventola il bollettino sostenendo di essere un fervido sostenitore delle casse dello Stato. Sei anzitutto uno che viola il Codice della strada e poi uno che ne paga le conseguenze. Punto. Leggiamo stamattina sul Corriere, a firma Aldo Grasso, “La «riforma Salini» e il principio di massima trasparenza in Rai”. La “riforma Salini” ??? di quale riforma stiamo parlando? Quale grande innovazione, cambiamento o metamorfosi si immagina? Nulla, semplicemente nulla: si tratta solo ed unicamente dall’applicazione di quanto direttamente ed esplicitamente previsto e indicato dalla Vigilanza Rai già da alcuni mesi (dell’argomento se ne parla da anni). Semmai, il problema è che l’indirizzo della Vigilanza è stato accolto in ritardo e in solo parte perché il tema è anche relativo alle società di produzione esterna e non solo allo strapotere degli agenti. Sarebbe stato lo stesso Sanremo 2020 senza tre artisti della stessa scuderia di Presta (Amadeusu, Fiorello e Benigni)? Verrebbe da fare i complimenti al genio della lampada della comunicazione di Viale Mazzini per essere riuscito a spacciare acqua calda per pan bagnato. Da ricordare sempre il vecchio principio di questo mestiere: chi di comunicazione ferisce, di comunicazione perisce.

Veniamo a cose più serie e torniamo, ancora per poco, all’affare Andreatta. Ieri (dannazione, sempre con filo di ritardo, però  è buon segno: i neuroni collettivi funzionano) ci è stata proposta una riflessione suggestiva e porta dritto nel cuore della politica, o meglio, del PD. L’affare Andreatta “non sarebbe andato in porto senza una benedizione governativa importante: il ministro  Dario Franceschini !!!”. Non sarà mai lo stesso che potrebbe avere "stoppato" l'affare Salini a Netflix? Già, a questo punto andiamo a ricercare sempre nei nostri ritagli di giornale e che ti viene fuori? Salta in evidenza una recente sortita del fervido ministro datata aprile scorso dove immagina “… la creazione di una piattaforma italiana che consenta di offrire a tutto il mondo la cultura italiana a pagamento, una sorta di Netflix della cultura …”. Detto dal ministro della cultura che assume Netflix come modello cui ispirarsi e non fa riferimento a quanto invece dovrebbe e potrebbe fare la rai sullo stesso argomento è tutto un programma !!! Tra le righe, dove ha tirato fuori un’idea geniale del genere? Proprio in casa Rai, in un trasmissione di RaiTre !!! Una cosa che somiglia un po’ a come  vendere corde in casa dell’impiccando. Rimane un dato ormai consolidato: Netflix è un paradigma, un punto di riferimento accettato e condiviso, una pietra miliare del sistema audiovisivo. I primi a sostenerlo abitano a Viale Mazzini: ho ripescato un articolo dell’AGI del novembre 2018   https://www.agi.it/politica/rai_nomine_sfida_netflix_raiflix-4671741/news/2018-11-26/ e lo stesso presidente Foa, poco tempo prima aveva dichiarato “Sogno una Rai che si avvicini a Netflix, una Raiflix” mentre Salini dichiarava “Sfida a Netflix per conquistare i giovani” per arrivare poi,  alla presentazione di Rai Play, quando  Fiorello ha dichiarato “"Il nome è stato sbagliato sin dall'inizio, RaiPlay sembra che facciamo rivedere le cose, dovevamo chiamarlo Raiflix la vedevano tutti". Quindi, è necessario mettersi l’anima in pace: Andreatta non è stata “strappata” dalla Rai ma il suo passaggio è un semplice tassello di un strategia  in corso di redistribuzione di poteri ed equilibri  più vasta con la benedizione del Governo. Se in più, si aggiunge un quasi raddoppio dello stipendio per l’interessata, il gioco è fatto. Argomento che, peraltro, riaccende le speranze di gettare sul mercato (privato) quel poco di pubblico che ancora dovrebbe caratterizzare la Rai. Ieri ci hanno  fatto notare “perché al momento della nomina o assunzione di un nuovo dirigente non si fa sottoscrivere un “patto di non concorrenza” di almeno 3 anni? Perché la Rai deve formare “sottocosto” qualificate professionalità che poi passano all’altra sponda?”.  Già …perché ?


E veniamo ora ad un tema complesso quanto di importanza strategica che interessa direttamente anche la Rai: il tema delle rete. Questa mattina sul Messaggero compare un’intervista a Elisabetta Ripa, AD di Open Fiber, con  un titolo illuminante: “Il problema non è la rete unica ma la banda larga in ogni casa”. «Avviare ora una fusione con Tim bloccherebbe attività e investimenti… La rete unica? Forse risponderebbe ad altre esigenze ma ora non aiuterebbe il Paese». L’argomento è importante ci riporta  a quanto abbiamo scritto ieri: si pone in questo momento nel Paese una esigenza  strategica prioritaria e consiste esattamente nel garantire a tutti i cittadini un accesso alla rete a condizioni eque, efficienti  e sostenibili. Se questo debba o possa avvenire attraverso una fusione societaria o una mera alchimia finanziaria si potrebbe anche considerare una variabile subordinata. Intanto, e la drammatica esperienza del Coronavirus, lo ha evidenziato in tutta la sua rilevanza, tutti hanno diritto di accedere almeno ad un soglia sostenibile di banda, in grado di consentire quello svolgimento di attività fondamentali come l’istruzione e il lavoro a distanza. Si tratta, per certi aspetti come la Rai, di una infrastruttura pubblica di interesse nazionale dove la fibra ottica assume il peso simile a quello delle autostrade (il riferimento non è casuale). Il  5G è già presente e non può attendere ritardi. La partita ora è tutta nelle “concettualizzazioni” che la politica opera sul controllo della rete dove il ruolo di CdP è strategico. Intanto, la riflessione di Ripa è importante: prima le rete per tutti, in tutte le aree, comprese quelle cosiddette  "a fallimento di mercato”  dove gli operatori hanno poco interesse ad investire, poi la sostituzione del rame con la fibra e poi si potrà parlare di rete unica e si vedrà la composizione societaria. Argomentazione convincente. Tornando a Rai, ci torna una proposta di un nostro autorevole lettore: “in attesa di una transizione al DVB-T2 che non è affatto chiara se e quando si potrà  completare,  si potrebbe ipotizzare  di garantire un dongle, esterno o interno agli apparati televisivi, per accedere ad internet tramite WiFi, LTE, 5G con gratuità per il download televisivo a qualità standard (che ora è l’HD) senza abbonamento ad operatori particolari… questo consentirebbe  all’Azienda di veicolare i propri prodotti in modo efficiente e concorrenziale rispetto ai suoi competitors”… già … i competitors? E chi sarebbero? Netflix ??? Mediaset??? e chi li dovrebbe fronteggiare? 

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giovedì 25 giugno 2020

Amazon, gli scippi e la Fortezza Bastiani

Pongo  anzitutto grande attenzione al dialogo con i fedeli lettori di questo blog e prima di rispondere
veniamo alle notizie importanti della giornata. Questa mattina MF pubblica un articolo, a firma Andrea Montanari, dal titolo “Amazon accende la Tv generalista” e si legge “Netflix investe in prodotto tv locale: l'acquisto di Eleonora Andreatta da Rai Fiction va in questa direzione. Disney+ ha costi bassi e una strategia aggressiva sui mercati puntando a una library infinita. Sky ha virato sulle TLC e sulla banda larga… E Amazon?… Jeff Bezos per rafforzare l'offerta di Prime Video e per conquistare anche il bacino d'utenza del piccolo schermo sta lavorando alla creazione di una vera e propria emittente tv tradizionale che possa garantire una programmazione lineare con programmi e un palinsesto full time su base giornaliera.” Poi, leggiamo su Avvenire, a firma Andrea Giacobino, “Mediaset è pronta per il rush finale: vuole costruire la casa europea della tv”. 

Un tema che ci porta direttamente nel cuore della grande battaglia che si appresta ad essere combattuta nello scenario del sistema delle TLC nazionale ed europeo:  la banda larga e il 5G. Non è semplicemente una grande battaglia, forse si tratta di qualcosa di più che segnerà in modo definitivo lo scenario del mondo audiovisivo digitale del prossimo futuro e potrebbe trattarsi di una battaglia che non prevede prigionieri e dove non si faranno sconti a nessuno. O meglio, si potrà concedere a chi soccombe di vivere in una “riserva protetta” esattamente come potrebbe succedere al Servizio Pubblico nazionale, alla Rai per intenderci. In questa chiave si leggono le narrazioni politiche e tecnologiche  di questi giorni che, fatalmente, si intrecciano in  modo diabolico. Da un lato si formano inedite (???) alleanze tra partiti apparentemente distanti tra loro (Fi e IV) che, insieme, cantano il coro “togliete la pubblicità alla Rai per restituirla al mercato” cioè Mediaset.  Dall’altro lato, si affollano trattative e manovre finalizzata alla formazione di un “ambiente” tecnologico basato sulla rete in fibra che si pone come sostanziale, formale, antagonista alla diffusione broadcast basata sul Digitale terrestre. Il tutto, nel pieno della applicazione della roadmap della transizione al DVB-T della quale ora, dopo il Coronavirus, non si capisce ancora bene l’esito e il percorso successivo che, indubbiamente, non potrà essere lo stesso rispetto a quanto previsto fino alla fine dello scorso febbraio.  La “mutazione genetica” che sta intervenendo nel pubblico, in particolare a seguito della crisi prima sanitaria ed ora economica, ha cambiato sostanzialmente lo scenario: il ricambio dei Tv Set previsto si è drammaticamente bloccato e non sarebbe improprio che i broadcasters ponessero con fermezza il tema del possibile rinvio dello Switc Off, previsto per il prossimo anno, che già nella sua formulazione originaria prevedeva rischi ed incognite gravi a carico della Rai ed oggi ancor più, proprio a seguito delle grandi manovre in corso. Un nostro esperto lettore ci ha posto un tema di indubbia suggestione a vantaggio della Rai che potrebbe “impegnarsi a garantire l’accesso alla banda larga libero e gratuito per tutti, magari con un costo “sociale” con una capacità minima ed essenziale. Chi è interessato ad avere maggiore banda la potrebbe acquistare ad un prezzo calmierato, con una opzione tipo Premium”. In questo modo si potrebbe garantire una maggiore diffusione dei prodotti di servizio pubblico a condizioni vantaggiose ed entrare pieno titolo nel mercato che si sta formando. Torniamo a bomba: si richiede una visione, un'idea di Servizio Pubblico prossimo venturo che da nessuna parte si avverte. La Rai ha un progetto per la banda larga? In che modo e in che tempi intende inserirsi nella partita? Tutti assenti. È  assente la politica anzitutto che vorrebbe riformare l’intero sistema delle TLC (vedi programma di Governo) ma, al momento, la sola  cosa che riesce ad immaginare è l’ennesima volgare truffa ai danni della Rai (vedi post dei giorni scorsi). Ma sono assenti ingiustificati anche coloro che solitamente sono sempre pronti a lanciare proposte e progetti che da anni, non riescono a fare un centimetro in avanti. A farla breve: non si intravvede all’orizzonte il VII cavalleria che potrà salvare la Rai. Forse, c’è solo da sperare in qualche eroico resistente all’interno della Fortezza Bastiani di Viale Mazzini in grado di mettere fuori la testa.     

Veniamo ora alla "posta dei lettori". Ieri uno di loro ci ha scritto sollevando dubbi sull’opportunità di ripubblicare un vecchio post di Roberto Fico con l’elenco dei “figli e parenti di …” in Rai.  Come ho scritto, si tratta di un tema fastidioso, urticante, ma non per questo deve esser sottaciuto specie quando in nome di un malinteso “bene della Rai” può succedere che si scambia il grano con loglio: il primo è frumento vitale, la seconda è una pianta infestante, detta anche zizzania. Il malaffare e il malcostume, in particolare degli anni passati, è stato spesso il tratto distintivo delle relazioni aziendali, dove succedeva solitamente che non si premiava la capacità e la professionalità delle persone ma l’essere “amico di “ oppure “in quota a …” o , appunto  “congiunto di…”. Ecco, ho voluto ribadire semplicemente e unicamente questo, senz’altro retropensiero.  Rimane la riflessione sostanziale: non si è trattato di un “esproprio di una affermata dirigente” a danno di un'Azienda debole e indifesa, ma di una pura operazione commerciale e professionale di chi ha deciso di accettare uno stipendio migliore offerto dalla diretta concorrenza della Rai.  Punto. Scusate se è poco. Che ci sia risparmiata la lamentela, pecunia non olet e se poi chi la offre è stato il tuo "nemico" fino al giorno prima, poco importa.
Chiudiamo, almeno per ora l’affare Andreatta//Netflix  con un altro lettore che ci ricorda lo scorso anno, esattamente il 19 luglio,  quando è andato in onda su Rai Due, condotto da Simona Ventura, uno speciale sulla nuova edizione de La casa di carta, un prodotto di punta di Netflix. Si è trattato di una trasmissione/spot importante che, più o meno, equivale a dire come se Mediaset facesse una trasmissione per lanciare la promozione del prossimo Sanremo 2021. Se non ricordiamo male, nessuno o quasi ebbe nulla a che ridire, nessuno o quasi ha sollevato sdegnati proclami sullo “scippo” di uno spazio di servizio pubblico rivolto ad interesse privato. Infine, abbiamo letto ieri su Prima On line, una nota dove si sostiene che la rotazione dei dirigenti prevista dal Piano Anticorruzione dell’ANAC si tratta di “Una cosa inaudita che sfiora la stupidità”. Tanto per essere chiari e sgombrare dubbi,invitiamo a leggere quanto disposto dalla  Delibera numero 1064 del 13 novembre 2019 http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/AttiDellAutorita/_Atto?id=8ed911d50a778042061d7a5d0028cba2  (Approvazione in via definitiva del Piano Nazionale Anticorruzione 2019). Punto.  A capo.

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mercoledì 24 giugno 2020

Rai, Netflix e Mediaset


Per cercare di comprendere meglio l’affare Andreatta (perché di questo si tratta e cercheremo di capire chi ne trae profitto e chi ci rimette) sarà necessario fare un paio di passi indietro e altri di lato. Il primo passo lo ritroviamo tra le vecchie scartoffie di ritagli di giornali e risale allo scorso anno quando, ottobre 2019, Reed Hastings, CEO di Netflix, annuncia un importante accordo con Mediaset. Leggiamo su Repubblica.it: “Accordo Netflix-Mediaset: si realizzeranno una serie di film italiani da rendere disponibili in tutto il mondo. Varata la partnership tra il colosso di intrattenimento in streaming fondato da Reed Hastings e il gruppo tv di cui è vicepresidente Pier Silvio Berlusconi. La piattaforma investirà 200 milioni di euro con una parte destinata ai film per Canale 5. Partenza nel 2020”. A questo accordo mancava un tassello che era ben chiaro a tutti: la persona giusta in grado di consentire a Netflix di “sbarcare” nel mondo italiano delle grandi produzioni cinematografiche di fiction televisiva. Mancava a Netflix e non a Mediaset che invece ne ha in abbondanza. Ma, come noto, business is business, e nel frattempo, il buon Hastings metteva le mani in diversi altri affari. Siamo sempre a ottobre 2019 e sul sito ilPost.it si legge una interessantissima ricostruzione della politica commerciale di Netflix: accordi con tutti per diversificare e “personalizzare” l’offerta sul mercato italiano https://www.ilpost.it/2019/10/28/netflix-accordi-con-mediaset-sky-rai/.
Ieri pomeriggio ci è venuto di aiuto una chiaccherata con un autorevole e influente dirigente di Viale Mazzini: “Andreatta non è andata a Netflix ma a Mediaset che, di fatto, è l’altro braccio armato della fiction italiana, dove, attenzione, non si fanno i conti senza gli osti delle grandi case di produzione che, piacciano o meno, hanno fatto e fanno il bello e cattivo tempo”. A Netflix era necessario come il pane avere una “interfaccia” in questo mondo e da tempo lo aveva dato ad intendere (vedi precedente presunto interesse per lo stesso Salini). Su questa osservazione abbiamo raccolto un altro commento: “In Rai, da alcuni anni e in certi ambiti, se non possiedi capacità di “mediazione” o di “interlocuzione” tra l’Azienda e altri interessi esterni non potrai mai essere direttore di qualcosa. Si tratta di entrare nel mood, nel mainstream di interfaccia tra dentro e fuori e non è un caso che questa vicenda salta fuori proprio ora che si vorrebbe applicare il documento della Vigilanza sul potere degli agenti esterni e delle società di produzione”.  Se a tutto questo si aggiunge la banale verità dovuta al fatto che, comunque, Andreatta avrebbe dovuto lasciare Rai Fiction per raggiunto limite di permanenza imposto dall’ANAC, il conto torna. Altro discorso riguarda l’uscita di Andrea Fabiano, avvenuta  sempre lo scorso autunno dello scorso anno, per dirigersi verso Tim Vision che, guarda caso, realizzerà un importante accordo sempre con Netflix con l’obiettivo di diventare il principale OTT italiano fornitore di servizi e di contenuti. Tutto torna.

Viene proprio a proposito l’articolo di oggi, a firma di Michela Tamburino, pubblicato sulla Stampa:  “Piano per le tv agita la politica. Il mercato va regolamentato. Più risorse alla Rai grazie al gettito del canone rinforzato e di contro più pubblicità alle concorrenti Mediaset e La7”. Il messaggio è forte e chiaro anche se non trova tutti d’accordo: regolamentare si ma il problema è come. Canone e pubblicità: l’attacco è concentrico e mira tutto allo stesso punto: mettere le mani su risorse sempre più scarse di fronte a concorrenti sempre più agguerriti. Ieri abbiamo scritto che questo presunto “piano” del Governo Conte altro non è che l’ennesimo scippo ai danni della Rai: il canone non è e non dovrebbe essere oggetto di trattativa e/o mediazione. Sul punto leggiamo, sempre su La Stampa, il consigliere Giampaolo Rossi “Il canone spetta per intero alla Rai e invece se lo tiene il governo». Vittorio Di Trapani per il sindacato Usigrai tuona: «Prima si restituisce il maltolto, poi si parla di pubblicità e di limiti antitrust. A meno che non si voglia far passare per conquista una semplice restituzione di denaro tolto con una norma su cui pende il giudizio di costituzionalità».  Leggiamo poi un comunicato dell’ADRAI dove si legge a proposito dell’Andreatta che “… è stata “strappata” al Servizio Pubblico senza che quest’ultimo potesse avere potere negoziale (come già successe a settembre scorso con un altro dirigente passato a TIM con incarico di vertice). Non è più tollerabile la sistematica destabilizzazione della RAI da parte del suo stesso Azionista… “ 

Stupefacente: anzitutto lo strappo, nel merito e nel metodo. Se ricordiamo bene, lo stesso Presidente ADRAI non molto tempo addietro, sempre settembre 2019, ebbe a dichiarare: “Pur di togliere di mezzo tutte queste idiozie e attacchi ingiustificati, siamo pronti anche alla privatizzazione. Abbiamo le capacità di stare sul mercato, basta che non ci vengano calate dall'alto leggi che minano la nostra capacità competitiva”. Per quanto riguarda la non tollerabilità, il problema è molto semplice: in che modo, con quale intensità e con quali risultati durante questi due anni il vertice dell’Azienda si è fatto portatore sano del contrasto alla destabilizzazione della Rai da parte del suo azionista di maggioranza? Quando, quanto e quali  i dirigenti che aderiscono all'ADRAI che si sono fatti muro contro tutte le nefandezze avvenute contro gli interessi dell'Azienda negli ultimi due anni???(vogliamo ricordare sempre il caso Gaffuri???) E in che modo, quanto e con quali risultati, l’ADRAI ha sostenuto questo giusto impegno?

Infine, una nota urticante ma che non possiamo sottacere. Riportiamo semplicemente un articolo del 2013 pubblicato sul Fatto Quotidiano con il titolo “Rai, Fico (M5S): “I soldi per le fiction alle aziende dei figli di” https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/11/rai-m5s-soldi-per-fiction-alle-aziende-dei-figli-di/709057/. E chi sono i “figli di…” ? Leggiamo un post di FB sempre di Roberto Fico, attuale Presidente della Camera, pubblicato nel 2015: “I Raccomandati in Rai, un’azienda fondata sull’albero genealogico. Ecco a voi una lunga lista di dipendenti Rai legati da parentela o amicizia a qualche personaggio famoso. La Rai - azienda pubblica radiotelevisiva italiana - è da sempre alla mercé della politica, essendo spartita dai partiti e dai dipendenti stessi, i quali vi hanno messo a lavorare coniugi, fratelli, sorelle, figli, nipoti e amici, in barba a qualsiasi regola di selezione fondata sul merito. Interessato a scovare gli innumerevoli raccomandati, ho trovato sul Blog di Beppe Grillo un bel listone esauriente che riporta tutti i dipendenti Rai legati tramite parentela o amicizia a qualche politico, personaggio influente o semplice dipendente”.
(https://www.facebook.com/roberto.fico.5/posts/i-raccomandati-in-rai-unazienda-fondata-sullalbero-genealogico-ecco-a-voi-una-lu/1069548789737653/.

Ci sono circostanze in cui un dignitoso silenzio è meglio di un fragoroso imbarazzo.

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martedì 23 giugno 2020

Flash: fiction ...

Ci è pervenuta una interessante riflessione sul tema Andreatta... Netflix etc
Ne parliamo domani

La Truffa


Il racconto della giornata inizia con un articolo pubblicato da La Stampa, a firma di Ilario Lombardo, con il titolo: “Nuova Pax televisiva: spot a Mediaset e La/, più canone alla Rai”. Incredibile ma vero: si tratta di una ricostruzione, di notizie certe e confermate non ce ne sono, ma la dice lunghissima sul tema risorse economiche del sistema delle TLC, sul futuro della Rai e del Servizio Pubblico. Ovviamente, il racconto prosegue con l’uscita di Andreatta dalla Rai.

Allora, leggiamo sul La Stampa: “In un capolavoro di equilibrismi, Giuseppe Conte potrebbe mettere d’accordo la Rai e i suoi diretti avversari sul mercato. Il Governo lascerebbe a Viale Mazzini una porzione maggiore del canone tv, nell’ordine di 150-200 milioni di euro, in cambio della rinuncia di una quota della pubblicità … gli spettatori più interessati a questa vicenda sono Silvio Berlusconi e Urbano Cairo …” etc etc etc.

Allora, con ordine: anno 2014, governa Renzi, si sottraggono in modo costituzionalmente dubbio 150 milioni di euro dalla casse Rai e si obbliga (???) a vendere una parte di Rai Way per tenere i conti in equilibrio; poco tempo dopo, il canone viene prelevato in bolletta e una parte dello stesso viene dirottato per altri scopi (fondo per l’editoria); dal primo governo Lega-5S al secondo PD-5S, inizia un coro avverso al canone Rai che vede tutt’ora cantare autorevoli esponenti (Patuanelli e Boccia, accompagnati direttamente e indirettamente da Giacomelli e Anzaldi) con il ritornello “abbasso il canone, ingiusto e ingiustificato”. Inizia poi l’attacco frontale al tema pubblicità, accusando la Rai di fare dumping sul mercato che proprio nei giorni scorsi, in coincidenza del crollo dovuto al Coronavirus, ha messo in seria difficoltà tutti i broadcasters.

Che il Governo Conte non avesse proprio la Rai nelle sue priorità ne avevamo avuto segnali di vario genere, e l’ultimo è stato, appunto, non aver posto il tema informazione/comunicazione o pure il sistema TLC nell’agenda degli Stati Generali appena conclusi. Dove però, non a caso, è spuntata dal cilindro questa notizia del presunto accordo. Ora, ci sarebbe da far girare le scatole a trottola: viene spacciata come “mediazione” quella che in realtà è l’ennesima truffa da carta perde carta vince. Nemmeno la più smaliziata paranza di trucchettari da Porta Portese saprebbe far di meglio. Questi soldi sono dovuti e non sono o non dovrebbero essere oggetto di accordo o mediazione dove a guadagnare, o a rimettere, è solo una della parti in causa, la Rai. Ci aspettiamo una vigorosa, clamorosa, forte e determinata presa di posizione di Salini-Foa, dei 5 Consiglieri, dell’Usigrai e di tutti coloro che hanno a cuore gli interessi dell’Azienda.

Veniamo ora alla vicenda Andreatta. È una storia che potrebbe far venire l’orticaria. Mettiamo in ordine. Anzitutto la Legge: una precisa disposizione ANAC impone che i manager non possano rimanere nel loro ruolo per più di 8 anni e lei li aveva superati. Delle due l’una: o si applica la Legge, sempre, oppure la si cambia ma non si può derogare in virtù di non si sa bene cosa.  Secondo: il tetto degli stipendi. Anche lei sottoposta alla “dura” legge del compenso limitato a 240 mila euro l’anno. Il mercato offe di più? E allora? Dov’è il problema? Qualcuno forse dimentica che già prima di lei, è uscito Andrea Fabiano per andare a TIM oppure che si è “dimesso” Piero Gaffuri, figura chiave per l’applicazione del Piano Industriale poi miseramente accantonato? Non si ricorda tutto questo clamore e ci sarebbe materia per essere smaliziati. Magari ricordando il tema delle società di produzione esterne che potrebbero veder ridotto il loro peso in modo significativo. Anche in questo caso: o si accetta il presupposto che la Rai opera nel “mercato” e ne subisce o gestisce le regole, oppure ne è fuori. La sua natura ibrida la espone a tutto questo ma nessuno mai, finora, ha avuto voglia e coraggio di affrontare questo tema. Infine, Andreatta fino a non molte settimane addietro, era data “piazzata” per la successione a Salini di cui si diceva, appunto, che sarebbe andato a Netflix. Come ci piace ripetere: sotto l’albero del pero non cascano le mele.

Ieri pomeriggio, quando si stava spargendo la notizia, le nostre chat si sono animate e alcuni hanno espresso preoccupazioni sulla Rai (“una pedita per l’Azienda” … “una vera manager” etc). Personalmente, abbiamo qualche riserva già solo nel definire una persona “la regina delle fiction” come se, ad esempio, Montalbano fosse opera sua oppure Elena Ferrante una sua invenzione. Ognuno di noi è parte di un processo dove agiscono tanti elementi e riassumere in una figura onori e meriti non ci è mai piaciuto.

Detto questo, rimane dover constatare che la Rai è ormai sul piano inclinato di un impoverimento di risorse economiche, tecnologiche e per ultimo umane sempre più accentuato e non si avvertono rumori di guerra in sua difesa. Dal fortino di Viale Mazzini le sole voci che si sentono riguardano i vari personaggi e personaggetti che dovrebbero animare i vari talk show.

Nel frattempo, quello si, il mercato galoppa furente. Segnalo solo due articoli: il primo riguarda Rai Way e lo riporta MF : “Investitori schierati sulle torri. Il settore è in fermento per l'avvento del SG, che potrebbe portare a operazioni di M&A in Italia e in Europa. Raiway la più interessante …” a firma di Emerick De Narda. Si capisce perfettamente la logica finanziaria dell’operazione Rai Way per come è avvenuta per quanto la si vuole mantenere in vita: gli azionisti godono con i soldi pubblici.

Il secondo articolo lo pubblica il Sole 24 ore con il titolo “Tv, ecco il polo europeo dei contenuti” a firma Andrea Biondi. Appunto, il mercato si muove più velocemente di quanto qualcuno immagina e non aspetta e non consente ritardi in Italia e nel resto d’Europa. Netflix, appunto, corre, mentre la Rai è ferma. Punto. A capo.
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lunedì 22 giugno 2020

Due anni ... senza pietà


Sono trascorsi giusto appunto due anni: correva il giorno Mercoledì 20 giugno 2018 da quando è iniziato questo Blog. Allora, a quel tempo, ci si attendeva che sarebbe passata tanta acqua sotto i ponti e tante cose sarebbero state diverse da prima. Si nutrivano forti aspettative e una parola veniva spesso ripetuta: “cambiamento”. Eravamo nel pieno inizio della campagna elettorale per i canditati a diventare consiglieri di amministrazione Rai. Erano in corsa nomi eccellenti, interni ed esterni alla Rai, persone di elevato profilo e di comprovata esperienza e conoscenza del mondo delle telecomunicazioni e c’era solo l’imbarazzo della scelta. Eravamo nella fase di applicazione per la prima volta della nefasta Legge Renzi del 2015, quella che voleva “l’uomo solo al comando” un po’ a sua immagine e somiglianza. Sappiamo tutti come è andata a finire: quel Governo è cambiato (quasi) radicalmente e (in parte per fortuna) si è trascinato via buona parte delle nefandezze che aveva realizzato e provato a realizzare e ha dato vita a questo consiglio composto dai nomi che conosciamo. Nella storia di questi ultimi due anni, forse, rimarrà solo il disastro di una situazione economica dell’Azienda che mette in serio rischio il suo futuro. Il solo straccio di progetto, il piano industriale, è in frigorifero in attesa che scada come lo yoghurt per poi doverlo riscrivere di nuovo (al modico prezzo di centinaia di migliaia di Euro per realizzarlo e altrettanti per “metterlo a terra”).

Da osservare che un tratto unisce le due esperienze di Governo: entrambe hanno posto nel loro programma la volontà di riformare il Servizio Pubblico e l’intero sistema delle TLC.  Anche in questo caso, sappiamo o possiamo immaginare come andrà a finire. Con una piccola differenza: il sistema delle TLC si cambia da solo e non aspetta i tempi della politica. Vedi il tema banda larga e rete, vedi il tema refarming delle frequenze, vedi il tema della piattaforme streaming e dei nuovi contenuti editoriali. Come spesso è avvenuto nella storia, sarà la regolamentazione giuridica a correre dietro l’innovazione tecnologica e non viceversa (Ndr: è stato il tema della mia tesi di laurea). 

Rimane una certezza sull’uso della parola futuro che incute timore: nessuno ne parla. Nessuno, ragionevolmente, è in grado anche solo di supporre che tipo di Rai e di Servizio Pubblico Radiotelevisivo ci potranno essere nei prossimi anni. Da tempo distinguiamo l’Azienda Rai dal Servizio Pubblico, quasi che ormai i loro destini potrebbero essere segnati da sorti diverse, forse complementari ma non necessariamente uniche. In questo quadro, dato tale contesto, non stupisce più di tanto che gli argomenti sui quali riflettere e dibattere si inaridiscono, le persone si stancano e impigriscono. 

Stiamo uscendo, forse ne siamo già usciti (speriamo) dall’emergenza Coronavirus e come si usa dire, quasi nulla sarà come prima. Ieri Aldo Grasso sul Corriere in una sua nota titolava “Il ritorno del calcio e i rigori finali: una spinta al servizio pubblico” quasi fosse una benedizione divina, dimentico del fatto che il calcio in Rai è un’eccezione non la regola. E poi scrive: “Il calcio riporta soprattutto gli uomini davanti al teleschermo: è composto da maschi il 6o% della platea che ha seguito la finale. Sono inoltre la Campania (1,55 milioni) e la Lombardia (1,57 milioni) le regioni con la densità di pubblico maggiore per la finale. Cambiano anche le abitudini degli italiani. Molto in crescita il consumo tv su apparecchi digitali collegati in rete: gli ascolti lineari della Total Audience della finale di venerdì hanno superato i 650 mila stream”. A questo proposito, rivedete i dati di Auditel Standard Digitale dei mesi scorsi con quelli di questa settimana:


Questi invece quelli di una settimana a caso della fine dello scorso anno, prima di RaiPlay, prima di Fiorello e prima di Sanremo e prima ancora del lockdown:

Ci perdoneranno spero i nostri lettori esperti di analisi dati e marketing se operiamo un confronto sommario quanto impietoso. Con tutto il rispetto ma, come si dice … ci facciano il piacere … Ecco, in sintesi, questo il dibattito sul futuro della televisione nel nostro Paese, poco più o poco meno.

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sabato 20 giugno 2020

Il Sabato del Villaggio

Il sabato del villaggio. Questa mattina iniziamo con osservazioni di un nostro attento lettore. Ieri abbiamo scritto di “non luogo” e il riferimento alla Rai, non al Servizio Pubblico, era diretto a sostenere che “questa” Rai, questa Azienda incaricata di svolgere una “missione” di Servizio Pubblico comincia a da visibili e tangibili segni di sofferenza. Si tratta di sofferenza di identità (cosa è oggi ma anzitutto cosa dovrà essere domani), di credibilità (la percezione che si avverte nel Paese), di autorevolezza (non è più al centro della “narrazione” sociale, politica e culturale del Paese) di unicità e specificità. E’ divenuto un “operatore Tlc” al pari degli altri per quanto compete sul mercato della pubblicità mentre “dialoga” con la politica dalla quale ne deriva tutta la sua fragilità esistenziale. Ha ragione il nostro lettore: Augè si riferiva a “non luoghi” come gli aeroporti, le autostrade, i centri commerciali, i parcheggi cioè luoghi privi o deboli di propria identità sociale. Si potrà dibattere se e quanto è rilevante l’identità sociale e culturale della Rai ma si potrà, e forse si dovrà, dibattere quale sia la sua missione incerta, confusa e disordinata soprattutto se proiettata al prossimo futuro. I processi, come dicono gli avvocati, “si subiscono o si gestiscono”. Vedi pure quanto avviene negli altri Servizi Pubblici in Europa (BBC in particolare). Inoltre, lo stesso lettore, ci propone una ulteriore divagazione che ha molto il sapore storia: cosa sarebbe stata la Rai se invece che trasferirsi a Roma fosse rimasta a Torino dove è nata? Bella domanda, agli storici l’ardua risposta.

Un altro nostro lettore, dopo aver letto approfonditamente la rassegna stampa di oggi, ci suggerisce una domanda che in verità ci frullava per la testa da questa mattina quando abbiamo sentito dal Gr che oggi agli Stati Generali dovrebbe avvenire un confronto con le società partecipate dalla Stato e ci siamo chiesti: la Rai è stata invitata? La domanda del lettore è esattamente “Nella ricerca di una via italiana al digitale, noi (Rai) dove siamo?”. Si riferiva ad articoli comparsi oggi sul Sole e Repubblica. Domanda complessa ma una bozza di risposta noi l’abbiamo già data: negli investimenti in innovazione tecnologia, nel futuro della rete, nelle diverse piattaforme di distribuzione del prodotto editoriale siamo arretrati e senza progetto, senza visione oppure, nel migliore dei casi, se  pure qualcuno ha una visione non ha poi i soldi per sostenerla. Tutto qui. Semplice.

Sarebbe d’obbligo citare stralci dell’intervista di Celli oggi sul Fatto Quotidiano. No comment. Per quanto ci riguarda, a lui, a quel periodo storico ed al contesto politico che lo ha caratterizzato, facciamo risalire colpe e peccati di buona parte di quanto di negativo è avvenuto in Rai da allora in poi. L’ideologo, l’artefice, il pioniere delle “esternalizzazioni” è stato  proprio lui. Amen.

Infine, ieri seconda riunione del Cda: nominati i direttori del canale inglese (Ferragni) e Istituzionale (Mazza) con i voto contrario di Borioni e Laganà uscito dalla stanza. In alto mare i palinsesti.  

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venerdì 19 giugno 2020

Il Non Luogo della Rai


Questa mattina prosegue il Cda Rai iniziato lo scorso mercoledì. Si dovrebbe affrontare il tema dei canali inglese e istituzionale con relative nomine. Nel frattempo, rimane all’ordine del giorno l’emergenza conti e le previsioni di bilancio.    
Oggi, sul Fatto Quotidiano a firma Gianluca Roselli, un titolo significativo: “Banijay domina il servizio pubblico. Palinsesti L'anno scorso affidato in esterna il 29% tra programmi e fiction: a prevalere è l'ex Endemol”. Detta così potrebbe apparire anche poca cosa quando poi si legge che “il gruppo franco-italiano guidato da Marco Bassetti, con 1923 ore di trasmissione, detiene il 69,7% degli appalti totali della Rai, con un ricavo superiore a 120 milioni di euro l'anno” si capisce bene la rilevanza  del problema, che è economico in primo luogo ma editoriale in modo non meno importante. Non ripetiamo quanto già scritto: questa situazione viene da lontano e forse va anche oltre le responsabilità dell’attuale AD. In Rai da decenni, si è incrostata, imbullonata e incancrenita la sudditanza “energetica” dai potentati degli agenti e delle società di produzione esterne da quando (metà anni ’90) qualcuno, a sinistra... purtroppo, cominciò a teorizzare e praticare le “esternalizzazioni” di tutto il possibile immaginabile.

Dunque, frutti avvelenati di un albero marcio, da tempo, sotto il quale hanno prosperato e convissuto, se non complici almeno testimoni silenziosi, amici, parenti e conoscenti. Ora, di fronte al baratro prospettato da quanto riferito nella scorsa riunione del Cda, con prospettive di buchi per centinaia di milioni e fantasmi di 3000 licenziamenti, qualcosa e qualcuno sembrano muoversi. Semplificando: meglio tardi che mai. Ma rimaniamo sempre nell’ambito della sopravvivenza, non si riesce ad entrare nel mondo delle prospettive, dei progetti, dello sviluppo. Non ci sono soldi per “tirare a Campari” figuriamoci per innovare, per affrontare sfide tecnologiche e di prodotto che saranno decisive non già in un futuro chissaquando ma ora, oggi, domani. Il nemico alle porte ogni giorno spara a palle incatenate contro i cancelli di Viale Mazzini che cerca di resistere gongolandosi di qualche serata vinta con gli ascolti di partite di Coppa Italia e repliche di Montalbano ma sono, siamo, tutti consapevoli che non c’è un VII Cavalleria all’orizzonte pronto a salvare la Rai o quel che resta del Servizio Pubblico. Forse, qualcuno dimentica che siamo in piena corsa alla transizione al DVB-T2 che già prima del Coronavirus era preoccupante per la Rai, ora potrebbe essere ancora peggio.

Ecco, qui inizia la riflessione sul “non luogo”. Leggiamo dal Lessico del XXI Secolo della Treccani “Espressione introdotta dall’antropologo francese Marc Augé… (1992) in riferimento agli spazi architettonici e urbani di utilizzo transitorio, pubblico e impersonale, destinati a essere utilizzati in assenza di ogni forma di 'appropriazione' psicologica …si tratta di spazi altamente omologati nei quali l’uomo contemporaneo vive per tempi significativamente lunghi, non più riferiti a una struttura sociale organizzata in grado di favorire rapporti durevoli, privi di radicamento al contesto, alle tradizioni e alla storia, tipica espressione delle società globalizzate … La nozione di n. l. non presenta riferimenti a un qualsivoglia sistema di valori; ogni spazio è in grado di diventare luogo nella misura in cui accolga e favorisca l’interazione sociale, così come uno stesso spazio può essere luogo per alcuni e n. l. per altri: un aeroporto, per esempio, è un n. l. per chi vi transita ma è un luogo per chi vi lavora e v’intesse una serie di relazioni sociali”. La Rai e il Servizio Pubblico radiotelevisivo sono oggi la stessa cosa? Convivono nello stesso spazio sociale, politico e culturale del Paese? Condividono lo stesso destino? In un prossimo futuro utopico o distopico, quale potrebbe essere la loro sorte? Potranno esserci strade che si dividono: da un lato l’azienda incaricata di svolgere un servizio in concessione dallo Stato con determinati compiti da svolgere e dall’altro un Servizio Pubblico da assegnare a chi è in grado di farlo “meglio” sia dal punto di vista editoriale, quanto da quello economico e tecnologico?  Leggiamo sul Grande Portale della lingua Italiana di Rai Cultura: “L’espressione non luogo non significa, come si potrebbe immaginare, “luogo che non esiste”.  Significa invece luogo privo di un’identità, quindi un luogo anonimo, un luogo staccato da qualsiasi rapporto con il contorno sociale, con una tradizione, con una storia”. Ecco allora che si pongono altri interrogativi: in che termini, con quali paradigmi, si pone la Rai e/o il Servizio Pubblico con il  suo “contorno sociale”, con la collettività nazionale, con le sue diverse identità, con le sue tradizioni e la sua storia? In fin dei conti, il “palinsesto” del quale oggi si dovrebbe parlare in Cda, nei suoi diversi significati porta direttamente al mondo della “scrittura identitaria” destinata ad essere rivista e corretta, sovrapposta ad una precedente, che non lascia traccia del  passato e, a malapena, accenna al presente. Di futuro non se parla proprio.

Era prevista per i primi di luglio la presentazione, appunto, dei nuovi palinsesti Rai e, quanto sembra, verranno rinviati non appena certa la collocazione dei vari personaggi e personaggetti che affolleranno gli schermi delle prossime stagioni.  Ma anche per questo, ci vuole coraggio lo stesso che invocava Salini in una lettera pubblicata sul Corriere a marzo dello scorso anno “… ll talento non basta, ci vuole coraggio. E per la Rai, questo è il momento del coraggio." Che avrà voluto dire e a chi si riferiva???

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giovedì 18 giugno 2020

Fake Stories sui conti Rai


Le notizie passano, i racconti restano. Se c’è una cosa particolarmente irritante è la sensazione di essere presi in giro. Si tratta di quel sottile malumore che si avverte quando qualcuno cerca di spacciarti un suo racconto come se fosse “il  racconto”,  unico e universale. La notizia, o quella che si intende spacciare come tale sulla stampa di oggi, sarebbe che l’AD Salini vorrebbe “rivoluzionare” i conti della Rai, introducendo presunte novità nella gestione dei contratti con gli agenti e le società esterne e magari, se proprio necessario, utilizzare maggiormente le professionalità interne all’Azienda. Notioziona !!!

Ieri si è svolta la prima parte del Cda Rai (la seconda è prevista domani) dove, forse per la prima volta, qualcuno ha cominciato a rendersi conto dell’emergenza sulle risorse economiche di Viale Mazzini. È stato un Cda dove si è parlato di “lacrime e sangue” che l’Azienda dovrebbe versare per cercare di fronteggiare buchi di bilancio importanti. Prima di andare avanti, come al solito, è necessario fare un passo indietro a quando, nell’estate 2018, Salini di insedia al VII piano. A quel tempo, era già pressoché pronto il Piano industriale 2018-21 che, secondo quanto previsto dal Contratto di Servizio, sarebbe dovuto essere presentato in Vigilanza per il parere di competenza.  Come presumibile, sia lui che gli altri amministratori, di piani industriali di Servizio Pubblico fino a poche settimane prima del loro insediamento (non parliamo poi del DG non previsto dalla Legge) non sapevano nemmeno l’esistenza, figuriamoci i contenuti… tant’è che la presentazione viene rimandata di alcuni mesi, giusto il tempo di studiare le carte. Il rinvio poi diventa così lungo e complicato che, a causa della dannata emergenza Coronavirus, il Piano viene rinviato a fine 2020, a pochi mesi prima della sua scadenza naturale. La fake stories che si raccontava  fino a pochi mesi addietro era che il Piano fosse opera dell’AD. Ora non più. Amen.

Proseguiamo sulle fake stories. A leggere il racconto della giornata, sembra che l’AD voglia intestarsi una “rivoluzione” in grado di contenerne le perdite economiche  previste per l’anno in corso e, peggio ancora, per il prossimo. Si parla di cifre importanti, “ …ben che vada per quest’anno 50 milioni mentre per il prossimo si ipotizza molto, molto di più con cifre a tre numeri” ci dice una nostra fonte. Ma di cosa si è parlato esattamente in Cda?  A quanto sembra, è stato presentato un report da parte del CFO, Giovanni Pasciucco, con un piano di rientro sostanzioso che prevede tagli, riduzioni, spostamenti e contenimenti di costi di varia natura. Inoltre, e questa la notizia diffusa oggi sulla stampa, si vorrebbero introdurre “novità” nella gestione dei contratti con gli agenti artistici (i vari Presta e compagnia cantando) e le società di produzione. Nessuno ricorda che questo tema non è sceso dall’albero del pero e, ben che vada, è frutto di un preciso atto di indirizzo votato all’unanimità dalla Vigilanza da molti mesi e che la stessa ha dovuto ribadire e sollecitare Viale Mazzini ad applicare quanto indicato. Qualcuno ricorda le polemiche sul recente Sanremo, quando della  “scuderia Presta” ben tre personaggi di rilievo hanno condotto la musica? Si trattava di Amadeus, del genio della lampada Fiorello e dell’ospite Benigni.  Quindi nulla di nuovo, anzi. La stessa fake story di quando è stata varata la task force sulle fake news e venne spacciata come “grande novità” presentata addirittura con “orgoglio” quando pure questa era dettagliatamente prevista sempre nel Contratto di Servizio.

Chi vi scrive, notoriamente, fatica a mettere in riga la grammatica, figuriamoci la matematica. Però fino a fare due + due ci arriva. E allora, quando si tratta di mettere i conti in ordine solitamente si interviene riducendo i costi e aumentando le entrate. Sulla riduzione dei costi si apre un capitolo delicato e grave che potrebbe interessare, come qualcuno ha sostenuto, anche drastiche riduzioni di personale (è stata fatta anche la cifra di 3000 posti di lavoro) e ci riserviamo di approfondire. Sul capitolo entrate, rimane i grande mistero. Per quale dannato motivo qualcuno non si incatena di fronte al MISE per richiedere quanto la legge prevede sul canone da assegnare per intero alla Rai? Per quale dannato motivo qualcuno non  si incatena di fronte al MISE per ottenere quanto è stato indebitamente scippato dalle casse di Viale Mazzini e destinato ad altri scopi quando, notoriamente, il canone è “indisponibile”. Di tutto questo nessuno ne parla. O meglio, se ne parla eccome, ma solo per minacciare la sua riduzione o peggio la sua eliminazione. Proprio ieri, dal nostro personale archivio di ritagli, è galleggiato un pezzo a firma Giovanni Grasso (attuale portavoce di Mattarella) su Avvenire di qualche tempo fa: “A dicembre via il canone, tassa ingiusta”. Indovinate chi lo ha detto? Un certo Antonello Giacomelli, autorevole esponente PD (quale PD?) e candidato a dirigere l’AGCOM, in buona compagnia di altri esponenti dell’attuale Governo (Boccia e Patuanelli) che certamente non hanno a gran cuore le sorti del canone Rai.

Ecco allora che le fake stories prendono forma e diventano racconto quotidiano. Si distoglie l’attenzione dai grandi problemi, si inverte il loro ordine di rilevanza, di attenua il peso e la consistenza, si mescola tutto e si “butta in caciara” come si dice a Roma. Se qualcuno ha veramente voglia di affrontare il tema delle risorse Rai sa bene da che parte iniziar e sa benissimo a chi rivolgersi e dove porre la sola semplice domanda che quasi nessuno ha voglia di porre e alla quale nessuno ha voglia di rispondere: che si intende fare del Servizio Pubblico prossimo venturo?

Vorremo chiudere con una notizia (!!!) e una riflessione. La notizia è che è stato pubblicato il Digital News report 2020 del Reuters Institute dove, tra l’altro, si legge che il Brand Trust Scores vede Rai al quarto posto, dopo Ansa, Sky Tg24 e Il Sole 24 ore. Da leggere, il report è disponibile sul sito https://reutersinstitute.politics.ox.ac.uk/sites/default/files/2020-06/DNR_2020_FINAL.pdf .

Infine, la riflessione più impegnativa ce la teniamo da parte per i prossimi giorni e riguarda il “non luogo”  della Rai. Da tenere ben distinta dal Servizio Pubblico Radiotelevisivo di interesse strategico nazionale.

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mercoledì 17 giugno 2020

work in progress

Oggi Cda a Viale Mazzini con diversi argomenti in discussione.
Sulla stampa di oggi poche notizie. Aggiornamenti e approfondimenti in corso.

Ieri superate le 70 mila visualizzazioni!!! Grazie !!!

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martedì 16 giugno 2020

Ostinati e perversi


Tranquilli: oggi non c'è nulla di interessante da leggere sulla stampa... Acqua fresca.

Ci sono circostanze in cui si fatica a comprendere l’ostinata e pervicace determinazione a perseguire il male e ignorare il bene. Non ci riferiamo solo al peccato, che appartiene alle umane debolezze e può contare o sperare sempre sul Perdono Divino. Ci riferiamo alla consapevolezza che alcuni hanno,  o si presume che abbiano, di sbagliare e ciononostante di continuare a farlo. Parliamo dei costi Rai e delle produzioni esterne. Veniamo all’attualità: nei giorni scorsi è partito il nuovo spettacolo di Carlo Conti su Rai Uno. Leggiamo sul Messaggero.it: “L'esordio su RaiUno del nuovo show di Carlo Conti, 'Top Diecì, si aggiudica la serata alla prova dell'Auditel, risultando il programma più visto della domenica sera, con 3.969.000 spettatori e il 19.2% di share…Il nuovo show del conduttore toscano è stato pensato per essere trasmesso senza pubblico e nel rispetto delle distanze interpersonali... Senza pubblico in studio, poi, la produzione ha pensato di valorizzare il programma inserendo degli applausi registrati. Il programma, ha sottolineato il direttore di Rai1 Stefano Coletta, rappresenta “il punto di ripartenza delle prime serate dopo lo stop delle produzioni per il lockdown”. Allora, uno va a guardare chi lo produce e su Wikipedia e chi ti trova? Banijay !!! Abbiamo citato più volte il famoso articolo di Renato Franco sul Corriere del 27 ottobre scorso dove, appunto, si parlava di Banijay e dell’enorme spazio che occupa nel palinsesto di RaiUno, in particolare nel day time,  e abbiamo pure scritto che quell’articolo andrebbe incorniciato.

Ecco l’ostinazione e la pervicace attitudine a perseguire strade perverse. Ma è mai possibile che con centinaia, migliaia, di persone capaci, intelligenti e professionalmente attrezzate che lavorano in Rai, alcune delle quali inquadrate in strutture preposte istituzionalmente a proporre idee e nuovi format, non siano in grado di immaginare un programma e magari utile anche per essere venduto? E' mai possibile che le maggior parte delle produzioni di punta siano acquisti esterni? Che fine ha fatto la nuova Direzione Rai Format e cosa ha prodotto finora Rai Documentari? Delle due l’una: o chi lavora in Rai è incapace a pensare  oppure (come siamo convinti) è vero il contrario ma si preferisce ignorarli. Basti pensare ad una trasmissione come “Che tempo che fa” (Endemol e poi L’Officina) dove un conduttore intervista un intervistato. Comunque, per chi avesse voglia di capire esattamente quanto pesano le società di produzione esterne e gli agenti degli artisti, è sufficiente grigliare i palinsesti delle reti con i nomi dei proprietari dei format e dei conduttori. Tutto molto semplice: secondo Viale Mazzini “RaiUno dedica alla produzione esterna il 24,6% delle ore di prima trasmissione (1.823 ore rispetto ad un totale netto di 7.424 ore), RaiDue dedica il 26.21% (2.158 ore rispetto ad un totale netto di 8.237 ore), mentre Rai Tre dedica alla produzione esterna il 14,66% di ore (953 ore rispetto ad un totale netto di 6.505 ore)”. A novembre 2018 Salini dichiarò in Vigilanza:  “Il valore delle commesse in cui sono coinvolte società di produzione esterna ammonta complessivamente a circa 131 milioni di euro nel 2017. Più nello specifico dei 131 milioni di euro complessivi il valore dei contratti verso le società esterne di produzione per l’appalto totale unitamente all’acquisto del format ammonta a circa 75 milioni di euro nel 2017. I restanti 56 milioni di euro si riferiscono a costi per il reperimento delle risorse artistiche e a costi di natura produttiva non compresi  nell’appalto (conduzioni, studi, scenografia)”. Nei prossimi giorni lo stesso AD è  stato convocato per riferire sullo stato di attuazione dell’indirizzo della Vigilanza stessa sul  tema agenti esterni.... Vedremo..come pure vedremo di cosa saranno composti i prossimi palinsesti che verranno presentanti alla fine del mese.

Quando si trattano questi argomenti si avverte un sottile senso di malessere e di fastidio. Ci sono momenti in cui viene da chiedersi quanto sia lecito difendere ancora questo canone, questa Rai (non il Servizio Pubblico). 

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lunedì 15 giugno 2020

Covid e conti Rai

La settimana inizia maluccio. Questa mattina di importante c’è solo la notizia relativa alla presenza del Covid a Saxa Rubra. È una notizia grave e preoccupante.

Per il resto, segnaliamo solo un problema non meno rilevante e direttamente collegato a questa notizia del quale abbiamo accennato in un post precedente: come potrà essere l’organizzazione del lavoro in Rai dopo l’emergenza del Coronavirus? Al momento, la maggioranza dei dipendenti di Viale Mazzini sono in home working e non è affatto chiaro quando potranno tornare alla “normalità”. Il problema non è tanto sul quando ma sul come e su quanti. Sul come significa logistica, organizzazione, sicurezza etc. e si tratta di problemi di relativa e facile soluzione, ma è il “quanti” che pone alcune riflessioni assai complesse e delicate che sarebbe un grave errore sottovalutare o peggio ignorare. Un problema di questo genere è del tutto simile a quello che si porrà con i bambini a scuola o negli stadi senza pubblico: un luogo di lavoro è anche un luogo della socialità, della vicinanza, dello scambio di competenze e conoscenze. 

L’home working ha consentito la più vasta e profonda sperimentazione di nuovi modelli di organizzazione aziendale che potrebbero essere solo un anticipo di quanto sarebbe potuto accadere in un prossimo futuro con l’avvento delle nuove tecnologie di produzione anche senza il meteorite Covid. Esempio: la realizzazione di riprese “remotate” senza operatori e quindi senza l’invio di costose squadre attrezzate di vari mezzi è una possibilità concreta che consentirebbe di ottenere sostanziali risparmi. Come pure per le trasmissioni di intrattenimento, la presenza di ospiti in studio, in questo periodo tutti tramite collegamenti streaming, significa altri risparmi per spese di trasporto, ospitalità, gestione dello studio etc.

Presto o tardi ci sarà qualcuno che porrà questo problema: quante persone saranno necessarie per garantire continuità del Servizio Pubblico per il costo che è necessario sostenere? E torniamo sempre al cuore del problema: i computi economici. Il Coronavirus non ha fatto altro che aggravare la situazione, non tanto sul fronte della mera analisi di bilancio quanto più sul piano generale dei costi/benefici. Le poste in palio sono determinate da un semplice rapporto: quanto entra da canone e pubblicità per quanto si spende in produzione e organizzazione.   

Intanto, continua la martellante campagna contro il canone: il prode Anzaldi non passa giorno senza che lanci un messaggio minaccioso: “A cosa serve pagare il canone Rai?”. Nessuno risponde a suo favore ma nemmeno contro e non è un buon segno. Significa solo che il “malumore” nel Governo verso questa tassa potrebbe essere più diffuso di quanto appare (da non dimenticare recenti dichiarazioni di Patuanelli e Boccia, M5S e PD in buona compagnia di Salvini e soci).

Come al solito, la metafora dello schiacciasassi è convincente: o stai sotto e fai parte dei sassi o stai sopra e dirigi la macchina. Basta scegliere.

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