lunedì 28 febbraio 2022

La Diplomazia sostanziale, l'Apocalisse e la Rai



Scusate il ritardo ma, potete bene immaginare, non è facile scrivere di Rai in queste circostanze.

Chi vi scrive ha trascorso molti anni della sua gioventù in collegio. Non era gestito dalle Pie Ancelle delle Orsoline e non si trovava sul lago di Lucerna. I ragazzi che ci vivevano non erano tutti proprio dei giovincelli dorati, viziati e pasciuti. Tra di noi vigeva una specie di tacito accordo di pacifica convivenza civile. Per tutte le controversie dove non arrivava il Direttore (e in genere arrivava sempre prima e dovunque), ce la vedevamo da soli e spesso volavano sganassoni. Succedeva che ogni tanto arrivava un nuovo ospite che, per cercare spazio, si atteggiava a bullo prepotente e aggressivo. Lo scenario era noto: anzitutto interveniva il Direttore e il suo fido “assistente” Franco (un armadio a quattro ante che solo a vederlo metteva soggezione tanto forte quanto innocuo, bastava solo il suo sguardo per rimettere ordine) che mettevano subito il bullo in condizioni di non nuocere, facendogli amichevolmente capire A) che le regole del Collegio non prevedono l’uso della violenza B) che non gli conveniva affatto provare ad assumere atteggiamenti minacciosi e aggressivi. Se mai le prime due regole non fossero state ben comprese c’era la regola C: prima ancora che il bullo provava a sollevare un pugno gliene arrivava uno che lo metteva subito in riga. Punto. Il bullo era neutralizzato. Questa era la nostra “diplomazia” e funzionava benissimo. Ne siamo usciti tutti sani e salvi.

Ora invece abbiamo la minaccia dell’Apocalisse dietro la porta. Questo il sentimento che si sta instillando. Questo il messaggio ricorrente che si sta diffondendo. Questa la sensazione che si sta respirando. Piaccia o meno, ma il rumore delle armi arriva fin sotto casa nostra e per alcuni, per un verso o per un altro, tutto questo appare anche come giusto e giustificabile.

Appunti sommari. Una pistola, un missile anticarro, un carro armato sono armi difensive o offensive? Produrre armi, venderle o regalarle è un atto pacifico o aggressivo? Ci sono guerre “giuste” ed altre “ingiuste”? la democrazia si può “esportare” sui cingoli dei cannoni? I “danni collaterali” ovvero le vittime civili sono ammissibili e, semmai lo fossero, in che misura sono quantificabili, in termini assoluti o percentuali sui militari? Sono interrogativi che ci poniamo da tempo.

Ieri abbiamo pubblicato semplicemente il testo dell’Art. 11 della nostra Costituzione “L’Italia ripudia la guerra come strumento di soluzione delle controversie tra i popoli …” e ci poniamo, da tempo, il dubbio se mai è ancora valido oppure qualcuno se lo è dimenticato. Ci siamo posti questo interrogativo, in epoca recente, già da quando il nostro Paese ha partecipato attivamente alla Guerra nei Balcani (1994, Governo D'Alema con Ministro della Difesa Sergio Mattarella). “I nostri piloti hanno partecipato a 1378 missioni effettuate con 54 velivoli messi a disposizione della NATO. Hanno sganciato centinaia di bombe e 115 missili Harm ognuno dei quali ha un costo di 900 milioni. I nostri aerei sono stati impiegati sia in missioni di difesa aerea, sia in missioni di attacco” ebbe a dire il Generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa (intervista al Corriere della Sera del 12 giugno 1999). Questo interrogativo ce lo siamo posti ancora quando abbiamo partecipato con i nostri caccia da combattimento e i nostri blindati alla “missione di pace” in Afghanistan (e abbiamo visto come è andata finire). E allora? Siamo vincolati ancora a quel dettato costituzionale oppure riteniamo che la strada della trattativa debba essere in ogni modo, in ogni luogo e per tutte le circostanze la strada maestra da perseguire sempre? Ad ascoltare in queste ore alcuni nostri componenti del nostro Governo ci corre qualche dubbio se questo principio sia ancora valido e condiviso. Leggiamo un titolo sul Corriere di oggi "Missili e soldati: così l'Italia aiuta l'Ucraina".

Come ci piace scrivere, i fenomeni sociali, economici e politici non avvengono mai, mai, per caso. Tutto segue una logica, un filo, un disegno che solitamente è chiaro da tempo per tutti. Putin è una creatura venuto dal nulla? È  stato “inventato” lo scorso 24 febbraio quando ha deciso di invadere l’Ucraina oppure era noto da tempo, a tutti, quali fossero i disegni che si stavano tracciando non solo in Ucraina ma in tutto il perimetro dei rapporti tra Russia e resto del mondo? Chi aveva ratificato e sostenuto gli accordi di Minsk 1 e Minsk2? I due accordi (2014 e 2015) portano anzitutto le firme di  Hollande (Francia) Merkel (Germania) insieme a Putin e  che poi saranno approvati da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Se non che, sono passati ben sei anni, e gli accordi non sono stati rispettati da tutte le parti, compresa l’Ucraina, mentre solo ora si rievocano per dire che “La "piena attuazione degli accordi di Minsk, l'unico modo possibile per ottenere una soluzione politica duratura del conflitto nell'est Ucraina” come hanno dichiarato i ministri degli Esteri del G7 in una dichiarazione congiunta al recente vertice dei giorni scorsi. Lo sapevano tutti da tempo, ben prima del 24 febbraio quale era la strada da percorrere per impedire la guerra. Andate poi a rivedre il comunicato finale del G7 dello scorso giugno e quanta attenzione hano dedicato all'argomento: pressochè nulla.

Veniamo alla Rai: due note. La prima riguarda la “copertura” dell’evento più importante in assoluto degli ultimi decenni. La scorsa notte, quando sembrava di essere sull’orlo della catastrofe assoluta, sulla prima rete nazionale andava in onda la replica di Montalbano e uno speciale su Rai Tre, salvo poi trovare un buco introno alle 23 per quasi un’ora. Siamo dell’opinione che questo non possa e non debba accadere: in tali circostanze ci dovrebbe essere uno spazio di approfondimento e di aggiornamento costante in prima serata su RaiUno e non ci si venga a dire che la copertura è garantita da RaiNews24 che pure in questi momenti non supera cifre di ascolti da elenco telefonico. La seconda nota, vi è stata suggerita, riguarda la “sinergia” tra le diverse testate giornalistiche con i corrispondenti sul teatro di guerra. Forse è vero, ma è solo il minimo sindacale per un’Azienda che dovrebbe avere un coordinamento giornalistico efficiente, organico e funzionale adeguato, la cosiddetta “newsroom” che ancora sembra ben lontana anche solo dall’essere immaginata.   

bloggorai@gmail.com

La Diplomazia sostanziale, la Guerra Nucleare e la Rai



 

La Diplomazia sostanziale, l'Apocalisse e la Rai

Foto di Clker-Free-Vector-Images da  

Scusate il ritardo ma, potete bene immaginare, che non è facile scrivere di Rai in queste circostanze.

Chi vi scrive ha trascorso molti anni della sua gioventù in collegio. Non era gestito dalle Pie Ancelle delle Orsoline e non si trovava sul lago di Lucerna. I ragazzi che ci vivevano non erano tutti proprio dei giovincelli dorati, viziati e pasciuti. Tra di noi vigeva una specie di tacito accordo di pacifica convivenza civile. Per tutte le controversie dove non arrivava il Direttore (e in genere arrivava sempre prima e dovunque), ce la vedevamo da soli e spesso volavano sganassoni. Succedeva che ogni tanto arrivava un nuovo ospite che, per cercare spazio, si atteggiava a bullo prepotente e aggressivo. Lo scenario era noto: anzitutto interveniva il Direttore e il suo fido “assistente” Franco (un armadio a quattro ante che solo a vederlo metteva soggezione tanto forte quanto innocuo, bastava solo il suo sguardo per rimettere ordine) che mettevano subito il bullo in condizioni di non nuocere, facendogli amichevolmente capire A) che le regole del Collegio non prevedono l’uso della violenza B) che non gli conveniva affatto provare ad assumere atteggiamenti minacciosi e aggressivi. Se mai le prime due regole non fossero state ben comprese c’era la regola C: prima ancora che il bullo provava a sollevare un pugno gliene arrivava uno che lo metteva subito in riga. Punto. Il bullo era neutralizzato. Questa era la nostra “diplomazia” e funzionava benissimo. Ne siamo usciti tutti sani e salvi.

Ora invece abbiamo la minaccia dell’Apocalisse dietro la porta. Questo il sentimento che si sta instillando. Questo il messaggio ricorrente che si sta diffondendo. Questa la sensazione che si sta respirando. Piaccia o meno, ma il rumore delle armi arriva fin sotto casa nostra e per alcuni, per un verso o per un altro, tutto questo appare anche come giusto e giustificabile.

Appunti sommari. Una pistola, un missile anticarro, un carro armato sono armi difensive o offensive? Produrre armi, venderle o regalarle è un atto pacifico o aggressivo? Ci sono guerre “giuste” ed altre “ingiuste”? la democrazia si può “esportare” sui cingoli dei cannoni? I “danni collaterali” ovvero le vittime civili sono ammissibili e, semmai lo fossero, in che misura sono quantificabili, in termini assoluti o percentuali sui militari? Sono interrogativi che ci poniamo da tempo.

Ieri abbiamo pubblicato semplicemente il testo dell’Art. 11 della nostra Costituzione “L’Italia ripudia la guerra come strumento di soluzione delle controversie tra i popoli …” e ci poniamo, da tempo, il dubbio se mai è ancora valido oppure qualcuno se lo è dimenticato. Ci siamo posti questo interrogativo, in epoca recente, già da quando il nostro Paese ha partecipato attivamente alla Guerra nei Balcani (1994, Governo D'Alema con Ministro della Difesa Sergio Mattarella). “I nostri piloti hanno partecipato a 1378 missioni effettuate con 54 velivoli messi a disposizione della NATO. Hanno sganciato centinaia di bombe e 115 missili Harm ognuno dei quali ha un costo di 900 milioni. I nostri aerei sono stati impiegati sia in missioni di difesa aerea, sia in missioni di attacco” ebbe a dire il Generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa (intervista al Corriere della Sera del 12 giugno 1999). Questo interrogativo ce lo siamo posti ancora quando abbiamo partecipato con i nostri caccia da combattimento e i nostri blindati alla “missione di pace” in Afghanistan (e abbiamo visto come è andata finire). E allora? Siamo vincolati ancora a quel dettato costituzionale oppure riteniamo che la strada della trattativa debba essere in ogni modo, in ogni luogo e per tutte le circostanze la strada maestra da perseguire sempre? Ad ascoltare in queste ore alcuni nostri componenti del nostro Governo ci corre qualche dubbio se questo principio sia ancora valido e condiviso.

Come ci piace scrivere, i fenomeni sociali, economici e politici non avvengono mai, mai, per caso. Tutto segue una logica, un filo, un disegno che solitamente è chiaro da tempo per tutti. Putin è una creatura venuto dal nulla? È  stato “inventato” lo scorso 24 febbraio quando ha deciso di invadere l’Ucraina oppure era noto da tempo, a tutti, quali fossero i disegni che si stavano tracciando non solo in Ucraina ma in tutto il perimetro dei rapporti tra Russia e resto del mondo? Chi aveva ratificato e sostenuto gli accordi di Minsk 1 e Minsk2? I due accordi (2014 e 2015) portano anzitutto le firme di  Hollande (Francia) Merkel (Germania) insieme a Putin e  che poi saranno approvati da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Se non che, sono passati ben sei anni, e gli accordi non sono stati rispettati da tutte le parti, compresa l’Ucraina, mentre solo ora si rievocano per dire che “La "piena attuazione degli accordi di Minsk, l'unico modo possibile per ottenere una soluzione politica duratura del conflitto nell'est Ucraina” come hanno dichiarato i ministri degli Esteri del G7 in una dichiarazione congiunta al recente vertice dei giorni scorsi. Lo sapevano tutti da tempo, ben prima del 24 febbraio quale era la strada da percorrere per impedire la guerra.

Veniamo alla Rai: due note. La prima riguarda la “copertura” dell’evento più importante in assoluto degli ultimi decenni. La scorsa notte, quando sembrava di essere sull’orlo della catastrofe assoluta, sulla prima rete nazionale andava in onda la replica di Montalbano e uno speciale su Rai Tre, salvo poi trovare un buco introno alle 23 per quasi un’ora. Siamo dell’opinione che questo non possa e non debba accadere: in tali circostanze ci dovrebbe essere uno spazio di approfondimento e di aggiornamento costante in prima serata su RaiUno e non ci si venga a dire che la copertura è garantita da RaiNews24 che pure in questi momenti non supera cifre di ascolti da elenco telefonico. La seconda nota, vi è stata suggerita, riguarda la “sinergia” tra le diverse testate giornalistiche con i corrispondenti sul teatro di guerra. Forse è vero, ma è solo il minimo sindacale per un’Azienda che dovrebbe avere un coordinamento giornalistico efficiente, organico e funzionale adeguato, la cosiddetta “newsroom” che ancora sembra ben lontana anche solo dall’essere immaginata.   

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domenica 27 febbraio 2022

La Costituzione e la Guerra

 Costituzione della Repubblica Italiana 

Articolo 11

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

sabato 26 febbraio 2022

La Rai e la Guerra

Foto di Michael Treu da Pixabay

Quali potrebbero essere i dannati buoni motivi per scrivere qualcosa di sensato sulla Rai e il suo futuro? Proviamo a buttare li domande a casaccio, random, come capita capita…tanto se pure le metti in fila o in ordine il risultato non cambia.

Perché scrivere di Rai quando in uno dei giorni più oscuri di questi ultimi anni Rai Uno manda in onda in prima serata la 28° replica di Montalbano e l’argomento Guerra viene spostato su Rai Tre? Perché scrivere di Rai quando ti rendi conto che il solo argomento che invece suscita pruriti, fervore, entusiasmo e curiosità è solo Sanremo una volta l’anno? Perché scrivere di Rai quando ti tocca leggere che i Tg mandano in onda spezzoni di videogiochi di guerra spacciandoli per filmati originali? Perché scrivere di Rai quando leggi che un dirigente arrestato sembra minacciare di vuotare il sacco e coinvolgere altre persone? Perché scrivere di Rai quando tra Usigrai e AD si prendono a sportellate sostenendo l’uno il contrario di quanto sostiene l’altro e per sapere quale può essere la verità bisognerà attendere la sentenza di un Tribunale? Perché scrivere di Rai quando leggi il documento del Presidente della Vigilanza Barachini dove si ipotizza di togliere la pubblicità dal budget Rai e ti redi conto che non ha suscitato alcuna curiosità e nessuno a Viale Mazzini tira un fiato, un'osservazione, un commento? Per inciso: nessuno! Perché scrivere di Rai quando leggi per l’ennesima volta che si vorrebbe vendere la quota di Rai Way e scendere sotto la soglia del 51% ed è come se nulla fosse? Perché scrivere di Rai quando si fanno contratti di collaborazione con personaggi esterni sulla comunicazione (Caprara e Giannotti … un “esterno di ritorno”) e nessuno obietta nulla? Perché ostinatamente la Rai continua a fare sponsorizzazioni alla concorrenza quale che sia Mediaset, Amazon o Netflix senza sapere quale possa essere il suo vantaggio? Perché dover leggere (e ascoltare) i fuori onda di Di Bella e Annunziata sulla guerra in Ucraina che poi hanno chiesto scusa ma comunque rimangono a commentare? 

Potremmo andare avanti per pagine di Bloggorai sempre consapevoli che è difficile trovare risposte. Quando su WhatApp girano le notizie riportate da amici e colleghi sulle vicende poco onorevoli che riguardano la Rai ormai non si sa più come commentare: sono esauriti gli aggettivi. Già … sono esauriti gli aggettivi e si stanno esaurendo pure i motivi che rendono occuparsi del Servizio Pubblico un’occupazione migliore di raccogliere francobolli giapponesi sui mandorli in fiore.

Nel frattempo è scoppiata una guerra, l’ennesima di questo squarcio di millennio. Avvertiamo un sentimento diffuso: ci stavamo preparando ad una primavera di liberazione dal Covid, ci stavamo organizzando la nuova vita, simile a quella precedente alla pandemia, un ritorno ad una specie di “normalità” senza mascherine, senza green pass e senza bollettini quotidiani di morti e ricoverati. Tutto sempre adeguatamente corredato di immagini e interviste terrorizzanti e minacciose ed ecco arrivare la Guerra con il suo carico di preoccupazioni, orrore, dramma e tragedia. Sembra quasi che ci sia un oscuro Super Mefistofele, un Diavolo Globale, che governa i tempi scenici del terrore nel mondo e, dobbiamo aggiungere, sapientemente accompagnato dai teorici del “paurismo mediatico”. Quando si tratta di alimentare la tensione sono tutti maestri del giornalismo, come si dice “fa notizia” e invece quando si tratta di gestire e comunicare la normalità (e magari pure la serenità, la felicità della possibile fine di un pericolo) sembra quasi che gli fa schifo …  

Per quanto ci riguarda, torniamo sempre alla nostra banale semplice quanto sostenibile teoria fondamentale della fisica applicata alla società e alla politica: il Vuoto non esiste in natura, uno spazio, quale che sia, deve essere necessariamente occupato da qualcuno o da qualcosa. In questo caso la Guerra in Ucraina scoppia semplicemente perché nessuno è stato in grado di impedirla, per incapacità o forse per convenienza. Putin occupa lo spazio che USA, Europa, Nato e compagnia cantando gli hanno lasciato libero. Qualcuno può ragionevolmente credere che non c’erano mezzi per fermarlo prima e dissuaderlo dalla guerra? Qualcuno crede ragionevolmente che Putin avrebbe potuto sopportare a lungo il bullismo di chi si preoccupa solo di esportare e vendere armi all’Ucraina e agli altri paesi confinanti con la Russia? Qualcuno, ragionevolmente, non ha messo nel conto il rafforzamento della sua alleanza con la Cina? Qualcuno non ha messo nel conto che le sanzioni servono prima e non dopo? Qualcuno non ha messo nel conto la nostra fragilità energetica (torniamo al carbone!!! Sic !!!) come pure, ad esempio, quella sui fertilizzanti (ne siamo dipendenti all’85%). Qualcuno è verosimile che dovesse sapere e non dall’altro ieri. Cosa è stato fatto per prevenire tutto questo? La Guerra scoppia semplicemente perché certifica ancora una volta la paralisi e la pressoché inutilità delle istituzioni internazionali. La guerra scoppia perché, come al solito, a molti conviene farla scoppiare. La guerra scoppia perché molti hanno la memoria a fisarmonica e funziona a corrente alternata. Tutti hanno già dimenticato la guerra nei Balcani e perché l’Italia vi ha partecipato? Tutti hanno già dimenticato la guerra in Iraq, i missili di notte su Bagdad cha hanno colpito scuole ed ospedali con un certo Colin Powell all’ONU con la finta polverina dell’antrace e i cartoni animati con i finti camion pieni di “armi di distruzione di massa” salvo poi trovare cerbottane e mazzafionde? Tutti hanno dimenticato le innumerevoli risoluzioni dell’ONU sul Medio Oriente regolarmente ignorate e disattese? Tutti hanno dimenticato l’Afghanistan, la guerra più inutile e drammatica degli ultimi 10 millenni che dopo 20 anni è servita solo a tornare al punto di partenza con i Talebani al potere come e forse meglio di prima? Tutti hanno dimenticato la guerra in Libia che ancora non si capisce a chi è stata utile se non a gettare la regione nel caos dal quale ancora non si vede via si soluzione?

C’è la guerra e non sono pochi coloro che male che vada in video paventano la terrificante minaccia nucleare e, nel migliore dei casi, pensano bene di inviare 3200 soldati italiani a rafforzare i contingenti NATO. La storia è materia ostica da apprendere e faticosa da ricordare. Dipende solo se conviene farlo.

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venerdì 25 febbraio 2022

 


La guerra è in corso ...

Oggi sulla Rai nulla da segnalare... o meglio ci sarebbe pure molto ... attendiamo sviluppi.


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giovedì 24 febbraio 2022

La Rai Way ... sta come torre ferma che non crolla giammai la cima per soffiar di 'venti


In questi giorni, in queste ore, grande fermento di avvocati e inquirenti in giro tra Viale Giulio Cesare, Viale Mazzini e Piazzale Clodio. Del resto, in zona c’è una consolidata tradizione di Affari Legali: quando si tratta di gestire centinaia di vertenze e citazioni in giudizio e resistere fino in Cassazione sembra che siano tutti sempre grandi principi del Foro. Tanto, se pure qualche sentenza dovesse andare di traverso, la responsabilità almeno morale si potrà sempre addebitare a qualcun altro.

Oggi brevi note: la Vigilanza ieri ha espresso un atto di indirizzo dove si chiede alla Rai di ripristinare lo spazio notturno della TgR ed ha “bacchettato” gli integralismi anti No Vax (alla Maggioni gli saranno fischiate le orecchie: tutti debbono poter esprimere la opinione).

L’articolo di eri su Repubblica ha alzato il livello di fibrillazione al VII Piano. Si attendono sviluppi.

Oggi lettera del deputato Michele Anzaldi pubblicata su MF: “Le torri Rai sono un patrimonio di tutti”. Già, e forse proprio per questo meritano, da tempo, un attenzione che invece nessuno gli presta (compresa la stessa Rai che pure paga un lauto canone di noleggio di oltre 190 mln l’anno alla quotata di Via Teulada). Salvo che, ogni tanto, qualcuno si sveglia e si accorge che c’è una grande torre che sovrasta la città e si chiede: a cosa serve? Appunto, a cosa serve le rete delle torri, molte di altra quota, destinate a breve tempo a diventare ferro vecchio quando la transizione digitale le renderà obsolete? 

La domanda corretta non è tanto se conviene mantenere il 51% del controllo di Rai Way quanto invece è: quale politica industriale l’Azienda pubblica intende perseguire nella gestione delle rete di distribuzione del segnale radiotelevisivo? Per paradossale che possa apparire, potrebbe anche essere conveniente vendere oggi e con i ricavati sostenere investimenti e sviluppo nel broadband che sarà inevitabilmente l'architettura di una buona parte del futuro della distribuzione dei prodotti audiovisivi, come del resto sta già avvenendo da anni.

Il problema semplice semplice è che di tutto questo per alcuni abitanti di Viale Mazzini non sanno nemmeno di cosa si tratta, nella Bozza di Piano industriale di roba del genere non c’è traccia ed abbiamo forti dubbi che il Cda se be sia mai occupato (siamo in attesa di notizie). Tutti presi dal “nuovo modello organizzativo” (“nuovo” si fa per dire …) mentre invece di futuro, di investimenti, di sviluppo ovvero di “andare in debito” ovvero chiedere prestiti per sostenere operazioni di crescita non se ne parla proprio.

Cmq, a farla breve: la notizia del DPCM per la vendita di rai Way è tutta da verificare: ben che vada è stato un boatos che da anni (dal 2014) si rincorre ed è solo utile a far intascare un rapidissimo guadagno in Borsa; nella peggiore delle ipotesi, è una operazione lunga e complessa dove potrebbe non esser sufficiente un semplice DPCM ma un provvedimento di rango superiore. Fermo restando che una operazione del genere segna pure un tratto distintivo del quale su Bloggorai abbiamo accennato da tempo: cosa intende fare il Governo Draghi delle società pubbliche controllate? Da tempo si avverte il profumino neoliberista di una nuova stagione di privatizzazioni e questa vicenda potrebbe essere un piccolo tassello dei un grande progetto. Che poi possa convenire o meno alla Rai è tutto da discutere. Per il momento, l’argomento sembra interessare in parte Palazzo Chigi e tanto alla concorrenza. Per il Governo si prendono tanti piccioni con una sola fava (poveri piccioni), per la Rai non ne siamo tanto sicuri che l’operazione sia vantaggiosa se, come la si vuole fare apparire, servirebbe solo a tappare i buchi del bilancio.

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mercoledì 23 febbraio 2022

Il grande disegno intorno alla barchetta Rai






 

Il grande disegno intorno alla barchetta Rai

Foto di Gordon Johnson da Pixabay

In genere, quando si invoca il “modello BBC” sarebbe giusto mettere mano al portafoglio per proteggerlo adeguatamente. Tra l’altro, proprio di questi tempi con l’attuale governo britannico, non si intravvedono un buon futuro  per l’emittente pubblica esattamente sul fronte economico, più o meno come la Rai. 

Dunque, solitamente quando si cita la BBC avviene quasi per avocare un modello di virtù, di credibilità, di autonomia e indipendenza dalla politica e di efficienza. Spesso, però, si dimentica di aggiungere che tutto questo è dovuto per buona parte anche al fatto che non è sottoposta ai vincoli della tv commerciale e che si può permettere di puntare solo alla qualità del prodotto. Per quanto ci riguarda, ci mettiamo la firma subito. Però … però … però … c’è profumino di trappolone. Ovvero, si cerca di tratteggiare un grande disegno.

Allora, cerchiamo di mettere in fila qualche elemento.

DECRETO LEGISLATIVO 8 novembre 2021, n. 208: leggiamo quanto dichiarato da Fuortes a seguito dell’adozione di questo provvedimento “I nuovi limiti colpiscono innanzitutto Rai1, che nella fascia 18:00-24:00, cioè la fascia più importante, vedrebbe ridotti del 26% i secondi disponibili rispetto ad oggi, questo con affollamento al 7%. Con affollamento al 6% la riduzione sarebbe del 36%. …”. Di fatto, è vero che il DPCM penalizza la Rai e la immette nel circuito della progressiva riduzione del perimetro delle risorse derivanti da pubblicità. Puzza di bruciato e quasi tutti tacciono e i primi a tacere sono gli “amici” del Servizio Pubblico, dovunque essi siano. Però, si obietta, va tutto a favore di una “Rai di qualità” che non deve essere succube dello Share (Fuortes dixit).  

La commissione di Vigilanza diventa il palcoscenico dove va in scena il dramma delle risorse Rai. Si paventa il buco di bilancio, si denunciano sia le distorsioni e i prelievi ingiustificati sia l’inadeguatezza del canone e si espone la famigerata teoria del “pareggio di bilancio” come se fosse una normale negozio di frutta e verdura. La presidente Soldi si spinge oltre: “E’ essenziale che la futura riforma metta la Rai in condizioni di agire con vera logica di impresa” senza specificare che ci sono imprese di tipo pubblico e imprese di tipo privato che perseguono logiche ed obiettivi diversi e, talvolta, opposti. Ridotti ai minimi termini: le imprese private mirano al profitto, quelle pubbliche all‘adempimento degli obblighi previsti dalle Leggi.

Il perno di molti ragionamenti e dibattito è uno solo: il canone. Fuortes espone un ragionamento suggestivo: “il servizio pubblico italiano è complessivamente sotto finanziato … ” e poi “ …Interrogato sulla possibilità di finanziare la Rai solo attraverso il canone, Fuortes ha precisato: E’ assolutamente possibile avere un finanziamento solo attraverso il canone, ma dovrebbe essere aumentato rispetto agli attuali 90 euro” ( https://www.primaonline.it/2022/01/18/342586/rai-fuortes-servono-risorse-certe-e-adeguate/ ). Apriti cielo!!! Magari poi ha smentito (“ … non ho mai chiesto di aumentarlo in alcuna sede di un solo euro, nonostante quello italiano sia il più basso dell'Unione Europea" ipse dixit in Commissione Senato l’8 febbraio) ma questo pensiero non fa una piega, ci mettiamo la firma anche noi. Ci troviamo in bilico tra dimensioni puramente concettuali (cosa deve essere un Servizio Pubblico e come si deve finanziare) e alchimie contabili e/o finanziarie.

Il crocevia di tutti questi ragionamenti si trova al Senato dove avvengono le audizioni sulle diverse proposte di riforma della Governance Rai avanzati da quasi tutti i partiti. Ieri si svela un piccolo ma significato passaggio: su iniziativa del presidente della Vigilanza Barachini e in collaborazione con il PD Andrea Romano, viene reso noto (informalmente, vedi Bloggorai di ieri) una “Bozza del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sui i modelli di governance e il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo, anche con riferimento al quadro europeo e agli scenari del mercato audiovisivo” dove si vorrebbe riassumere per grandi linee una traccia di un nuovo disegno di Legge di riordino e superamento della 205 del 2015 da condividere nella maggioranza di Governo. Quali sono i punti fondamentali? Il primo e di carattere assolutamente strategico è la tendenza a togliere la pubblicità dal budget Rai per farla vivere di solo canone: “ …se la Rai insegue i target pubblicitari o si appiattisce sul modello delle televisioni commerciali, l'identità del servizio pubblico rischia di sbiadire mettendo seriamente in dubbio il senso della propria esistenza”. Il secondo punto, importante ma meno strategico, è la durata in carica degli amministratori dagli attuali 3 a 5 anni.

Ribadiamo: ci mettiamo la firma subito per avere un Servizio Pubblico senza spot, senza dover fare i conti con lo share etc. ma appare assolutamente evidente che si entra in un tunnel grandioso di revisione globale della logica, della missione, della natura, del funzionamento della Rai. Però, proviamo ad immaginare che questo percorso virtuoso sia possibile. L’architettura contabile (nonché produttiva) attuale di Viale Mazzini poggia su due pilastri: canone e pubblicità (68% e 32%). Se viene eliminata la seconda parte (circa 600 mln) si pone semplicemente la necessità o di tagliare costi per l’equivalente valore o di aumentare il canone per lo stesso importo in compensazione. Non siamo ragionieri ma ci sembra che il ragionamento semplice che non fa una piega.

Se nonché, da tempo ormai, quasi da anni, torna sempre a bomba quando ci si trova in circostanze dove si dibatte di tappare i buchi, l’idea di vendere la quota residua di Rai Way. A parte le alchimie finanziarie che permettono, non appena riciccia questa idea, di fare balzi significativi nelle quotazioni di Borsa (ieri Inwit +3,73 e Rai Way +2,56) e rendere possibili discreti guadagni nel giro di poche ore, quello che balza all’attenzione è il “combinato disposto” dell’uscita delle notizie. Si legge che Palazzo Chigi potrebbe varare un DPCM per rendere possibile la riduzione della quota maggioritaria di Rai nella composizione azionaria di Rai Way e scendere pure al di sotto del 51%. Un operazione ricca di vari significati ma almeno uno risulterebbe chiaro: portare nelle casse di Viale Mazzini una cospicuo dote di ossigeno in Euro che altrimenti nessuno sa bene dove andare a trovare. Qualcuno, nel 2014, lo ha già fatto, salvo che i 150 mln se li è intascati lo Stato). Ovviamente ... come piace dire all’AD…significa rimettere mano in modo profondo e radicale a molti delicati meccanismi interni ed esterni alla Rai (non ultimi legislativi: un DPCM è di rango adeguato a regolamentare una materia del genere?).

Conclusione (forse sgrammaticata ma speriamo chiara): qualcuno sta cercano Maria pe’ Roma. Non sapendo bene a quale Santo votarsi si cercano soluzioni complesse quanto improbabili, almeno in questa legislatura … poi, nel 2023… beato chi c’ha n’occhio.  

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martedì 22 febbraio 2022

FLASH !!!

il mondo è pieno di furbetti ...
prima leggere attentamente il post precedente
basta chiedere e saper leggere e trascrivere

BOZZA DEL DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA SUI I MODELLI DI GOVERNANCE E IL RUOLO DEL SERVIZIO PUBBLICO RADIOTELEVISIVO, ANCHE CON RIFERIMENTO AL QUADRO EUROPEO E AGLI SCENARI DEL MERCATO AUDIOVISIVO

CAPITOLO 1
Genesi e finalità dell'indagine conoscitiva

CAPITOLO 2
I principali temi sviluppati nel corso delle audizioni
2.1. La mission del servizio pubblico nel nuovo ecosistema dei media

... La necessità che la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo rafforzi la credibilità e la riconoscibilità della propria offerta editoriale, puntando su contenuti che siano in grado di fornire allo spettatore modelli e visioni di alto livello qualitativo e a forte carattere innovativo.

In altre parole, per recuperare prestigio, anche internazionale, la Rai deve rafforzare la propria identità, i cui contorni sono tracciati dalla legge e dal contratto di servizio, tenendo altresì conto del nuovo contesto multimediale interattivo.

Se la Rai insegue i target pubblicitari o si appiattisce sul modello delle televisioni commerciali, l'identità del servizio pubblico rischia di sbiadire mettendo seriamente in dubbio il senso della propria esistenza.

Quanto al tema della transizione alla diffusione non lineare dei prodotti audiovisivi, RaiPlay non appare essere ancora in grado di rispondere alla sfida di dotare l'Azienda di un servizio autenticamente competitivo nel confronto con le nuove piattaforme commerciali OTT e di valorizzazione i contenuti audiovisivi realizzati da e per il servizio pubblico.

Un gruppo di proposte mirano a creare un diaframma tra le istituzioni e la Rai. Altre proposte mantengono il legame tra la concessionaria del servizio pubblico e le istituzioni ma, per valorizzare il pluralismo, spostano l'asse verso il Parlamento, in conformità alle indicazioni della Corte Costituzionale, a partire dalla nota sentenza n. 225/1974.

È stato evidenziato che occorre garantire alla concessionaria del servizio pubblico indipendenza editoriale e autonomia, escludendo ogni forma di controllo esterno ex ante sulla sua attività. Ciò, si è detto, non esclude che essa debba rispondere delle proprie scelte davanti all'organismo parlamentare, che ben può orientarne l'azione salvaguardandone e, anzi, promuovendone l'autonomia e correggendo le storture che dovessero emergere. Quanto alle nomine interne all'Azienda, nel corso dell'indagine conoscitiva è emersa l'opportunità che tutte le nomine dei direttori aventi una valenza editoriale siano condivise dall'amministratore delegato con il consiglio di amministrazione che dovrebbe, quindi, in ogni caso esprimere un parere obbligatorio e vincolante.

Si è osservato che la durata del mandato dei vertici della maggior parte dei Servizi Pubblici europei è pari a cinque anni, che corrisponde, peraltro, alla durata del Contratto di servizio. Allineare i due termini permetterebbe di rendere la stessa governance che stipula il Contratto responsabile anche della sua completa attuazione.

... segue... occorre tempo per leggere e scrivere...

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Quando la barca Rai va ... lasciala andare .. oppure affondare


La zappa e la vanga sono i nostri attrezzi preferiti e i calli sulle mani lo stanno a dimostrare. La terra, l’erba, il bosco sono il nostro riferimento ma pure in mare ci troviamo bene a tal punto che, appena andato in pensione, mi sono tolto lo sfizio di prendere la patente nautica (difficilissima). Ho dovuto studiare intensamente nozioni per me sconosciute ma fondamentali per la corretta navigazione e conoscenza della barca, del meteo, delle segnalazioni etc.

Tutto questo per dirvi che la metafora della nave Rai proposta ieri sembra essere stata assai suggestiva visto il successo di visualizzazioni. Un nostro lettore ci ha però fatto osservare che se pure una nave appare ferma in mezzo al mare, in realtà si muove per effetto di due forze distinte tra loro:  la deriva e lo scarroccio. Si dice deriva quando “Tutta la massa d’acqua si sposta per effetto di correnti. Quindi la barca va alla deriva quando si sposta in modo apparentemente autonomo rispetto al suo moto propulsivo e conduzione. Si dice invece “scarroccio” quando l’imbarcazione si muove, senza moto propulsivo proprio (vela o motore) in relazione al vento di superficie che colpisce l’opera morta o viva.

Allora , precisando meglio la metafora: la Rai apparentemente è ferma ma sostanzialmente è in movimento perché tutta la massa d’acqua che la circonda è sottoposta al moto delle correnti. Bene, oggi abbiamo la dimensione esatta delle correnti alle quali è sottoposta. Vi abbiamo spesso accennato al lavoro in corso al Senato per cercare di riunificare le diverse proposte di riforma della governance Rai. A quanto sembra, siamo arrivati ad una prima sintetica bozza condivisa dove si intravvedono punti nodali: risorse e stabilità di “governo” dell’Azienda. Sulle risorse si aprirà certamente un vivo dibattito perché si intravvede la possibilità che la Rai debba poggiare prevalentemente sul canone, abbandonando le incertezze del mercato pubblicitario. interessante, qualcuno sta già gongolando. Per quanto riguarda la stabilità si prevede che il Cda debba rimanere in carica 5 anni. Nota a margine: il documento mena una sonora bacchettate sule dita di Rai Play laddove si legge che “ .. non appare in grado di rispondere alla sfida di dotare l’Azienda di un servizio autenticamente competitivo con gli OTT”. In un post successivo, più approfondito, vi forniremo maggiori dettagli.

Ma intanto questa proposta di ridurre in modo rilevante la posta pubblicità dal budget Rai è decisamente importante. Cosa può significare in soldoni? Perché si tratta in buona sostanza di ridurre o sostituire l’importo totale che oggi Rai incassa dalla pubblicità. Nel caso si dovesse trattare di ridurre il budget ne consegue che l’Azienda si dovrà sottoporre ad una sostanziosa cura dimagrante di reti, programmi, investimenti. Se invece si dovesse trattare di “sostituzione” si dovrebbe immaginare o di aumentare il canone e, francamente, con questi chiari di luna, appare una idea alquanto bislacca. Oppure, di mantenere inalterato e costante il canone riducendo però comunque il volume di impegni ai quali l’Azienda deve adempiere. Per tutte le soluzioni che si intravvedono, comunque la “deriva” sembra la stessa: ridurre l’ingombro della Rai sul mercato. Approfondiremo presto l’argomento.

Altra perla degna di attenzione: il 6 gennaio scorso su Il Foglio con la firma di Stefano Cingolani vene pubblicato un articolo dove si leggeva che “a marzo Rai Way dovrebbe fondersi con Ei Towers (Mediaset)”. Cercammo di saperne di più e dopo qualche telefonata la notizia ci venne “quasi “smentita da autorevoli fonti. Ci rimase però il sospetto perché non si scrive una cosa del genere senza averne fondamento pena la credibilità dell’autore. Ebbene, oggi su Repubblica compare un articolo a firma di due colleghi solitamente bene informati con il titolo (ormai abusato) “Riparte il progetto della società unica delle torri televisive” e si legge che il Governo punta a varare un DPCM che punta a cambiare l’assett di Rai Way con il quale si potrebbe autorizzare RAI a scendere sotto la soglia di controllo del 51%. Tombola!!! Con buona pace delle “Linee guida del nuovo Piano Industriale” Rai che di una cosa del genere ne ignora completamente la portata, la rilevanza e il significato.

La lettura incrociata di questi due elementi (riforma della governance e vendita di Rai Way) apre scenari inediti e per molti aspetti inquietanti. È vero, la barca Rai si muove e … forse a sua insaputa… Rimanete sintonizzati, a presto.

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lunedì 21 febbraio 2022

Rai: la solita grigia normalità

Editing by Bloggorai ©

Mumble … mumble … mumble … da alcuni giorni ci aggiriamo pensosi senza sapere da che parte iniziare. Durante questi 5 anni, cinque anni, di Bloggorai abbiamo detto e scritto di tutto, di più … oltre… e gli argomenti che abbiamo trattato non si sono affatto esauriti, anzi, per molti aspetti si sono pure aggravati. 

Sulla scrivania si sono accatastati documenti più o meno pubblici, articoli, analisi e studi ma alla fin fine tutto si sedimenta e sembra diffondersi un vago senso di vuoto e inutile. Raccogliamo le sensazioni, gli umori e i commenti che ci vengono riportati dai tanti amici, ex colleghi, lettori che ci raccontano di stanchezza, pigrizia e indolenza. Ma è la rassegnazione il sentimento che prevale, quello che avvertiamo con maggiore forza. 

Lo abbiamo pure scritto tante volte con la metafora della barca Rai che galleggia in un mare senza vento, con la bussola fuori uso, i marinai in preda allo scorbuto e il capitano che non sa dove dirigersi. 

Si certo, Sanremo e forse l’EuroFestival (con un addetto stampa fresco fresco appositamente contrattualizzato senza che nessuno dentro la Rai ha battuto ciglio) potranno far cantare di effimera gloria ma finito il ritornello si torna alla grigia normalità di conti che non tornano, di piani industriali da inventare, di contratti di Servizio da onorare, di magistrati, avvocati e Guardia di Finanza che passeggiano allegramente lungo Viale Mazzini in attesa di una sentenza, quale che sia. Si rimane nella grigia normalità di una Rai che è sempre simile se stessa, attraversata e rassegnata dagli ondivaghi sentimenti di chi oscilla da destra a sinistra passando per il centro. Quando ho lasciato l’Azienda, ad alcuni colleghi con i quali avevo legato particolare amicizia ho regalato una delle prime edizioni de Il Gattopardo. Sempre attuale.

È lunedì, si avverte un cenno di timida primavera. Un buon caffè al solito baretto e una tranquilla passeggiata lungo il Tevere ci stanno bene e magari incontro Osvaldo: con lui c’è molto da dire.

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domenica 20 febbraio 2022

La Rai di Destra, di Centro, di Sinistra ???


Ieri un articolo di giornale si interrogava sulla Rai “di destra”. Mah, non sembra che sia nulla di nuovo. La memoria fa strani scherzi: non sono passati tanti anni da quando a Viale Mazzini comandava la famigerata “struttura Delta” mentre chi poteva e doveva intervenire per arginare le loro malefatte (si accordavano i palinsesti con la concorrenza) era “distratto” da altri equilibri. Resteranno nella storia i ministri o sottosegretari “di sinistra” per aver cercato di porre soluzione al conflitto di interessi? No! Destra, centro o sinistra? C’è qualcosa di nuovo che forse ci è sfuggito? Siamo grati per eventuali segnalazioni.

Oggi è domenica. Passiamo oltre.

Massimo è un uomo forte e gentile, timido e alquanto silenzioso. Non mostra i muscoli, non alza la voce e non ti pianta gli occhi addosso. Appartiene a quel genere di persone che non ha bisogno di esporsi, di vantare, di accreditarsi. Per lui “una parola è poca e due sono troppe”. Professione: boscaiolo. Si muove a suo agio tra fratte e forre, tra rovi e sottobosco. Sa potare e zappare la vigna a modo. È capace di tenere la motosega con una sola mano e ti sa dire esattamente quando è tempo di cambiare il vino. Ieri il vento girava a Scirocco ed era pure alquanto nuvoloso: a domanda risponde “non si può fare,ci vuole freddo e bel tempo, magari a Tramontana”. Punto, non si discute.  

Ieri abbiamo passato la giornata tra i filari di vite. C’era da “addrizzare” la piante dell’anno scorso. Lui sa come si fa e io guardavo silenzioso. Gesti rapidi e precisi, senza esitazione, come se sapesse da quando era bambino come e dove tenere fermo il tralcio. Massimo era consapevole che lui era il maestro e io l’allievo. Nel mentre e nel quando, scorrendo lungo il filare, c’era da tagliare qualche caccione di troppo mentre io tentennavo e mi veniva spontaneo chiedere “ma è proprio necessario?” lui mi gettava uno sguardo rapido e senza battere un attimo, prendeva e tagliava. “Se vuoi il vino buono devi potare bene”. Punto. Non c’è dibattito, è stato sempre così e così sarà sempre. Poi, ad un tratto, arriviamo ad un punto dove tanti anni addietro avevo messo una “vita americana” tanto forte e vigorosa quanto, apparentemente, inutile. Chiedo “che facciamo?” … silenzio … la guarda attentamente e mi chiede “a che serve?” ed io a lui “doveva servire a proteggere la vigna dalla malattia (la peronospora) … ma … boh …”. Massimo a me: “Ma tutti ‘ sti tralci coprono i graspi nuovi!”… già … e allora, che facciamo? La buttiamo giù? No, dico io: proviamo ad innestare un caccione nuovo, ora sarebbe il momento giusto. Già … ecco allora che esce allo scoperto la sapienza semplice e antica: “Bisogna saperlo fare perché se no’ perdemo tempo”… già … bisogna saperlo fare. Massimo: “Avevo visto la tua pergola di uva Italia che butta tanto bene e volevo, appunto, prendere un caccione per fare un innesto. Sono due anni che ci penso e ancora non mi decido … bisogna saperlo fare”. Tutto qui. Semplicemente: “bisogna saperlo fare”. Tutto, come sempre, molto semplice.  

Vi avevo accennato di un altro personaggio: Osvaldo, fiumarolo mio coetaneo. Da anni, solitamente, faccio una lunga camminata lungo il Tevere. Non solo è un utile esercizio per il corpo ma anche per la mente. L’altro giorno lo incontro. Lo vedo da lontano mentre, da solo e pensoso, scruta l’acqua che scorre. Anche lui non è poi di tante parole. Controllava gli ormeggi del suo barcone. Tutto a posto. Poche battute e, come al solito, torniamo indietro negli anni, quando eravamo ragazzetti. Io di Panico (poi “emigrato” a Borgo Pio) e lui di Campo de Fiori. Io "dar Ciriola” e lui da “Ercole Tulli”. Due scuole, due mondi, due linguaggi come pure erano diversi i nostri rioni. Il mio barcone era alquanto popolare: “Stabilimento Bagni Rodolfo Ciriola” si leggeva sul fianco dell’antico e forse ultimo barcone pontificio addetto al trasporto della “rena” (la sabbia) che nell’ultima stagione della sua vita venne ribattezzata come “la Nave dei folli”. 

Eccolo, sotto Ponte S.Angelo, a fianco del barcone la "spiaggia".

Poi, in verità, Panico era un rione “popolare” fino ad un certo punto perché al suo interno convivevano palazzi nobili e botteghe artigiane. Il barcone di Tulli invece era più su, vicino a Ripetta, dove anticamente c’era l’antico porto di Roma. Ha avuto molta gloria e fortuna nel bel mondo del cinema ricco e fortunato, mentre quello del Ciriola era quello della Roma dei “poveri ma belli” dove pure vennero girate alcune scene del noto film di Dino Risi. Già soli i nomi “Ercole” e “Ernesto” danno pensiero. Con Osvaldo abbiamo osservato e ricordato che hanno avuto lo stesso destino: i due barconi con una piena del Tevere hanno rotto gli ormeggi e sono affondati e, con loro, una parte di Roma che ora non c’è più. Ci siamo guadati con uno sguardo di nostalgia e, prima di salutarci mi ha detto “Ma io sul Tevere ci  vengo sempre”. Io pure. Buona passeggiata.

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sabato 19 febbraio 2022

Storie torbide tra crepe e voragini


Il post di oggi è faticoso. Siamo indotti a scrivere di quel poco che è dato leggere e di quanto sappiamo su ciò che sta succedendo dentro e fuori Viale Mazzini ma siamo pure consapevoli che non è il nostro terreno. Ci pesano le dita e la tastiera è dura come un lastricato di sanpietrini romani. Per un verso sarebbe pure giusto occuparsene perché comunque riguarda il futuro della Rai che è pur sempre il nostro ambito, per altro verso è un ambiente dove ci troviamo a disagio. 

Non ci piacciono le storie dove compaiono giudici e avvocati, guardia di finanza, fascicoli che circolano, indagini in corso, audit, licenziamenti e arresti, sospensioni e rimozioni, audizioni urgenti in Vigilanza e così via. 

Però, dobbiamo pure ammettere che l’insieme di tutto questo segna un tempo, uno specifico momento storico dell’Azienda che non sarebbe del tutto corretto ignorare per far finta che va tutto bene. Ricordate che ieri vi abbiamo citato la Zattera di Medusa? È una metafora visiva efficace? No, non va per niente tutto bene e lo scriviamo da tempo e non basta Sanremo a coprire tutto questo. Che poi questo “tempo” coincida o meno con l’attuale gestione dell’Azienda sarà tutto da verificare: molto deriva da vicende di pochi anni addietro. Di certo, non sembra questo un buon momento per i “ragionieri” incaricati di tappare un buco mentre si corre il rischio di vedere aprire una voragine. Occorre qualcosa di altro, un Settimo Cavalleria che non si sa bene da che parte possa provenire.

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venerdì 18 febbraio 2022

La Rai ... così vicina .. così lontana

Foto di mcmurryjulie da Pixabay

La luna piena in genere a qualcuno crea qualche turbamento esistenziale e a noi, stanotte, ci è tornata in mente la Rai e una canzone di qualche anno addietro: “… lontano dagli occhi ... lontano dal cuore .. e tu sei lontana … lontanaaaa da meeee”. 

Nei giorni scorsi abbiamo avuto un consueto scambio di opinioni con un attento lettore a proposito degli argomenti da trattare, sui quali riflettere. Spesso, infatti, ci siamo lamentati del fatto che periodicamente accadono momenti di blackout, dove i pensieri si annebbiano, si opacizzano e tutto si perde nel mare del tanto e del nulla.

Il nostro amico ci suggeriva questo pensiero: “Tanto più ci si allontana dalle cose, dagli avvenimenti, dalle persone la narrazione, gli stimoli e le suggestioni diventano sempre più difficili, complesse”. In parte ha ragione perché, come abbiamo pure scritto una volta, è come trovarsi di fronte ad una grande opera d’arte pittorica (abbiamo sempre in mente La Zattera della Medusa di Gericault che proprio recentemente ci siamo fermati lungamente ad osservare) e quando sei molto vicino si riesce a cogliere elementi, dettagli, sfumature che da lontano invece si perdono. Al contrario, quando si ci pone ad una certa distanza, si coglie tutto l’insieme, il senso generale del dipinto e del suo contenuto. Diciamo pure che, dal nostro punto di vista, preferiamo questa seconda prospettiva: essere molti vicini ai fatti e alle persone può “inquinare” la visione, può indurre ad essere influenzati da dinamiche laterali, da pensieri e comportamenti non sempre facili da interpretare. È poi facile distogliere l’attenzione e non riuscire a distinguere la giusta gradazione tra elementi primari e altri secondari.

Oggi non c’è pressoché nulla di stimolante da leggere. Avvertiamo solo il forte rumore di fondo delle fibrillazioni nel Governo e giusto ieri giocarellavano con una fantomatica equazione: Draghi sta al PNRR come Fuortes sta alle risorse. Fino a quando il capo del Governo è in grado di reggere la tensione politica che si sta determinando e, in parallelo e di conseguenza, fino a quando l’AD Rai è in grado di tenere in piedi la baracca di Viale Mazzini tra i fuochi dei Tribunali, i soldi che mancano, il nuovo Contratto di Servizio e il conseguente Piano industriale? A proposito di Contratto di Servizio: è del tutto evidente che ogni Contratto di Servizio ( e non il Piano Industriale) nasce sotto una stella di una contingenza sociale, economia, culturale e finanche politica del tutto originale e non paragonabile con quella precedente. Ebbene, il nuovo Contratto nascerà sotto la stella del un nuovo Parlamento del 2023. Basti pensare alla nuova finanziaria del prossimo anno e ai provvedimenti che potranno impattare su Rai (vedi canone) per intuire facilmente che ci potrà essere forte dibattito sulle scelte e i vincoli che il nuovo Contratto dovrà contenere. Ci torna sempre in mente la famosa citazione di De Gasperi: “Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione” e ci viene in automatico riprendere la dichiarazione di Draghi fatta appunto un anno addietro quando alla domanda sulla sua visione del futuro del nostro Paese dichiarò che “Verrà, io spero che venga il tempo in cui io potrò risponderle sulle mie vedute in tema di struttura della società e dell’economia, ma per ora è presto”. È trascorso appena un anno, e di questa “visione” non solo ne abbiamo poca traccia ma quella poca che si intravvede è sempre più opaca. E come un ritornello, torniamo sempre a bomba: la visione del futuro della Rai.

Domani è sabato e nella Val Tiberina scorre il fiume Tevere … è proprio quel filo sottile che ci unisce tra città e campagna ed è probabile che vi racconteremo di Osvaldo, vecchio e sapiente fiumarolo romano. 

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giovedì 17 febbraio 2022

La Rai e il racconto della Paura


Memo per i giovani lettori di Bloggorai  (ma anche per i meno giovani con la memoria appassita). La nostra generazione aveva intorno ai 10 anni quando successe una notte di agosto 1964 che una nave USA venne “attaccata” da imbarcazioni vietnamite e, a seguito di questo indicente nel Golfo del Tonchino, gli americani iniziarono la loro sanguinosa avventura del Vietnam. La storia ci racconta che era tutto falso: il famigerato cacciatorpediniere Maddox quella notte sparò contro se stesso, nel buio e nel vuoto più totale perché nessuno lo aveva attaccato. Fu una clamorosa messa in scena, una bufala utile solo a giustificare l’aggressione e la guerra nel Sud Est asiatico che una parte di americani avevano tanta voglia di combattere. Per chi fosse interessato da leggere la ricostruzione in questo articolo:

https://www.ilpost.it/2014/08/04/incidente-golfo-del-tonchino/

Non paghi di questa esperienza, è successo poi che il 5 febbraio 2003 il segretario di Stato USA Colin Powell si presentò di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con in mano una fialetta di plastica contenente un polverina bianca e un cartone animato dove si vedevano camion che si aprivano con dentro un laboratorio chimico. Secondo la sua ricostruzione, quelle erano parte delle “prove provate” che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa e che quindi era necessario fermarlo, anche scatenando una guerra. Tutto falso, finto, inventato ... altra bufala megagalattica alla quale quasi tutti abboccarono e si accodarono. Sappiamo come è andata a finire: la guerra c’è stata e ancora se ne pagano gravi conseguenza ma delle famose armi di distruzione di massa non si è mai trovata traccia, nemmeno una cerbottana. Il personaggio la sapeva lunga ma non la sapeva raccontare granché bene: vedi il rapporto sul massacro di My Lay come pure l’invasione di Panama. Ma, come al solito, il problema non è di chi racconta bugie ma di chi ci crede, di chi “abbocca” a qual tipo di “narrazione” in modo più o meno consapevole e ne diviene complice.

Veniamo ai giorni nostri: da settimane Tg e Gr in buona compagnia di tanta carta stampata ci hanno “bombardato” con la minaccia di una nuova guerra in Ucraina e tutti riportavano fonti della CIA (che pure la sano molto lunga e sono solitamente bene informati !!!) che non solo la guerra era sicura, sicurissima, certa, anzi certissima “come si può vedere dalle foto satellitari dei movimenti di truppe sovietiche” ma che si sapeva anche l’ora esatta dell’inizio delle ostilità: le 02.00 di ieri notte … da rimetterci l’orologio!!! Una valanga di drammatiche pernacchie li ha sommersi e Putin sinceramente ringrazia di trovarsi di fronte ad avversari sprovveduti di tale portata. Oggi quasi nemmeno una riga sulle prime pagine dei giornali, la notizia è pressoché scomparsa. Chi ha “risolto” apparentemente la crisi? I tedeschi, per il solo semplice fatto che hanno “buoni rapporti commerciali” coi sovietici. Per tutti gli altri, compresi i nostri volponi e volpini del Governo, solo viaggi di piacere tra Parigi e Mosca. Volete il mondo globalizzato? Interessano le tariffe energetiche volate alle stelle? Necessario pagare il biglietto.

Ecco, quello che ci preoccupa (ma non ci stupisce) è la più elementare incapacità di distinguere il grano dall’oglio da parte di tanta stampa e, in particolare, di quella Rai e, ancora più in particolare di quella del Tg1 diretti da chi la sa lunga su come vanno le cose del mondo, specie in Medio Oriente dove ha avuto modo di conoscere bene i personaggi e i loro modi agire ma non sempre è in grado di saperla raccontare. Ma più ancora, è preoccupante la “narrazione” dei fatti o presunti avvenimenti in corso di svolgimento o di prossimi a svolgersi che siano: su questo argomento si avverte il costante e minaccioso rumore di “paurismo” evidente o sottinteso. Laddove finisce il Covid (speriamo presto) si paventa una guerra prossima ventura, magari anche dietro l’angolo purché faccia rumore, anche se poi comunque non ci dovrebbe coinvolgere direttamente ne come Paese ne come Alleanza NATO in quanto l’Ucraina non ne fa parte. Però diventa parte del racconto il fatto che gli Usa hanno inviato rinforzi di truppe in Polonia, come se dovessero combattere loro in prima persona nell’area interessata.

È il continuo ripetere, ossessivamente, di termini come “guerra” “carri armati” “missili” “truppe che si spostano” mentre sullo schermo scorrono immagini di armi, soldati, spostamenti di truppe, esplosioni, civili in fuga, preparativi di difesa civile che forma il “racconto della paura” ed è proprio la televisione, più di ogni altro mezzo di informazione/comunicazione, che lo diffonde e lo alimenta. Salvo poi non sapere come farlo finire quando si deve arrendere all’evidenza dei fatti: la guerra, per fortuna e finora, non è iniziata la scorsa notte e, speriamo, non debba proprio iniziare.

Per tutto il resto il tema Report /Ranuncci occupa gran parte degli articoli oggi in evidenza sulla Rai. Ieri il consigliere Laganà ha diffuso un comunicato dove si legge “Doveroso avviare tutti gli ulteriori accertamenti di competenza necessari su fatti comunque accertati dalla magistratura ma altrettanto doveroso è che si tuteli con tutte le opportune iniziative un programma fondamentale per l'identità e l'immagine del Servizio Pubblico Rai. Non è un problema personale di un giornalista Rai ma un problema di tutela e difesa del Servizio Pubblico ed i suoi programmi identitari soprattutto quando reiterati attacchi arrivano da esponenti legati in qualche modo alla concorrenza”. Condividiamo.

Poniamo un problema: cosa è il “giornalismo di inchiesta”? Come si dovrebbe svolgere? Quali strumenti è lecito adoperare per raccogliere documentazioni e testimonianze? C’è un etica in questo ambito? Quali “regole” deontologiche o morali si debbono rispettare? Chi controlla, chi governa, chi sceglie quali temi, quali servizi vanno in onda? E il Servizio Pubblico, in particolare, come si “deve” comportare in questo ambito per garantire completezza, obiettività, imparzialità e, in modo sostanziale, credibilità?

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mercoledì 16 febbraio 2022

Pausa gatto!

 Oggi ci occupiamo del gatto piccolo: da ieri sta male e stamattina sarà visitato dal suo veterinario...


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martedì 15 febbraio 2022

La Rai del troppo pieno e del troppo vuoto


Il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno? Quando vengono messe in discussione apparenti granitiche certezze è possibile che si possa provare un leggero brivido di confusione. Vi è mai capitato di passare una serata divertente dove magari si beve qualche bicchiere di troppo? E vi sarà pure capitato di risvegliarvi al mattino e provare una sgradevole sensazione di malessere e magari di ricordare poco di quanto avvenuto sotto i fumi dell’alcol. Oggi sono trascorsi circa 10 giorni dalla fine di Sanremo e, più o meno, ci troviamo in una situazione analoga. Una sbornia di ascolti, e solo quelli, accompagnati da luci sfavillanti, un “prodotto ben confezionato”, il ritornello “ciao… ciao … con le mani, con le spalle … con il culo ...ciao ciao” qualche milione incassato dagli spot di Netflix, Amazon etc  e poco più.

Ecco, ci sembra di trovarci esattamente nella fase del “poco più” con più poco che più. Cioè, quasi nulla. Come abbiamo scritto tante volte, la natura non prevede il vuoto e laddove si crea uno spazio, qualcuno o qualcosa lo occupa. Non ci sono argomenti o temi che interessano la Rai, il suo presente e il suo futuro. Non ne mancano, basta scegliere. Nel vuoto del dopo Festival si è creato lo "spazio" Report/Ranucci che ora viene occupato, mettendo al centro del dibattito un argomento spinoso che distoglierà molte attenzioni ed energie da altri temi. Esempio: nei giorni scorsi è stato bocciato per la seconda volta il piano editoriale del direttore della TGR Casarin e non si è letta una riga sull’argomento. Beninteso, è già successo in precedenza con il direttore del Tg2 Clemente Mimun che se lo è visto bocciare più di una volta eppure ha resistito molti anni senza che nessuno ci facesse caso. Se non ché, in questo caso, la situazione è ben diversa: parliamo della più grande testata giornalistica nazionale (oltre 700 persone) e tanti milioni di budget. Dunque, una testata di tale peso e rilievo allo sbando editoriale e si avanti come se nulla fosse accaduto? L’AD tace? Non si pone un problema di credibilità e di autorevolezza dell’Azienda di Servizio Pubblico?  

Torniamo allo spazio vuoto/pieno. Stiamo cercando di sapere, capire, riflettere ma non riusciamo bene a capo. La sensazione di trovarci di fronte all’ennesimo “complotto” è forte ma, ammettiamo le nostre scarse capacità di analisi, non siano in grado di distinguere bene chi, dove e quando ha fatto pipì fuori dal vaso. Ci colpisce poi  un bizzarro e anomalo silenzio da parte di quanti, pure nostri amici e lettori, su questo argomento tacciono e questo ci solleva ulteriori dubbi.   

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