domenica 28 febbraio 2021

Ascolta, si fa sera ...

Care lettrici, cari lettori, la giornata si sta per concludere e, come ci ricorda Quasimodo: 

"Ognuno sta solo sul cuore della terra

trafitto da un raggio di sole

ed è subito sera". 

Eravamo tentati di far scorrere anche questa giornata con un momento di pausa ma quando abbiamo viso il numero elevato di lettori che hanno puntato la pagina, abbiamo ritenuto che qualche spunto di riflessione era giusto proporlo.

Come vi abbiamo accennato, ci sono sul tavolo diversi temi interessanti: in primo luogo, con la nomina dei sottosegretari, l’asticella di coloro che nel Governo sono stati, sono e saranno culturalmente, politicamente ed economicamente avversi agli interessi della Rai si è significativamente innalzata.

In secondo luogo, l’avvicinarsi di appuntamenti cruciali sul piano tecnologico (banda larga e rete unica) spingerà inesorabilmente ad una “resa dei conti” dove qualcuno dovrà fare passi indietro. Come abbiamo scritto, non si tratta di un gioco a somma zero: qualcuno perderà mentre altri vinceranno.

Quale sarà la cultura prevalente, l’indirizzo maggioritario, il progetto mentale e culturale che verrà perseguito quando si tratterà di decidere se sostenere gli interessi pubblici o quelli privati? Più mercato o più Stato, più pubblico e più privato? I dossier che scottano sono sul tavolo (Alitalia, Ilva, Autostrade, sblocco dei licenziamenti etc) e presto si potrà capire. Chi riferirà a Draghi sui problemi, sulle vicende e sulle prossime scadenze Rai? Giorgetti? Franco? Qualcuno ha idea di cosa possano avere in mente per il futuro del Servizio Pubblico?

La scorsa settimana, anche a seguito dell’audizione di Salini in Vigilanza, sono emersi temi importanti: la piattaforma della cultura nazionale promossa da Franceschini alla quale Rai non partecipa. Il prossimo mercoledì 3 marzo il Ministro sarà sentito in Parlamento per chiarire i termini “dell’interlocuzione” con la Rai che Salini non è stato in grado di fare.  Chi ha interloquito con chi, quando e come? Ci sono state omissioni?

Poi, sempre lo scorso mercoledì, è emerso che lo strumento di “distrazione di massa” usato dall’AD contro i parlamentari inondati di dati numeri e tabelle non sembra aver funzionato nel migliore dei modi. Ad un certo punto, è stato risollevato il tema del canale in lingua inglese, esplicitamente previsto dal Contratto di Servizio con un direttore nominato a luglio scorso e con un budget assegnato. Salini ha dovuto ammettere che c’è un ritardo senza peraltro specificare a cosa dovuto. 

Nel frattempo, venerdì abbiamo letto un'intervista di Foa che comunica al pubblico che Rai aderisce, attraverso l’EBU, alla prima piattaforma europea per la condivisione delle news. Accipicchia!!! Qualcosa non torna: Euronews (seppure a proprietà privata dove Rai in passato era presente) chiude la diffusione in lingua italiana (perché non rende). Sempre a proposito di EBU, l’unica posizione di primo piano presso la sua direzione Generale di Ginevra (Relazioni istituzionali e Rapporti con Paesi del Sud) prima occupata da un italiano, dipendente Rai, è stata spacchettata e assegnata a due altre persone (una spagnola e l’altra tedesca). Qualcosa non torna: nel momento in cui l’orizzonte internazionale assume sempre più rilevanza, a Viale Mazzini su questo tema sembrano brancolare nel buio.  

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sabato 27 febbraio 2021

Tata roba ...

Oggi ci sono molti argomenti importanti da trattare che richiedono approfondimenti e verifiche. 

Il post verrà pubblicato in giornata. Grazie per l'attenzione.


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venerdì 26 febbraio 2021

Pensavamo che fosse amore .. invece era un calesse

Speriamo che oggi i nostri lettori ci possano perdonare. Siamo in preda di un leggero stato confusionale, politico, culturale, esistenziale. Forse a causa della primavera che incombe, quando la mamma si preoccupava di farci fare la cura ricostituente per affrontare meglio il cambiamento (una fialetta di schifossissima vitamina B12). Forse perché c'è la luna piena.

Fatto sta che adesso non c'è più la mamma e la stagione che si appresta ad arrivare (almeno quella che ci interessa, il futuro della Rai) non sembra affatto buona, anzi.

Pensavamo che fosse amore .. .e invece era un calesse. Pensavamo che si cominciasse ad intravvedere la fine del tunnel della pandemia e invece siamo sull'orlo di una terza ondata con tutte le sottovarianti possibili. Pensavamo di essere inondati di vaccini e invece non solo non sappiamo nemmeno quale potrà essere quello disponibile ma anche quello più efficiente. Pensavamo che fosse arrivato un governo di “tecnici”, di quelli capaci, di quelli che sanno fare e cose per bene, meglio dei politici, incapaci ed arruffoni e invece ci troviamo di fronte alla politica allo stato puro che il buon Cencelli, a confronto, era una giovane marmotta. Pensavamo che ai due ministri di competenza TLC e quindi Rai fossero arrivati quelli del VII Cavalleria e invece sono arrivati quelli che “...non si sa ancora bene chi sono”. E anzitutto cosa vorranno fare. Proprio in quelle stesse ore in cui si svolgeva la Vigilanza Rai, uno spettacolo da vietare ai minori, veniva reso noto l'elenco dei sottosegretari, sui quali, per essere educati e rispettosi, stendiamo un velo di silenzio. Abbiamo una sottosegretaria alla cultura che poco tempo addietro dichiarò Leggo poco, studio sempre cose per lavoro. L’ultima cosa che ho riletto per svago è Il Castello di Kafka, tre anni fa. Ora che mi dedicherò alla cultura magari andrò più al cinema e a teatro”. Ora che questi sono e saranno chiusi per molto tempo ancora avrà tempo per leggere.

Pensavamo che l'altro giorno, durante l'audizione dell'AD Rai in Vigilanza si potesse assistere ad uno spettacolo istruttivo, dove gli uni e gli altri provassero a staccarsi dalla umane e dolorose vicende quotidiane per lanciare sguardi oltre la siepe e invece siamo rimasti alla lista della spesa. Pensavamo, che Salni si ricordasse di guardare avanti, a coloro che verranno dopo di lui. Nulla di tutto questo. Continuiamo a pensare, a sperare.

Oggi, vi confessiamo, ci troviamo in leggera difficoltà proporre riflessioni interessanti sul temi del servizio pubblico. Il solo spunto che ci viene è la lettura dell'intervista del presidente Rai, Marcello Foa, sul Sole 24 Ore con la firma di Andrea Biondi con il titolo "una Rete europea delle news cpn oltre 40 mila giornalisti" Anzitutto un'osservazione sui tempi: due giorni dopo l'intervento di Salini in Vigilanza, riemerge Foa e ti piazza un bel siluro su quanto avvenuto in Rai negli ultimi tre anni: il piano news. Poi altra osservazione nel merito: non siamo riusciti a fare la "rete" italiana e ci imbarchiamo in quella europea??? Come noto, sia il Contratto di servizio (art. 25, obblighi specifici: Informazione. La Rai è tenuta a: i) presentare alla Commissione, per le determinazioni di competenza, entro sei mesi dalla data di pubblicazione del presente Contratto nella Gazzetta Ufficiale, un piano di riorganizzazione che può prevedere anche la ridefinizione del numero delle testate giornalistiche) e il Piano Industriale prevedono esplicitamente le necessità di mettere ordine nell'intero complesso del settore informazione Rai. Di tutto questo, molti, troppi, fanno fatica a ricordare. Semplicemente: non è successo nulla. Tre testate televisive generaliste, un radiofonica, una web, altre specializzate e così' via. Sarebbe bastato mettere ordine in queso ambito ed applicare quanto imposto dal Contratto di servizio per risparmiare milioni di euro, per rendere più efficiente e razionale tutta la macchina informativa Rai. Necessario ricordare l'Atto di indirizzo della stessa Vigilanza del novembre 2019 dove si legge l'invito a Rai per “- precisare i tempi e le modalità dell'integrazione di RaiNews24, TGR, rainews.it e televideo in un'unica testata multipiattaforma operante in una Newsroom unica;” e impegna la Rai a “ ... con riferimento alla Newsroom unificata nonché alla creazione di un'unica direzione di approfondimento informativo alla quale fanno capo tutti i talk ...”

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giovedì 25 febbraio 2021

Lo spettacolo indecente, per ieri e per domani

Prima di andare avanti, ci sia consentita una citazione d’obbligo, in queste circostanze e per quanto vi proporremo, di particolare importanza:

“La differenza fra un politico ed uno statista sta nel fatto che un politico pensa alle prossime elezioni mentre lo statista pensa alle prossime generazioni”. (Alcide De Gasperi)

Andiamo avanti. I nostri lettori romani conoscono bene il supplì e sanno distinguerlo subito da quello appena confezionato e fritto da quello precotto o surgelato. Fare i supplì appartiene alla categoria tra alta moda e arte, si può considerare un eccellenza romana destinata al mercato globale, import export di alto livello. Pensate in Svizzera o in Nuova Zelanda, al modico prezzo di qualche franco o dollaro, trovarsi in mano un piccolo capolavoro della cucina italiana. Ovviamente, bisogna saperlo fare e bene, con gli ingredienti giusti e cotto a dovere perché il suo successo in bocca dipende dalla sapiente alchimia di tutti le sue componenti, compresa la temperatura di cottura e la qualità dell’olio utilizzato. A Roma, da tempo c’è una gara tra quali sono i migliori. Chi vi scrive è cresciuto con quelli di Franchi a Via Cola di Rienzo, del Delfino a Largo Argentina e Volpetti a Via della Scrofa per poi passare a quelli della Casa del Supplì a Piazza Re di Roma, forse oggi il n. 1.

Tutto questo per introdurre la riflessione del giorno anche per i lettori che sono poco avvezzi e interessati alle cerimonie parlamentari e dei consigli di amministrazione e che pure seguono con attenzione il nostro Blog. Ieri si è svolta l’audizione dell’AD Fabrizio Salini in Vigilanza Rai, all’ora di cena, giust’appunto quando il ragazzo della pizzeria vicino casa mi ha consegnato i supplì. Mi stavano andando di traverso e, per fortuna, avevo il vino di mia produzione che mi ha dato una bella mano a mandarli giù. Ma la serata, in verità, da questo punto di vista, già stava buttando male quando abbiamo letto le dichiarazioni di Zingaretti che, riferito alla chiusura di  un programma di Barbara D’Urso su Mediaset, ha dichiarato: “…hai portato la voce della politica alle persone. Ce n'è bisogno!". Punto, a capo, non c’è molto da aggiungere.

Veniamo alla vigilanza. Ci troviamo a poche settimane dalla scadenza dell’attuale Cda (non mesi, come erroneamente scrivono: solo una volta approvato il bilancio si può procedere ad attivare i meccanismi di nomina e, al momento, questa data non è stata fissata) e Salini ha esposto la lista della spesa con i compiti svolti durante questi tre anni di sua competenza. “Oste, com’è il vino????”… “E’ booono... è booono!!!”. Tutto qui. La sintesi è tutta qui. Ma tra l’oste e l’avventore, i parlamentari, corre un filo sottile di complicità: il primo a difendere la bontà del suo vino e i secondi a tracannarselo quasi senza battere ciglio. Corriamo il rischio di essere troppo prolissi e pedanti a fare le pulci sulle dichiarazioni di Salini che magari contengono anche frammenti di verità. 

Quindi, per metterci al sicuro ed evitare di essere accreditati come “nemici del popolo”, ci limitiamo a proporre l’atto di Indirizzo approvato dalla stessa Vigilanza lo scorso 19 novembre 2019 (1). Come si ricorderà, il Piano industriale ha avuto una gestione (a tutto carico di questo Cda) molto lunga e travagliata: sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2018 fino al 2021 e solo dopo oltre un anno è stato approvato (in Cda con il voto contrario di Borioni (PD) e Laganà (dipendenti Rai). Anche se non nato sotto la sua responsabilità (impostato dal precedente consiglio) è stato spacciato come il Piano industriale di Salini... Sic transit gloria mundi... ma questo non è peccato. Il peccato grave si può ricercare in quanto è stato disatteso o non applicato da quanto previsto non solo e non tanto dallo stesso Piano ma dalla fonte primaria  che lo ispira: il Contratto di Servizio (2). Allora, per gli appassionati del genere, vi invitiamo caldamente a rileggere le tre pagine della Vigilanza che vi alleghiamo nel mentre riascoltate l’intervento di Salini. “Mi rendo conto…” (Peter Sellers, Oltre il Giardino), si tratta di dedicare tempo importante della propria vita ad un tema che potrebbe pure non appassionare, ma per i cultori della materia ne vale pena. In sintesi: per Salini si trattava di dettagliare quanto previsto dal combinato disposto dal Contratto di Servizio e da quanto impegnato dalla Vigilanza. Sono due binari imprescindibili, due metri di misura inderogabili per definire compiutamente ciò che è stato fatto e come, da ciò che invece non è stato fatto e perché. Questo criterio di lettura, con questi strumenti, ovviamente è bilaterale e lo avrebbero potuto usare anche i parlamentari che invece si sono perduti tra mille domande di precisazioni, giuste e sacrosante per carità, ma senza un briciolo di progetto, di futuro, di idea di cosa debba essere il Servizio Pubblico negli anni a venire. 

La controprova è che di un pilastro fondamentale, la tecnologia, non si è parlato pressoché mai. Parole smozzicate sulla transizione al DVB-T2, non un parola su come la Rai interviene sulla rete unica (posto che voglia o possa farlo) non una parola sulla CDN, volano strategico per il futuro della presenza del Servizio Pubblico nel Web. In sintesi assoluta: non una parola sul futuro, sulla missione, sul progetto di Servizio Pubblico negli anni a venire. Il siparietto conclusivo e divertente si è avuto quando alcuni parlamentari hanno avuto la voglia di approfondire il tema “dell’interlocuzione” che ci sarebbe stata tra (???) e (???) sulla possibilità di realizzare la Netflix della cultura italiana, poi messa in cantiere su spinta del Ministro Franceschini. Chi ha interloquito con chi e in che termini non è dato sapere e il Ministro sarà convocato in proposito.

Morale della favola. La stagione di questo Cda si appresta a finire, più o meno ingloriosamente, seppure sotto i colpi del Covid che certamente non ha aiutato. La pandemia non ha aiutato ma non può essere pretesto per sottacere responsabilità dirette che ci sono e sono molto chiare e sono tutte scritte nei documenti che vi abbiamo proposto. Basta leggere e trarne le conclusioni. Ma non è questo il punto. Il punto fondamentale che non è stato colto sia da Salini quanto dalla politica è su un tema assolutamente centrale: la progressiva e inesorabile delegittimazione ed erosione della Missione del Servizio Pubblico in Italia e in Europa. Per l’uno e per gli altri questo è e dovrebbe essere il punto dirimente: la politica dovrebbe proporre questo tema come centrale per le sue riflessioni e proposizioni, quanto pure Salini avrebbe e potrebbe avere avuto buon gioco nel ribaltare il tavolo contro la politica che su questo fronte scivola dalle sue responsabilità. Lo spettacolo indecente che ha rischiato di mandare di traverso i supplì è tutto qui. 

Rileggete la citazione all’inizio e misurate chi sono gli statisti, chi i politici.

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(1) https://www.parlamento.it/application/xmanager/projects/parlamento/file/repository/commissioni/bicamerali/vigilanzaRAI18/Documenti_approvati/atto_di_indirizzo-1-piano_industriale_rai.pdf

(2) Contratto di Servizio Rai/MISE: https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/Contratto-di-servizio-Rai-2018-2022.pdf

 

mercoledì 24 febbraio 2021

La Rai che vorrei ma non posso o che potrei ma non voglio

Le categorie umane si dividono in tanti generi: ai primi posti coloro che “vorrei ma non posso” seguiti a ruota da coloro che “potrei ma non voglio”. Alla prima categoria si iscrivono tutti coloro che hanno ambizioni, sogni, desideri, disegni e progetti ma per circostanze oppositive non possono realizzarle. Costoro, vivono in genere in stato sospeso tra rassegnazione e determinazione nel cercare, comunque, quello che desiderano. Alla seconda categoria invece appartengono coloro che hanno concrete possibilità di realizzazione, di costruzione, di attuazione di un qualcosa che gli è concesso e che pure invece non intendono, non vogliono o non possono compiere. Talvolta, il loro atteggiamento è ostinato oppure, in subordine, è determinato da circostanze avverse dove potrebbero agire ma preferiscono rimanere fermi. Perchè questo avviene è un mistero glorioso. E così via.

Bene, veniamo alla cronaca. Ieri sul sito di Beppe Grillo è comparso un suo personale programma di governo, evidentemente non ancora concordato con Draghi e i suoi partiti “alleati” . Leggiamo la parte che ci interessa particolarmente: “E’ dal 2013 che parliamo di queste cose. L’informazione è uno dei fondamenti della democrazia e della sopravvivenza individuale. Se il controllo dell’informazione è concentrato in pochi attori, inevitabilmente si manifestano derive antidemocratiche… Il cittadino non informato o disinformato non può decidere, non può scegliere. Assume un ruolo di consumatore e di elettore passivo, escluso dalle scelte che lo riguardano… E’ arrivato il momento di mettere in atto queste proposte:

– Riscrittura legge Gasparri in base alla nuova direttiva europea SMAV (modifica affollamento pubblicitario, ridefinizione quote di mercato, regole anche per i giganti del web);

– Passaggio al nuovo digitale terrestre di seconda generazione secondo i tempi previsti (entro giugno 2022);

– Riforma della radiofonia in ottica radio digitale (DAB+);

– Riforma della RAI sul modello BBC, con un canale senza pubblicità, riforma governance Rai con consiglieri indipendenti dalla politica, soppressione Commissione Vigilanza RAI;

Alla faccia del Kilimangiaro !!! Champagne per tutti !!! Perseverance ci dice che c’è vita su Marte!!! In verità, non sappiamo bene da che parte prendere in considerazione queste affermazioni. Per essere alla sua altezza, bisognerebbe buttarla a ridere. Però non siamo bravi come lui e siamo quindi costretti e prenderla sul serio. Come ha scritto Grillo, è dal 2013 che sostengono queste idee e pur avendo le leve del potere in mano in tutti i recenti governi, non ne hanno portata avanti nemmeno una. Tanto per dire: il M5S per quanto riguarda la RAI ha avuto in mano il MISE con Patuanelli, ha espresso l'AD, assegnato "in quota" 5S, hanno una consigliera in Cda che si fatica a ricordare pure come si chiama. Hanno (avevano?) il gruppo parlamentare più forte e dunque? Cosa è successo? Cosa ha impedito di fare qualcosa di significativo? Ricordiamo che giace ancora nei cassetti la proposta di Fico di riforma della Rai, presentata il 9 marzo 2015, successivamente ripresa dal Senatore 5S Di Nicola a novembre 2019. A qual categoria ascriverli: potrei ma non voglio, o meglio potrei ma non vorrei … oppure mi piacerebbe tanto ma forse non è il momento???

Ciò detto, ci limitiamo a prendere atto che è il solo, in questo momento che ha sollevato questo tema. A questo proposito, non ci dimentichiamo del PD che merita una riflessione a parte (ha presentato una/due proposte di riforma della governance Rai, Fedeli e Orlando).

Per concludere su Grillo, ci interessa in particolare il primo punto (sul quale da tempo stiamo insistendo): la riforma della Legge Gasparri è una riforma di sistema (lo stesso che si voleva affrontare con il precedente governo Conte al punto 14 del suo programma). La Rai è parte integrante di un complesso meccanismo dove agiscono diversi soggetti interconnessi e interdipendenti strettamente tra loro. Difficile toccarne uno senza che un altro ne possa risentire. Dunque, non solo la legge 112 deve essere riformata perché si riferisce ad un sistema ormai per buona parte superato e non solo perché l’Europa ce lo ha chiesto, ma perché in primo luogo è necessario, è opportuno e conveniente per il Servizio Pubblico che questo avvenga prima possibile. L’alternativa è la giungla dove vige la legge del più forte e la Rai, oggi più che mai, ha il fianco esposto ai predatori che la cingono d’assedio.

Per quanto poi riguarda la riforma della Rai sul modello BBC, se ne può parlare ad un condizione: che si esca allo scoperto su quale “modello” si intende realizzare. La Rai non potrà mai somigliare alla BBC anzitutto perché radicalmente diversi i modelli, sostanzialmente diversa la sua missione. Allora, si cominci a dibattere sulla Missione del Servizio Pubblico Radiotelevisivo in Italia per i prossimi anni e tutto il resto verrà di seguito.

Per tornare alla comicità: ci divertiremo quando i ministri 5S, o sottosegretari, che partecipano al governo Draghi cominceranno a parlare di tutto questo con i loro colleghi che hanno ben altri interessi e “missioni” da tutelare che non sono e non saranno certamente quelli della Rai. Attenzione: lo spettacolo inizia oggi alle 19 in Vigilanza. 

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martedì 23 febbraio 2021

Tra Fiction, Sport e Reality show: l'ultima spiaggia Rai

È da tempo non sospetto che su questo blog sosteniamo che il baricentro del futuro della televisione, della Rai, del Servizio Pubblico, si colloca esattamente nell’intreccio di tecnologia, di contenuti e di risorse. Si sta definendo un nuovo mercato con nuovi paradigmi e prospettive e la legislazione in vigore non è sufficiente a regolamentarlo. In altre parole, si tratta di offrire al grande pubblico un’ampia offerta dei migliori prodotti, su piattaforme e device efficienti al minor costo possibile. Il soggetto, o i soggetti aggregati, che saranno in grado di riassumere tutto questo in un solo pacchetto potranno passare alla cassa e riscuotere il premio. Abbiamo posto non a caso al primo posto la tecnologia perché giocoforza sarà il primo terreno sul quale verranno decisi i nuovi equilibri tra vecchi e nuovi operatori e sarà il primo e più ravvicinato campo di battaglia che interesserà la Rai nei prossimi mesi.

Vi abbiamo accennato nei giorni scorsi ad un processo, in corso ormai da tempo, che vede i due principali protagonisti della televisione generalista, Rai e Mediaset, contendersi gli ascolti su due grandi generi. Rai vince con le fiction e Mediaset con i Reality show. Con una differenza sostanziale: per Rai la fiction rappresenta una specie di “ultima spiaggia” in quanto gli altri generi di forte attrazione ormai sono abbandonati da tempo come lo sport più diffuso e il grande cinema in prima serata. Altro discorso per Mediaset che, in quanto soggetto privato, ha una libertà di movimento sul mercato che gli consente di spaziare tra opzioni diverse, compresa quella internazionale dove cerca di proporsi come operatore digitale free europeo. Per non dire poi dell'altro tema che abbiamo accennato e sul quale torneremo: come si "racconta" il Paese attraverso la fiction e/o il reality show.

A questo proposito, la notizia del giorno è relativa alla partecipazione di TIM alla gara per l’assegnazione del pacchetto di Serie A del Calcio, dove già l’operatore telefonico è main sponsor, al fianco di DAZN. Infatti, un elemento che potrebbe pesare sulla trattativa è esattamente l’affidabilità tecnologica della rete di diffusione che proprio agli esordi ha penalizzato DAZN e che invece ora, con l’affiancamento di TIM potrebbe risolvere il problema in modo decisivo. Dunque: contenuti e tecnologia si coniugano per affrontare una fetta di mercato (risorse) di grande rilevanza e che coinvolge una parte del pubblico di notevole interesse. Superfluo ricordare che si tratta che oltre al contenuto calcio, stiamo parlando della piattaforma di diffusione in streaming, il diretto e frontale antagonista del digitale terrestre.

Tanto per ricordare: nei mesi scorsi abbiamo proposto ai nostri lettori un Report sulla CDN dove si evidenziava trattarsi di un fonte aperto sul quale si gioca una parte fondamentale dello sviluppo tecnologico di Rai. Il Servizio Pubblico non la possiede e paga un salato noleggio ad un operatore privato, Akamai. Se l’Azienda non investe su questo fronte (e si tratta di cifre ingenti), presto i costi del trasporto potrebbero rivelarsi difficili da sostenere, a tutto scapito di Rai Play, la piattaforma di diffusione dei prodotti Rai nel Web.

Come abbiamo spesso ricordato, a partire dal prossimo 21 settembre quando, con la transizione al DVB-T2, qualche milione di italiani dovrà necessariamente cambiare il proprio Tv o dotarsi di un nuovo decoder per evitare di trovarsi gli schermi neri. Sappiamo per certo che nelle abitazioni sono presenti più di un apparato (chi vi scrive ne ha tre) e sarà difficile pensare che le famiglie possano provvedere a questo aggiustamento in tempi rapidi. Mancano pochi mesi ormai al break down e nessuno ne parla, nonostante l’impatto devastate che potrà avere per tutto il sistema. Non ne parla anzitutto chi ne subirà le conseguenze più rilevanti, la Rai, che invece potrebbe e dovrebbe farlo (perché il Contratto di Servizio lo impone in modo forte e chiaro).  Lo ripetiamo: si tratta di un silenzio colpevole, complice di un danno futuro che ci potrà essere a carico di tutto il Servizio Pubblico e a tutto vantaggio delle nuove piattaforme di distribuzione. È immaginabile, infatti, che la “rottamazione” del vecchio tv potrà transitare con l’utilizzo di un altro device già ampiamente diffuso nelle abitazioni degli italiani: il PC che, peraltro, privo di sintonizzatore, è anche esentato dal pagamento del canone.

Domani, come noto, l’AD Salini sarà ascoltato in Vigilanza Rai. Qualche autorevolissimo nostro lettore, ai piani alti di Viale Mazzini, ieri ci ha commentato: “… si va bhe… tanto la Vigilanza non conta nulla (eufemismo)…”. Forse, per certi aspetti, ha pure ragione. Al Capo Azienda di Viale Mazzini gli potrebbe essere presentato un conto per vari argomenti più o meno fondati. Ma questo conto del quale vi abbiamo appena accennato sulla transizione al DVB-T2 come pure della CDN proprietaria, in quella sede fatica ad emergere mentre, paradossale, assume grande rilievo un tema (le trasmissioni di Striscia la notizia) che certamente non segnerà il futuro della Rai. Qualcosa non torna. Se qualcuno avesse voglia di “processare” questo Cda Rai, di tirare le file di questa esperienza, potrebbe avere buoni argomenti, solidi e robusti, sui quali chiedere conto dei tre anni trascorsi.

                                                        bloggorai@gmail.com

ps: il pizzettaro sotto casa ha messo la pasta a lievitare per le pizze di domani sera, alle 19 

 

lunedì 22 febbraio 2021

Rai Pubblica o Privata?

Si usa dire: hai voluto la bicicletta? Ora pedali. Bene: da oggi si comincia. La prima partitella che si giocherà in giornata, di allenamento, sarà utile già a capire tante cose per come si metteranno nel prossimi mesi: la nomina dei sottosegretari che, fatalmente, comincia ad incrociarsi con la Grande Battaglia di Primavera dove si scriveranno buona parte dei destini del Paese.

Questa Battaglia, è evidente, sarà parte di una Grande Guerra che il Generale Draghi dovrà combattere: quella dell’indirizzo strategico che intende prendere per lo sviluppo economico e sociale. Sostanzialmente, ci sarà in discussione la sua visione dell’azione di Governo: sarà più improntata ai dogmi “liberistI” keynesiani oppure ad una visione statalista e centralista? Più mercato e meno Stato, più pubblico e meno privato? Governo “regolatore” o governo “proprietario”? Le ricadute di questi interrogativi costituiranno esattamente il metro necessario per misurare la qualità e il carattere “politico” di questo Governo. L’elenco è già scritto e messo in calendario: Alitalia, Ilva, Autostrade, rete unica e, in fondo ma nemmeno poi tanto, la Rai.

Dunque, calendari alla mano, proviamo a fare un paio di considerazione su un tema che da tempo stiamo seguendo con attenzione: la società unica per la banda larga, la cosiddetta AccessCo, la NewCo tra TIM e Open Fiber. Tutti ricordiamo l’enfasi che si era creata alla fine dello scorso luglio quando sembrava che era a portata di mano e tutti plaudivano alla necessità di cogliere questo obiettivo, considerato di primario interesse strategico per lo sviluppo tecnologico del Paese. Se non ché, nel giro di poche settimane, tutto si è annebbiato e rallentato. E dove è stata gettata sabbia nell’ingranaggio? Esattamente nella definizione del ruolo che questa società avrebbe dovuto assumere: carattere prevalentemente privato piuttosto che pubblico. Chi ne avrebbe diretto le sorti? Come si sarebbe definita la sua Governance? Lo scontro è tra Cdp e TIM (che, a sua volta, vede un altro grande scontro interno con i francesi di Vivendi che, a loro volta sono in conflitto con Mediaset). Nei prossimi giorni entrerà nel vivo lo scontro per la composizione del nuovo Cda della società telefonica: il M5S ha sempre premuto affinché il baricentro di questa operazione fosse nelle mani di CDP (che detiene il 10% del capitale di TIM), cioè la componente pubblica, che invece, al momento non ha presentato una sua “lista” di rappresentanti nel nuovo Cda della società telefonica. In sostanza: in modo diretto e indiretto, si vorrebbe mantenere un controllo/indirizzo pubblico a contrasto di quello privato, sia in TIM e, di conseguenza in AccessCo.

Se non ché, come noto, anche il vertice di CDP (insieme ad altre numerose e importanti società controllate e partecipate dallo Stato) è prossimo al suo rinnovo e si tratta di una “cassaforte” pubblica di assoluto rilievo in grado di dirigere buona parte degli assett strategici del Paese. E, giunti a questo punto, la battaglia inevitabilmente, si sposta sul piano politico e non ci sono tecnici che tengano. Draghi non potrà fare a meno di fare i conti con la “Politica” intesa come governo della cosa pubblica.

Veniamo dunque alla “cosa” pubblica che ci interessa. Ieri abbiamo proposto una sommaria riflessione su quali scenari si possono intravvedere sul futuro prossimo della Rai. Il primo scenario è ravvicinato: la nomina del nuovo Cda. Il secondo più remoto che riguarda le sue dimensioni economiche e tecnologiche, in sostanza, la sua "missione". A proposito di sottosegretari che verranno nominati oggi: sarà interessante capire se ce ne sarà uno con deleghe specifiche in questo campo. Il precedente ministro Patuanelli per lungo tempo le ha tenute strettamente “riservate”. Il dossier Rai scotta: la nomina della nuova governance comincia ad entrare nella giungla della politica mentre gli altri dossier complementari (i conti in primo luogo) non saranno meno incandescenti.  Da alcuni giorni, ovviamente a Viale Mazzini è sempre tutto “out of record” e abbiamo cercato di raccogliere qualche pensiero. 

La domanda è semplice: è opportuno, utile e conveniente sostenere una spinta verso il rinnovo immediato di questo Cda con la vecchia Legge? Oppure potrebbe essere opportuno, utile e conveniente sostenere l’ipotesi di una proroga per dare modo alla “politica” di intervenire con una riforma della governance, e dunque con una nuova Legge che sostituisca la precedente? Per quanto abbiamo potuto ricavare, le opinioni sono discordi. Da una parte alcuni sono propensi a “fuori tutti, subito, e poi che Dio ce li mandi buoni…”. Il che è tutto dire e da dimostrare. Altri invece, fanno un ragionamento suggestivo: “se viene rinnovato ora il Cda, significa semplicemente che per i prossimi tre anni rimarranno in carica esattamente con il principio ispiratore della Legge attuale, fondata sul controllo del Servizio Pubblico da parte del Governo” e questo significa, in poche parole, condannare ancora per lungo tempo la Rai alla sudditanza partitica. Ambedue le ipotesi sono interessanti. Chi vi scrive, in un primo momento era schierato senza dubbio per la prima: via subito, senza esitazioni. Ma era una considerazione sorta in un contesto politico di altro genere (il governo Conte 2) dove sembrava emergere una volontà di mettere mano alla Rai in modo significativo. Ora il quadro è cambiato e non abbiamo nessun riscontro che possa essere cambiato in meglio. Dunque, per tornare alle considerazioni precedenti. Draghi vorrà imporre un indirizzo pubblicistico o privatistico alla nuova Rai che, inevitabilmente, per forza di legge o di mercato, si dovrà definire? Tutto questo avrà inizio tra breve, non appena si convocherà l’Assemblea di Viale Mazzini per l’approvazione del Bilancio.

Intanto, come vi abbiamo accennato, tra un paio di giorni ci sarà un appuntamento molto interessante utile a capire qualcosa: l’audizione in Vigilanza dell’AD Salini. Si stanno prenotando le poltrone e messo in avviso il fornitore di pizze a domicilio. I due principali azionisti del Governo (Lega e M5S) hanno già dato fuoco alle polveri e gli potranno chiedere conto di scelte “discutibili” sul piano della razionalizzazione, dell’ottimizzazione ed efficientamento della macchina aziendale e, di conseguenza, dei conti in rosso che si prospettano. La sola semplice domanda che gli potrà essere posta è: come e quanto la Rai è migliorata rispetto a quando, luglio 2018, si sono insediati a Viale Mazzini? Se la potrà cavare solo con gli ascolti della televisione cresciuti nel 2020 a causa della pandemia? Speriamo proprio di no. Speriamo proprio che non vogliano usare questa argomentazione.

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sabato 20 febbraio 2021

Pax Politica = Pax Televisiva ?

Oggi corriamo il rischio di annoiare qualche lettore. Sia per la lunghezza del post sia perché tratteremo di argomenti, in particolare di leggi e normative, che interessano non solo il futuro della Rai , del Servizio Pubblico. Speriamo di essere perdonati.

Ieri abbiamo proposto una riflessione sul tema Pax Politica = Pax Televisiva. Come accennato, si tratta di capire se e come questa nuova e forse diversa stagione politica potrà incidere sul futuro del Servizio Pubblico e della Rai. Difficile suppore che ci possa essere una Pax Televisiva: c’è stata e ci sarà forte tensione non solo e non tanto sulla televisione (e quindi sulla Rai e sul suo controllo) ma su tutto il perimetro della nuova regolamentazione che comunque si dovrà pur fare nel comparto delle telecomunicazioni, piaccia o meno alla volontà dei partiti e del governo che sostengono. Conte lo aveva proposto nel famigerato art. 14 del suo programma di Governo (nemmeno lentamente preso in considerazione). Draghi su questo tema non ha detto parola.

“Ce lo chiede l’Europa”: anzitutto ed esattamente per quanto disposto dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea (1) del  3 settembre 2020 (accolto il ricorso presentato da Vivendi contro l'Autorità per le garanzie delle Comunicazioni e Mediaset SpA - causa C-719/18) che “impone” agli stati membri la revisione del SIC (Sistema Integrato delle Comunicazioni) e conseguente revisione del TUSMAR. In altre parole, si tratta di rimettere mano ad una intera Legge di sistema sulla falsariga di quella attualmente in vigore, la 112 del 2004. Attenzione: si tratta di una Legge che regolamenta un mondo delle telecomunicazioni ora pressoché estinto e che ancora più sarà profondamente diverso già dal corso di questo anno, quando comincerà a dispiegarsi la potenza dirompente del nuovo sistema di diffusione digitale terrestre. Inoltre, è sempre in corso di svolgimento l’applicazione della Direttiva 2010/13/Ue Del Parlamento Europeo e del Consiglio del 10 marzo 2010 relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (AVMS - direttiva sui servizi di media audiovisivi) (2).

Dunque, è agevole constatare che ci potrà essere una Pax Politica in virtù di contingenze inderogabili (in primo luogo la gestione della pandemia) mentre sembra più difficile supporre che ci sia e ci possa essere una Pax nelle telecomunicazioni dove tutti i soggetti interessati possano uscirne dignitosamente senza danni eccessivi. Non è e non potrà essere un gioco a somma zero: qualcuno dovrà rimettere una fetta di “sovranità”  e di titolarità di mercato a favore di qualcun altro. La tensione sul tema fibra/BUL ne è il chiaro segno: il suo sviluppo sarà, magari diluito nel tempo, ma a danno di altri sistemi di diffusione dei prodotti audiovisivi. Non è più questione di se ma solo di quando potrà avvenite il sorpasso.

Inoltre, come abbiamo spesso scritto, la pandemia ha accelerato un processo già in corso da tempo: la ripartizione delle risorse economiche. I nuovi prodotti audiovisivi, il “nuovo pubblico” che si è formato su altre piattaforme, con altri modelli e linguaggi, nella produzione e nella distribuzione, richiedono risorse ingenti non facilmente reperibili sul mercato. La Rai è ingessata per un verso al canone (sul quale, altro che Pax Televisiva… da tempo rullano tamburi di guerra) e per altro ad un mercato della pubblicità dalla quale forze rilevanti che sostengono questo Governo vorrebbero sottrarla. Concludiamo: non vediamo all’orizzonte un tavolo di Pace, Bene e Serenità per il futuro del Servizio Pubblico e non si capisce ancora se, come e quando,  questo Governo sarà in grado di predisporlo.

Non lo vediamo per un solo e fondamentale motivo che, speriamo, possa trovare tutti concordi: non c’è, non esiste, non lo ha esposto nessuno un qualsivoglia progetto o idea di cosa dovrebbe essere la Rai nel suo prossimo futuro. L’assenza di questo elemento si fonda a sua volta sul buco nero primordiale: la missione, il ruolo, lo scopo di Servizio Pubblico Radiotelevisivo per gli anni a venire. Se non c’è una missione, uno scopo, un indirizzo verso il quale rivolgersi, non ci sono riforme che tengano. La stessa riforma della Governance, alla quale in certo senso aderiamo e che pure riteniamo importante, seppure ci fossero forze adeguate e sufficienti a portarla avanti, potrebbe rivelarsi una pezza più piccola del buco che vorrebbe tappare perché potrebbe essere travolta dal combinato disposto dei nuovi equilibri di tecnologia ed economia che si stanno definendo.  

A questo proposito, ieri è comparso sulle colonne del Fatto un intervento di Giovanni Valentini che contiene un paio di considerazioni che meritano di essere approfondite e chiarite. Il suo intervento si conclude con una affermazione: “… il “pacchetto” azionario dell’Azienda Pubblica è ancora in mano al Ministero dell’Economia e quindi al Governo. Basterebbe che decidesse di trasferirlo ad una Fondazione autonoma e indipendente … etc etc “. No. Non si può fare. La proprietà, e quindi la natura giuridica della Rai , è determinata, appunto da una Legge, la 112 di cui prima, e una Legge può essere modificata solo con un’altra Legge. Sarebbe utile, a questo proposito rileggere attentamente quanto disposto dall’art. 41 della Legge Gasparri (IV, art. 21.6) e del successivo correlato art. 49 del Decreto Legislativo 31 luglio 2005, n. 177 Testo unico della radiotelevisione (TUSMAR).

Non solo, ma la lettura attenta di queste disposizioni apre una riflessione non ancora compiuta o che viceversa, si potrebbe aprire: la cessione, o dismissione, di parte o tutto il patrimonio dell’Azienda, seppure ad una Fondazione qualificata, configura una “bozza” di privatizzazione? Il problema non è solo e tanto nella revisione dei meccanismi di nomina per come li ha definiti la Legge 115 del 2015, e dunque la sottrazione dell’ingerenza del Governo nella nomina dei vertici Rai, quanto più nella natura giuridica di chi sarà il “proprietario” dell’Azienda che ricordiamo è e, per quanto ci riguarda, dovrà rimanere pubblica.  

Altro elemento sollevato da Valentini: ha scritto che il nuovo Cda decadrà il prossimo 19 luglio. E dove sta scritto? Il consiglio decade, a norma di Codice Civile, dopo 130/160 dall’approvazione del Bilancio e la data per l’Assemblea, ad oggi non è nota. Quindi non c’è nessuna data alla quale fare rifermento. Tutt’altro discorso in merito alla possibilità che questo Cda possa avere o meno una proroga e qui, certamente, sarà misurata l’esistenza o meno della Pax televisiva. 

Certo, se dovessimo giudicare dalla piccola vicenda della partecipazione della Palombelli, volto di primo piano di Mediaset al prossimo Sanremo e delle dichiarazioni di fuoco rilasciate ieri a palle incatenate e simultanee da Lega (Capitanio) e PD (Bordo), i due azionisti di maggioranza del Governo, a Viale Mazzini hanno poco da stare allegri.

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(1) http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DOSSIER/0/1179686/index.html?part=dossier_dossier1

(2)  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=legissum:am0005

  

venerdì 19 febbraio 2021

Il Sabato del Villaggio

Questa mattina ce la prendiamo comoda e il post completo potrebbe arrivare nel pomeriggio. Cerchiamo di decifrare la visione panoramica dei titoli dei quotidiani di oggi: nei titoli principali non compare mai il nome di Draghi.

Nel frattempo, vi sottoponiamo alcuni interrogativi/riflessioni.

Pax politica = uguale Pax televisiva? Il governo Draghi gode di un ampio consenso parlamentare che evidenzia un “accordo” di tregua tra le principali forze politiche. Questo “clima” si potrà trasferire anche sulla Rai, sul sistema delle telecomunicazioni, sulla ripartizione della torta pubblicitaria?

Il nuovo governo segna la riscrittura della mappa geografica (ancora non del tutto completa) dei soggetti amici/nemici del Servizio Pubblico. Si tratta di un criterio di lettura forse superato, simile a destra/sinistra, ma è ancora utile per comprendere cosa potrà avvenire nel futuro della Rai?

Nei giorni scorsi è stato pubblicato dall’Ansa un Report dello Studio Frasi, diretto da Francesco Siliato con la fotografia degli ascolti di Rai e Mediaset nel 2020 con dati molto interessanti. Siamo in grado di sapere esattamente quali generi hanno avuto maggiore rilevanza e quali meno e come sono stati ripartiti tra le due emittenti. Alcuni tra questi tipicamente commerciali, altri più da “servizio pubblico”. Sarà interessante sapere come a Viale Mazzini si intende lavorare in questo campo, ben sapendo che la traccia è ben scritta: il Contratto di Servizio.

Provate prima a digitare su Google “the future of television” e dopo “il futuro della televisione” e fate un confronto con i risultati che si ottengono: impietosi. In Italia questo argomento sembra interessare pressoché nessuno. Il solo ambito che, da sottolineare “sembra”, ha suscitato qualche attenzione è stato quello della riforma della Governance con un paio di proposte di Legge e la raccolta di oltre 1200 firme ottenute con il Manifesto per un Nuova Rai  ( https://manifestonuovarai.wordpress.com/ ) .

In ultimo, la notizia di ieri è che a Sanremo andrà la conduttrice Mediaset Barbara Palombelli. Nulla di nuovo: già la De Filippi ha fatto scuola. Il criterio è "bene o male, purché se ne parli". Se il pubblico da casa non capisce più la differenza tra televisione commerciale e pubblica sembra essere del tutto irrilevante. che poi la Palombelli è nella "scuderia" del noto agente Presta, anche questo sembra essere del tutto irrilevante. Già .. del tutto irrilevante ...

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Il passo felpato della finanza: Draghi e la Rai

La riflessione di oggi prende spunto da due elementi: il primo ce lo ha fornito ieri una nostra attenta e qualificata lettrice quando ci ha chiesto: “Perché, seconde te, il titolo di Rai Way va male in Borsa?” e il secondo ci viene proprio questa mattina dove leggiamo su un sito finanziario un articolo che inizia con “Affonda sul mercato la società che gestisce le reti di trasmissione e diffusione radiotelevisiva per la RAI”. Siamo andati a verificare e, in effetti, si avverte un calo significativo, non di particolare gravità ma con una  tendenza chiara.

Perché è interessante questa storia in relazione alla nascita del governo Draghi e al futuro del Servizio Pubblico? Ci sono diverse considerazioni da tenere in conto. Anzitutto va ricordato che nella scena politica e quindi, in subordine, in quella economica e finanziaria, ci sono, vivono e prosperano spesso in buona salute, soggetti informi, apparentemente anonimi, noti con il nome “mercati”. Si tratta di “entità” molto sensibili, hanno un’anima attenta e premurosa per i propri clienti e quindi hanno sempre le antenne dritte su quanto avviene intorno a loro. Nel caso specifico, Rai Way, è società che per conto di Rai gestiste le torri di trasmissione dove transitano i propri prodotti radiotelevisivi, quotata nel 2014, per far fronte ad una necessità di cassa dovuta al prelievo forzoso (quanto illegittimo) del Governo in carica a quel tempo di 150 mln. Ora, i “mercati” hanno intuito che nel futuro di questa Azienda, parzialmente pubblica, il business delle torri di ferro è destinato inevitabilmente, prima o poi, al declino per far fronte alle nuove tecnologie di diffusione dei segnali che non viaggeranno più con le stesse modalità. Il segnale che potrebbero aver colto i “mercati” è esattamente in questa direzione: il governo Draghi, per quanto è dato sapere, potrebbe dare un impulso sostanziale allo sviluppo della rete unica su banda larga e quindi segnare inevitabilmente il destino delle torri. Lo abbiamo scritto da tempo non sospetto: Rai Way non è un prezioso “gioiello di famiglia” che merita di essere conservato... anzi... al contrario… dismetterlo subito potrebbe essere assai conveniente e, non a caso, Mediaset lo ha già fatto. Lo aveva già scritto Marco Mele a giugno dello scorso anno: “Con l’avvento di 5G e fibra ottica la Società controllata dalla Rai che gestisce l’infrastruttura se non vende presto il valore delle torri calerà”. L’anno appena iniziato potrebbe segnare l’inizio di fusioni e dismissioni significative in tutto il perimetro delle TLC e i “mercati” potrebbero aver fiutato la preda.

Dunque, nulla di nuovo: politica, economia, finanza e tecnologia si legano in modo indissolubile e interagiscono tra loro. Torniamo per un momento al tema proposto ieri: la comunicazione del governo Draghi. Il personaggio, è noto, è uso camminare nel corridoi silenziosi delle banche e dei “mercati” dove tutto si comunica (o NON si comunica) in modalità e con tempi del tutto anomali e asincroni rispetto alla normale comunicazione istituzionale e, dunque, non stupisce affatto lo stile di relazione pubblica che intende adottare. Se non che, come abbiamo sostenuto, la forma si mescola con la sostanza e viceversa e ambedue si collocano in un determinato contesto tale per cui lo stesso binomio che vale oggi potrebbe non essere più valido domani. Torniamo per un attimo al discorso di Draghi tenuto al Senato. Molti di noi si divertono con queste cose, e abbiamo utilizzato dei piccoli strumenti di analisi per comprendere e “pesare” un testo e, per rendere visibile questo aspetto, si usa visualizzarlo con una “nuvola di testo” dove si evidenzia la ricorrenza di alcune parole. La nostra è questa:

 


Inoltre, abbiamo fatto una “scansione” di altri termini significativi per definire la quantità di volte che compaiono nel testo. Ne abbiamo cercato una con la sua declinazione: elettori/elezioni e società/sociale. Elettori compare una sola volta e elezioni mai. Società mai e sociale 8 volte e, segnatamente “coesione sociale” mai. Le prime dieci parole più usate comunque sono: paese, pandemia, programma, governo, lavoro, europea, anno, cittadini, dobbiamo, anni. Ce n’è abbastanza per riflettere su quale sia l’orizzonte non solo linguistico e contenutistico del “Draghi pensiero”.

Voltiamo pagina a affrontiamo un tema che abbiamo già definito di assoluta rilevanza per la Rai che, in qualche modo si ricollega a quello di Rai Way: i conti economici del 2021. La notizia dei giorni scorsi è che il Cda RAI ha approvato il rinvio del pagamento del canone speciale al 31 marzo dovuto dagli esercenti attività commerciali (bar, ristoranti, alberghi etc. ) che vale, a bilancio 2019, oltre 85 mln di euro. Un segnale di preoccupazione importante per il forte rischio di evasione che prospetta. Riassumiamo i termini nei tratti generali: a Viale Mazzini entrano (bilancio consolidato 2019) circa 1800 mln di canone (di cui 85 speciale), 540 di pubblicità e 140 per altri ricavi da attività commerciali per un totale di circa 2480 mln di euro. Necessario fare alcuni passi indietro. A luglio dello scorso anno, anzitutto per colpa della pandemia, si prospettava un andamento dei conti di Viale Mazzini preoccupante con un rosso per il 2020 di circa 45/50 mln e per il 2021 un deficit di circa 200/220 mln. In Vigilanza, l'AD Salini lo scorso ottobre, disse testualmente “L’evoluzione inerziale delle risultanze del quadriennio 2020-2023 evidenzia una situazione economico-finanziaria tendenzialmente non sostenibile”. Avete letto bene: NON sostenibile, cioè nelle condizioni date l’Azienda è votata al fallimento. questa considerazione potrebbe essere giunta al nuovo Capo del Governo per tutta la sua gravità. Ecco allora che, a quanto ci risulta (seppure non abbiamo avuto conferma ne smentita) sul tavolo di Giorgetti al MISE è stato ripresentato subito sulla sua scrivania  il dossier del suo predecessore con una bozza di decreto “salva Rai” dove si prospettava un “intervento” di riequilibrio tra canone e pubblicità, esattamente seguendo uno schema sul quale Patuanelli ha mostrato riserve che invece il nuovo governo potrebbe non avere, vista la compagine di partiti che lo sorregge. La partita è solo all’inizio.

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giovedì 18 febbraio 2021

La Comunicazione di Draghi tra ragione e sentimento

Questo Blog si occupa ormai da tre anni del futuro del Servizio Pubblico, in Italia e in Europa, e quindi di Rai. Dopo tante centinaia di post e vicini alle 100 mila visualizzazioni (manca poco) abbiamo raccolto una significativa conoscenza dei complicati meccanismi che ruotano intorno a questo problema che iniziano a girare e prendere forma, ovviamente, nel quadro politico e istituzionale.

Di cosa si compone un discorso politico? Semplice: anzitutto un contenuto, poi una forma con cui viene esposto e un contesto nel quale si colloca. Vi proponiamo un esercizio molto utile per comprendere l’avvio del Governo Draghi e le prospettive che lascia intravvedere per quanto ci interessa: il confronto del suo discorso tenuto al Senato al momento della richiesta della fiducia con quello del 5 giugno 2018 fatto da Giuseppe Conte  

Draghi: https://www.youtube.com/watch?v=BoBbntrVBp8   

Conte: https://www.youtube.com/watch?v=zFm54EwGlMo&t=270s

Osservate attentamente la forma espositiva, il modello narrativo, e a distanza di tre anni annotate le differenze nel contesto di quanto è successo.

Ricorderete come, nei giorni scorsi, abbiamo sollevato con attenzione il tema della comunicazione di questo nuovo esecutivo (vedi post del 6 e del 9 febbraio) e, in particolare con riferimento alla coesione sociale e al consenso che Draghi dovrà conquistare non solo nelle aule parlamentari. Giacché, di questo si tratta: ottenere la maggioranza dei voti da questi partiti, da questi deputati e senatori che nel giro di pochi anni hanno cambiato più governi e casacche di Carlo in Francia potrebbe anche essere facile. Ottenere il consenso, la fiducia, l’adesione degli italiani al suo programma di governo potrebbe essere alquanto più complicato. Ricordava De Rita nei giorni scorsi, appunto, che non è sufficiente la sola “tecnica” il “saper fare”. È necessario anche saperlo “comunicare”, cioè mettere a fattor comune il proprio agire, renderlo condiviso e accettato.

Come è stato il discorso di Draghi ieri al Senato? Ha informato ma non ha emozionato, ha comunicato ma non ha entusiasmato, ha letto ma non ha spiegato, ha indirizzato il suo “messaggio” alla mente e non al cuore, ha colpito la ragione e non il sentimento.

Per quanto riguarda il contenuto, ci sarebbe molto da dire ma non è questa la sede. Le osservazioni si potrebbero riferire più a ciò che non è stato detto, o non è stato esposto compiutamente, piuttosto che a generiche (per quanto importanti) dichiarazioni di buoni propositi che, ovviamente, non possono che suscitare unanimi e favorevoli adesioni. Vi proponiamo quindi di soffermarvi per pochi istanti su alcuni aspetti relativi alla sua peculiare “forma” di comunicazione politica. Come noto, ognuno di noi comunica anzitutto con il proprio corpo, con la postura, la gestualità, e segnatamente con gli sguardi, con gli occhi. Poi si comunica con la voce e quindi con la sua cadenza, ritmo, volume e tono. Draghi inizia a parlare e lo sguardo è rivolto sui fogli che ha in mano e legge. I suoi occhi solo in modo rapido e fugace sono rivolti verso chi ascolta e così sarà per tutta la durata dell’intervento. Quasi mai si sofferma con lo sguardo verso chi ascolta. La lettura è attenta e didascalica, precisa e puntuale come una lama di bisturi. Monocorde come una lastra di ghiaccio. L’applauso più sentito lo riscuote quanto ritorna “umano” e chiede se può sedersi.

Attenzione agli occhi: l’arte oratoria poggia sul pilastro fondamentale dello sguardo. Quando ci si rivolge a qualcuno e si intende comunicare con forza il proprio messaggio si guarda dritti negli occhi, la cosiddetta “porta dell’anima”. Non è difficile cogliere nello sguardo di Draghi un versante obliquo (in Rai ricorda qualcuno???). Nel suo stile di comunicazione e per una parte della sua postura ricorda un “estremista” in materia: Enrico Cuccia, che non dichiarava una parola alla stampa nemmeno sotto tortura.

Ora cerchiamo di ricondurre queste sommarie considerazioni al nostro ambiente: la comunicazione audiovisiva. Le precedenti esperienze del governo Conte hanno evidenziato il rafforzamento e la diffusione di un “sistema” di comunicazione istituzionale ormai divenuto strutturale e pressoché inderogabile. Difficile fare a meno dei “social” dove, in primo luogo, si è rafforzata la diretta Web, e l’immediatezza del messaggio. “Anywhere … anytime” e con ogni mezzo: PC, cellulari, tablet, smart Tv etc. La cosiddetta “disintermediazione” tra emittente del messaggio e destinatario ha tagliato i passaggi occasionali e irrilevanti. Dunque, anche la comunicazione istituzionale non ha potuto e non potrà essere zona franca in questo processo forse irreversibile. Draghi potrà o vorrà fare a meno di tutto questo?

Vedremo verso la Rai quali saranno le scelte che presto dovrà compiere, a partire dal rinnovo del suo vertice e, a seguire, del risanamento delle sue finanze che per l’anno in corso potrebbero portare verso una zona grigia pericolosa.

Questa mattina su Repubblica, Roberto Mania ha descritto questo nuovo “clima” del Governo Draghi e della sua portavoce Paola Ansuini: “Niente (o quasi) social, niente gruppi su WhatsApp, niente storytelling. Poche parole legate sempre ai fatti”…” Come è sempre stato alla Banca centrale, com' è nelle istituzioni europee dove non si commentano mai i rumors e, certamente, non si creano”.

Non siamo del tutto convinti che la “strategia del silenzio” ovvero dell’uso silenziato delle notizie sia un bene. Non siamo del tutto convinti che il necessario consenso che un governo deve avere tra i cittadini si possa ottenere in modo indipendente da come questi ultimi comunicano solitamente tra loro. Non siamo convinti che la “tecnica” sia una categoria dello spirito. Vi riproponiamo la lettura di Carlos Castaneda, Il Potere del Silenzio (lo trovate anche gratis in PDF).

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mercoledì 17 febbraio 2021

Draghi e la strategia del silenzio

Nelle scienze sociali sono relativamente poche le nuove invenzioni. Tutto, o quasi, è stato già scritto o raccontato da millenni. La scienza della comunicazione è nuova solo nelle dimensioni accademiche quanto invece è antica nella storia dell’umanità. Per entrare nel nostro campo e per introdurre il tema di oggi vi proponiamo di rivedere uno spot di Spike Lee, realizzato nel 2004 per conto di TIM, ed ha vinto un premio per quello che potrebbe essere ricordato il migliore spot “Best ever forever”:

https://www.youtube.com/watch?v=MSTBory_sJY

L’argomento di grande attualità è la comunicazione del nuovo Presidente del Consiglio. Che tipo di comunicazione ci si potrà attendere da Draghi? Da questa mattina sarà noto il suo programma di governo e questo è già un bel passo avanti. Finora, lo stile e l’impronta di comunicazione ha visto l’uso di un solo strumento: il silenzio. Da giorni autorevoli osservatori (vi proponiamo il pezzo di Gianluca Comin su Formiche.it che cita un documento molto interessante The Nature of Silence and its Democratic Possibilities .. per chi fosse interessato lo abbiamo in originale e lo possiamo inviare su richiesta a bloggorai@gmail.com ) hanno rilevato questa caratteristica di Draghi, molto simile a quello della Merkel: si parla il minimo indispensabile e, infatti, già dalla prima riunione del Consiglio dei Ministri ha raccomandato “sobrietà e riserbo” nelle comunicazioni alla stampa. 

Dunque, per un verso un suo stile, un suo marchio di fabbrica, per altro verso una precisa scelta “politica” e, per certi aspetti, "tecnica". Ci interessa riflettere su questa seconda parte. Anzitutto da osservare una marcata differenza con il precedente governo Conte che della comunicazione “aperta” e globale, dovunque e comunque e su tutti i media, ha fatto la sua cifra distintiva. In secondo luogo, la necessità di “governare” la comunicazione di una compagine di partiti molto eterogenei tra loro, alcuni reduci di clamorose giravolte, che proprio sulla comunicazione rischiano di mettere in difficoltà l’azione del nuovo Governo (vedi il caso Speranza sullo sci e ne parleremo più avanti). In terzo luogo, il vincolo di “costruzione” di un leader che non ha la controprova del consenso sociale che è in grado di riscuotere (al di la dei sondaggi, volatili ed effimeri per loro natura). Significa dotarsi di una propria “grammatica” della comunicazione istituzionale e “popolare”. Il consenso istituzionale già lo possiede, a partire da quello che gli riconosce in primis il Capo dello Stato Mattarella. Si tratterà invece di dialogare, di comunicare con le persone, con chi sarà oggetto delle sue scelte di Governo, dalle quali dovrà essere percepito come “capo”, autorevole, forte e credibile. 

Per tutto questo, e per altri buoni motivi, la strategia del silenzio finora utilizzata da Draghi potrebbe rivelarsi uno strumento a doppio taglio. Per un verso mette sotto tutela i rischi di comunicare scelte, forse pure impopolari, che potrebbero essere disconosciute il giorno dopo (sul fronte della sanità, del lavoro etc) e dunque “meno se ne parla, meglio è”. La strategia è quella del “Governo del fare e non del comunicare”. È una scelta che può ottenere gradimento: il sano pragmatismo del buon padre di famiglia che mette in ordine i conti di casa. Non a caso, ha nominato come sua portavoce Paola Ansuini, già responsabile della comunicazione in Banca d’Italia, una donna che viene dal mondo dei numeri, della finanza e dell’economia. 

Viceversa, la strategia del silenzio, o forse si potrà meglio dire della “comunicazione sottotono”, in queste determinate circostanze rappresenta una forte dose di rischio. Cosa determina la qualità della comunicazione politica e sociale? La quantità degli strumenti che si adoperano? Cosa caratterizza la “buona” comunicazione da quella “cattiva”? Proponiamo uno tra i tanti criteri: la credibilità, cioè la definizione di un messaggio percepito come “vero”. Siamo consapevoli che su questo terreno il discorso si complica assai: cosa è “vero” nel racconto sociale e politico di un Paese? Si può dire che esiste una sola verità, oppure si può sostenere che esiste una verità "tecnica" indipendente dalla politica? Abbiamo qualche dubbio. Però, tanto per essere chiari, quando si tratterà di decidere lo sblocco dei licenziamenti tra poche settimane, sarà difficile non essere chiari e le scelte di comunicazione a disposizione non saranno molte: o le imprese potranno procedere a licenziare centinaia di migliaia di persone oppure no. La comunicazione si poggia su due pilastri: da un lato si emette un messaggio e dall’altro lo si riceve. Nel mezzo c’è appunto, il messaggio, il contenuto, l’oggetto stesso della comunicazione. Concludiamo: la strategia del silenzio non ci sembra la migliore in questo momento: la pandemia pone una sfida anche mediatica di rilevante spessore. Si tratta di comunicare bene, di emettere messaggi forti e chiari, facilmente recepibili e condivisibili, autorevoli e credibili.    

La storia del blocco dello sci firmato da Speranza non è ben chiaro se si è tratto solo di sfortuna o di un ardito quanto complicato complotto. Per la prima ipotesi propende la somma di circostanze temporali: all’inizio della crisi politica era difficile prevedere l’andamento della contemporanea crisi epidemiologica. Per la seconda ipotesi propendono due fattori: una vendetta e una minaccia. Vendetta per chi è stato o sarà rimosso da Draghi e minaccia per quanto lo stesso capo del Governo vorrà fare nella sua beatitudine “tecnica”. Ancora sulla prima ipotesi: certamente la fortuna è una componente determinante per le sorti delle vicende umane. Si tratta di quel famoso filo d’erba che può indirizzare una palla in una direzione piuttosto che un’altra. Ieri, sulle pagine del Corriere, è comparso un lungo articolo a firma Gian Antonio Stella dal titolo “Gli osanna per i leader. Quella devozione di troppo per chi è al potere”. Draghi è o potrebbe essere un leader carismatico? Attorno a lui siedono generali capaci e fortunati? Vedremo.

Nota a margine: sulla Rai è sceso un preoccupante silenzio.

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martedì 16 febbraio 2021

Le polpette avvelenate del Governo Draghi. Il Paese tra Fiction e Reality show

La storia del blocco improvviso alla possibilità di riaprire gli impianti di sci è una classica polpetta avvelenata minacciosa ed incombente sul futuro del governo Draghi con effetto ritardato e a futura memoria, oltre a non essere l’unica. Riporta in primo piano, inoltre, un tema che abbiamo sollevato: la tecnica è neutra rispetto alla politica? A nostro avviso NO, tant’è che appena insediato il nuovo Governo Draghi vorrebbe cambiare subito i “tecnici “ del CTS con altri “tecnici“ a sua immagine e somiglianza, giusto per ribadire il semplice concetto che ogni governo usa i suoi. Dunque: non è difficile supporre  che ci saranno molte “polpette avvelenate” nei prossimi giorni (Alitalia, Ilva, blocco dei licenziamenti, vaccini etc) e, aggiungiamo noi last but not least, la RAI.

Lo scorso dicembre, sul sito ufficiale della BBC, è comparso un articolo con questo titolo: “Netflix e Sky possono offrire contenuti di Servizio Pubblico?” https://www.bbc.com/news/entertainment-arts-55230161?xtor=AL-72-%5Bpartner%5D-%5Bmicrosoft%5D-%5Bheadline%5D-%5Bnews%5D-%5Bbizdev%5D-%5Bisapi%5D  . Nonostante che in Italia non ci sia dibattito su questo fronte, il tema è di grande attualità e si riferisce al problema di cosa deve fare un Servizio Pubblico Radiotelevisivo in relazione alle risorse di cui dispone, cioè al suo progetto, alla sua missione editoriale. Si riferisce, inoltre, al perimetro della sua progettualità, cioè esattamente quello che il nuovo governo Draghi si propone di definire in molti ambiti. Sappiamo quali sono le sue priorità (salute, giustizia, lavoro etc) ma non ancora le secondarietà, tra le quali dovrebbe esserci, appunto, la riforma del Sistema integrato delle Comunicazioni (SIC). Questo, a sua volta, poggia su tre pilastri: normative, risorse e tecnologie che, a loro volta, sorreggono appunto i contenuti che vengono diffusi.

In attesa che qualcuno se ne possa occupare, il Paese reale si racconta in televisione tra reality show e fiction. Solitamente non ci occupiamo di programmi delle televisioni generaliste, pubblica o privata. Vi proponiamo uno spunto di riflessione che merita attenzione per le forti analogie che si possono riscontrare con la vita del Paese in queste determinate circostanze e contesto.

Nei giorni scorsi si è conclusa su Rai Uno la fortunata serie di “Mina Settembre” una fiction che, per molti aspetti, si potrebbe considerare la perfetta metafora dell’Italia in questo momento storico. Il racconto si svolge a Napoli e i protagonisti rappresentano bene le diverse categorie sociali: dal semplice portiere (e di questo parleremo più attentamente) al magistrato, dalla signora popolare dei “rioni” al generale in pensione. Di tutto un po’, sapientemente distribuito con il bilancino delle stratificazioni sociali e culturali. La fiction ha avuto grande successo ed ha chiuso in bellezza con oltre 6 mln di telespettatori. Non sono numeri da record di Montalbano o di Don Matteo ma sono significativi. Di “Mina Settembre”, specie nella sua conclusione, un aspetto colpisce in modo particolare: un tratteggio collettivo rasposo e amaro del carattere degli italiani, frastornati e confusi dal Covid. Quali sono i tratti salienti di Mina e dei suoi comprimari? Il suo agire è finalizzato al bene comune animato da un forte senso di giustizia “sociale”, il sano ottimismo e perbenismo di “andrà tutto bene”.  Sappiamo invece come è andata a finire. Mentre, sul piano personale/familiare/relazionale la protagonista, proprio come il Paese, vive in un mondo di confusione e zone grigie mai chiarite del suo passato. Alla sua ultima puntata di domenica scorsa, la fiction si conclude lasciando aperte molte soluzioni (anche sentimentali), più o meno esattamente come avviene nel Paese reale, dove tutto e il contrario di tutto è sempre possibile.

Dal fronte opposto, a Mediaset, spopolano i reality show: Il Grande Fratello Vip, l’Isola dei Famosi, la Pupa e il Secchione e simili. Tutti proposti e bene accompagnati da Maria De Filippi con i vari Amici, Uomini e donne e C’è Posta per te. In poche parole: si può affermare che la Rai propone, sostiene la narrazione del Paese attraverso la fiction mentre Mediaset la sorregge attraverso i giochi di simulazione e i confronti sociali/culturali? Si può anche sostenere sommariamente, che Rai riprende e metabolizza modelli di comportamento, stili di vita  e linguaggi già presenti nello svolgimento quotidiano della vita del Paese mentre, in qualche modo, Mediaset li anticipa e li propone? La composizione dei pubblici, la sua stratificazione geografica, per fasce di età, per scolarità, per fasce di reddito, porta a leggere una geografia molto disomogenea. Il pubblico “generalista” sembra dividersi in due grandi schieramenti: da un lato gli adulti, solitamente over 50, propenso ad un modello di narrazione più “morbida”, caratteristica delle fiction “buoniste” del genere “Che Dio ci aiuti” mentre i “giovani” sembrano orientarsi sempre più verso un modello di racconto più competitivo, tipico del reality show, e della tensione adrenalinica. Sul fondo di queste sommarie considerazioni, come al solito, emerge il tema delle risorse sulle quali contare: produrre fiction costa molto mentre “Amici” o “Il Grande fratello VIP” ora allungato all’inverosimile costa relativamente poco. Torniamo sempre al punto di partenza: le risorse economiche destinate alla televisione generalista. Ieri sono stati pubblicati i dati Nielsen sull’andamento del mercato pubblicitario 2020: una catastrofe attestata a – 10% con la raccolta WEB che per la prima volta supera quella Tv. La torta è piccola e non basta per tutti: ci attendiamo a breve una ripresa della tensione politica su questo fronte, ancora più forte ora con la presenza ufficiale del partito Mediaset nel Governo.

Anche per questo la Rai e il tema dei suoi conti in rosso previsti per il 2021 saranno, presto, una grossa polpetta avvelenata sulla tavola del Governo Draghi.

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lunedì 15 febbraio 2021

Il Governo e gli scherzi di carnevale

 

Scusate, abbiamo scherzato … è tutto un gioco … ricominciamo!!! Ri / cominciamo, appunto, da uno scherzo:


Più avanti vi riveleremo l’autore. In verità, il clima, drammatico, di carnevale, lo abbiamo avvertito chiaramente già da ieri, quando soffiava un Burian freddo come una lama di coltello. Nel momento in cui è stata resa nota la notizia del provvedimento del Ministro Speranza che imponeva il rinvio dell’apertura degli impianti di sci, prevista per oggi, poco dopo si è scatenato il "ministro" (ombra, si intende) Salvini che ha pensato bene di bacchettare il suo collega: “hai avvisato prima il capo (Draghi) ???”. In un certo senso, ha ragione Salvini: è lui che dirige la baracca, è lui che dovrebbe dare la guida, tracciare il percorso del buon governo e allora delle due l’una: o ne era stato informato da Speranza oppure no. Nel primo caso, altro che dolori del Giovane Werter, con le prossime scadenze (vedi una su tutte: la fine del blocco dei licenziamenti) ci saranno da vedere i sorci verdi. Oppure non è stato informato precedentemente, e allora… peggio me sento. Però, si sa, tutto si aggiusta, sono inesperti, lasciamoli lavorare. Ieri, tanto per sottolineare le modalità di azione del suo governo, Draghi ha fatto appello a tutti per agire uniti e sobri nella comunicazione. Su questo argomento, la comunicazione istituzionale, torneremo (nel frattempo, procuratevi una copia de Il Potere del silenzio, di Carlos Castaneda).

Bene. Intanto suggeriamo una gita a Siena, appena sarà possibile, nella Sala della Pace ad ammirare gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti con le allegorie del Buono e del Cattivo Governo. Immagini mirabili, impressionanti: da sole valgono più di un discorso a Camere riunite. Ci sarebbero spunti per andare avanti fino a fine legislatura. Compresa la coesione sociale che, come ha dichiarato Draghi, vorrebbe essere un suo filo conduttore.

Bene, andiamo avanti e torniamo al nostro specifico ambito di interesse. Allora, chi siede nel Governo Draghi e quali visioni del problema si possono intravvedere? Vi partecipa un certo Renato Brunetta, autore dello scherzo di cui sopra (https://twitter.com/renatobrunetta/status/703155826844807172 . Un vero amico del Servizio Pubblico, della Rai. Oppure, a modo  suo, un vero amico perché magari, vai a sapere, il Ministro Brunetta potrebbe essere portatore sano di un’idea, di un progetto di Servizio Pubblico, di Rai che noi non conosciamo. Peraltro, è in buona compagnia della sua collega Ministra Gelmini: https://www.ilgiornale.it/news/canone-soltanto-chi-fa-vero-servizio-pubblico.html . Sarebbe interessante saperne di più e scoprire se, nel frattempo, magari hanno cambiato qualche idea.

Intanto, per rinfrescare la memoria sul tema canone e MISE può essere utile rileggere questo articolo: https://www.repubblica.it/economia/2020/02/07/news/scontro_sul_canone_rai_il_consiglio_di_stato_striglia_lo_sviluppo_economico-247913955/ e vedere questo video: https://www.la7.it/otto-e-mezzo/video/matteo-renzi-pd-abolire-il-canone-rai-e-una-proposta-che-il-pd-sta-valutando-09-01-2018-230933 .

Dunque, come abbiamo detto e sosteniamo con forza da tempo, il perno intorno al quale gireranno le sorti del Servizio Pubblico radiotelevisivo sarà tutto sul tema risorse economiche, segnatamente canone e pubblicità. E non ci sarà molto tempo a disposizione.

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sabato 13 febbraio 2021

I dolori del Giovane Werter, il nuovo Governo Draghi e la Rai

Per il nuovo Governo Draghi iniziano i “dolori del giovane Werter” (romanzo epistolare di Johann Wolfgang Goethe pubblicato nel 1774. Il Werther - come viene anche riduttivamente chiamato - appartiene all'età giovanile di Goethe ed è considerato opera simbolo del movimento dello Sturm und Drang … da qui gli Stürmer und Dränger, che nell’ epoca del neoclassicismo in Germania intorno al 1770,  concentrarono la loro riflessione sul titanismo. Con questo termine s'indica l'eroe che sfida forze superiori e che porta fino in fondo la sua lotta anche quando è cosciente che solo la sconfitta lo attende. – da Wikipedia). Intendiamoci: nessun augurio in nessuna direzione. Per parte nostra ci siamo riservati un posto di semplici ma non disinteressati osservatori. Anche se, in modo riservato, abbiamo aperto un botteghino per scommesse clandestine. 

Tutto torna, prima o poi, pochi hanno inventato qualcosa di realmente nuovo.

Nel Resoconto di Assemblea della Camera dei Deputati del 4 dicembre 2014 si può leggere che sono state presentate diverse mozioni. Tra queste ne ricordiamo una (https://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0345&tipo=documenti_seduta ) dove, in premessa, si legge : “ … il pagamento del canone di abbonamento, istituito con regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, quando ancora non esisteva televisione, è dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni televisive, indipendentemente dai programmi ricevuti, a seguito di sentenze della Corte costituzionale (11 maggio 1988, n. 535, e 17-26 giugno 2002, n. 284) che ha riconosciuto la sua natura sostanziale d'imposta per cui la legittimità dell'imposizione è fondata sul presupposto della capacità contributiva e non sulla possibilità dell'utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo al cui finanziamento il canone è destinato;

    il canone Rai, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è ormai un'imposta antiquata e iniqua, che non ha alcun motivo di esistere anche in virtù del maggiore pluralismo indotto dall'ingresso sul mercato di nuovi editori e dall'apporto delle nuove tecnologie (dtt, ddt, dvbh, tv satellitare, adsl, wi-fi, cavo e analogico). Inoltre, è una delle tasse più odiate e per questo più discusse dagli italiani che preferirebbero non guardare la Rai piuttosto che pagare il canone;

    … è soprattutto un'imposta socialmente iniqua in quanto colpisce tutte le fasce di reddito, comprese le più deboli, nonostante il fatto che il comma 132 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2008, come modificato dal decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, preveda, a decorrere dall'anno 2008, per i soggetti di età pari o superiore a 75 anni e con un reddito proprio e del coniuge non superiore complessivamente a euro 516,46 per tredici mensilità, senza conviventi, l'abolizione del pagamento del canone Rai esclusivamente per l'apparecchio televisivo ubicato nel luogo di residenza”. Chi c’è tra i firmatari? Indovina indovinello? Un certo Giancarlo Giorgetti, forse l’attuale ministro dello Sviluppo economico che tanta parte e competenze ha e dovrà avere nei confronti della Rai oppure un suo omonimo parlamentare? Allora, la domandina è sempre molto semplice: o il nuovo ministro dichiara che si è trattato di un “errore di gioventù” come può capitare a tutti, oppure si è distratto un momento ed ha firmato “a sua insaputa”. Oppure: ne è ancora convinto e sarebbe interessante sapere come intende procedere ora che ha una forte voce in capitolo. O meglio ancora più interessante sarà conoscere cosa ne pensa a questo proposito il capo del Governo al quale partecipa, Mario Draghi. Punto, a capo.

Il nuovo Governo e la Rai. Abbiamo un modesto suggerimento da proporre al nuovo ministro (visto che ha competenze, appunto, sul Contratto di Servizio), in grado di consentire modesti risparmi in ordine di qualche milione di euro: rivedere la norma dello stesso Contratto di Servizio tra MISE e Rai che impone all’Azienda la realizzazione di un canale istituzionale. Grazie, abbiamo già dato: non ce n’è più bisogno. Esiste già ed è pressoché gratis: La7 con gli speciali/maratone di Enrico Mentana. Qualcuno può mettere in dubbio che si tratta di un “Servizio al pubblico”? Qualcuno può mettere in dubbio che riscuote un consenso rilevante (nel giorni scorsi ha sfiorato spesso il 10% di share)? Qualcuno può sostenere che esiste già qualcosa del genere (una sola rete o canale, che non sono la stessa cosa ma ci si potrebbe lavorare) realizzato da Rai come il Contratto dettagliatamente ed esplicitamente dispone? Forse ci sbagliamo ma, per quanto finora ci risulta il Canale istituzionale Rai non c’è e, se a Viale Mazzini non si sbrigano, potrebbe pure non esserci mai più se è vero, come abbiamo saputo, che da tempo tra Camera e Senato stanno valutando l’opportunità di realizzare loro, in proprio, un canale di questo genere. Si tratta di una progetto semplice: tu vai su un determinato canale del digitale terrestre (magari fosse pure un indirizzo Web) e 24 ore su 24 trovi tutto ciò che è utile sapere su politica e istituzioni. esattamente ciò che richiedono tanti cittadini che pagano il canone.

Tanto difficile? Forse anche no.

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venerdì 12 febbraio 2021

Il lupo, la Lega e la Rai

 Scusate il ritardo. In campagna nevica e i giornali arrivano più tardi. 

Anche i gatti osservano e aspettano.


Cominciamo da un dettaglio: un giornalista si rivolge a Draghi e gli dice “in bocca al lupo” e lui risponde ”crepi il lupo”. No, gentile Presidente, cominciamo male, partiamo con il verso sbagliato almeno in questa piccola forma che poi, si sa, è anche sostanza. Ormai tutti sanno benissimo che il lupo non solo non deve morire ma, anzi, tappeti d'oro dove poggia le zampe. Anche da un punto di vista simbolico la figura del lupo è simbolo di forza, astuzia, lavoro di gruppo e altro ancora. Perché augurargli di morire?

Bene, tanto premesso, proponiamo qualche riflessione a botta calda e ci limitiamo a quanto di nostra competenza: il futuro del Servizio Pubblico e della Rai (che potrebbero anche non coincidere del tutto).

La prima e immediata osservazione giocoforza viene dalla composizione del Governo: uno dei due ministeri che maggiormente vi insiste è quello dello Sviluppo Economico (MISE) prima con Patuanelli (M5S) e ora Giorgetti (Lega). Se volessimo rimanere nelle metafore animali sembra come aver gettato una faina nel recinto dei conigli. È nota infatti l'ostilità della Lega verso la Rai e, segnatamente, verso il canone che vorrebbero abolire. Tanto per rinfrescare la memoria:

https://www.adnkronos.com/salvini-non-pago-canone-rai-col-bollettino-faccio-la-differenziata_5MTfwXRxMZebszB1OdRwsT

Il Mise, tanto per chiarire dettagliatamente, è la controparte che firma il Contratto di Servizio, cioè, insieme alla Concessione e poi alla Convenzione, la “Magna Charta” dei compiti che Rai deve svolgere. Se il Mise vuole, e in parte lo ha dimostrato anche recentemente, mette in ginocchio non solo i conti di Viale Mazzini ma tutta la baracca. Un tema su tutti molto caro a questo Blog: la transizione al DVB-T2. Speriamo di essere stati chiari e convincenti.

Ma, purtroppo, come abbiamo scritto tante volte, i nemici della Rai sono sparpagliati bene in molte direzioni e, in particolare, sul tema canone, da molto tempo è stata condotta una campagna contro la sua natura, il suo importo e la sua destinazione. Ancora, tanto per rinfrescare le idee e spiluccare qua e là nell'infinita letteratura, può essere utile rileggere:

https://www.mise.gov.it/index.php/it/198-notizie-stampa/2033485-giacomelli-gravi-le-parole-di-fico-se-per-m5s-rai-pubblica-che-la-deve-finanziare .

Detto questo, veniamo al dunque e affrontiamo la sostanza. Si aprono due possibilità: o è Draghi che detta in prima persona la linea al Mise, a Giorgetti, che sarà chiamato semplicemente a svolgere il suo programma e si tratterà di capire e sapere esattamente quali saranno le sue intenzioni verso gli impegni che si dovranno assumere sulla Rai, a partire da ora sui due grandi temi: le risorse economiche e il rinnovo del vertice. Oppure sarà il Mise, cioè Giorgetti, cioè la Lega, a dettare l'agenda Rai indipendentemente da come Draghi la possa volere. L'azionista di maggioranza del Servizio Pubblico, il Ministero Economia e Finanza, in mano al “tecnico” Daniele Franco, di stretta osservanza draghiana, non farà altro che seguire quanto il Capo del Governo vorrà indicare. In soldoni, come ci riferiscono da Viale Mazzini: “... per dritto o per rovescio … saranno dolori”. Questi saranno ancora più aggravati dal fatto che in questo Governo siedono esponenti di quel “partito”, Mediaset, che notoriamente, storicamente, culturalmente, vede la Rai come il fumo agli occhi. Da non dimenticare che giace in attesa di dibattito una proposta di Legge del deputato Mulè (FI) finalizzata all'abolizione della pubblicità dalle reti Rai. 

Intendiamoci, come al solito, si tratta di capire e di sapere cosa si intende fare della Rai nel suo prossimo futuro, a quali compiti dovrà rispondere, quale dovrà essere la sua missione. E qui torniamo al punto essenziale.

In queste settimane, in questi giorni, si è dibattuto (e anche ieri la senatrice Fedeli è tornata sull'argomento) sulle diverse proposte di revisione della Legge 220 del 2015 e l'introduzione di nuovi criteri di governance dove anche chi vi scrive ha aderito. Siamo ancora convinti di questa necessità di togliere dalle mani del Governo la possibilità di intervenire sulla nomina dei vertici Rai. Ma ci stiamo sempre più convincendo che oggi si pone un tema ad esso prevalente: la necessità di definire, far comprendere agli italiani, quale Rai ci dovrà essere nei prossimi anni e perché gli si debba pagare un canone. Se non si avvia questo dibattito, se non si diffonde nel Paese e si radicalizza il tema della legittimità ad esistere della Rai, la scorciatoia degli altri sistemi e piattaforme sarà sempre più facile e agevole. 

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