Ci prendiamo la briga, sul far della notte che incombe, di scrivere
queste povere e scarne righe fresche fresche, dopo uno scambio rapido di
battute e autorevoli commenti, per ricordare una serata che entrerà negli Annali
della Storia della Rai e del suo Cavallo.
Lo facciamo con un certo rammarico perché la persona
potrebbe meritare ben altra considerazione anche se poi, si sa, siamo tutti umani, è
facile cadere preda delle lusinghe, del “progetto politico” (e del lauto
guadagno) etc etc . Ci riferiamo alla trasmissione su RaiTre di stasera lunedì 29 agosto alle 20.30 condotta da Marco
Damilano. Sintesi: povera e piccola cosa nei contenuti e nel metodo narrativo. Le
immagini sono parte del linguaggio e lo sguardo dice molto di più della parola:
modeste e già viste le prime (il piccolo paese dimenticato) e dimesso il secondo
con gli occhi spesso da un’altra parte rispetto alla telecamera.
Se nel retro pensiero occulto, celato e mai espresso, si
voleva fornire una esatta rappresentazione della Rai in questo preciso momento
storico lui è la sintesi visiva perfetta: il vuoto formato famiglia (anziana). Non
un filo di tensione, non uno sguardo partecipato, non una venatura di
attenzione: solo frasi intermezzate da qualche fotografia che non toccano né il
cuore né la mente. Ma forse non si voleva e si doveva fare di più. In quei pochi
minuti si è posto il tema di chi non andrà a votare: è stata data una buona
risposta.
Comunque, tanto per non tirarla troppo a lungo e pure per il
rispetto che merita La Mossa del Cavallo, sia per il celebrato autore e sia per
il significato nella nobile arte degli Scacchi (chissà se Damilano sa giocare?)
merita la citazione del passaggio forse più
rappresentativo da utilizzare, forse, da chi non ha capito bene di dove si
trova e di cosa significa quel cavallo su Viale Mazzini. Una metafora perfetta
per il personaggio e la rappresentazione scenica.
"C'era sì un òmmo, ma non stava appostato. Era
stinnicchiato in terra a pansa a l'aia, le braccia in croce, una larga macchia di
sangue nella parte alta del petto, proprio sott'a-a gòa. D'istinto si mise a
correre verso l'òmmo, poi si fermò, paralizzato.
Mai prima aveva veduto a uno sparato, mai aveva veduto tanto sangue. Ripigliò a
muoversi squaexi in ponta de pé, e zenogge mòlle. Quando fu a pochi passi sentì
il rantolo, o meglio una specie di fischio rauco interrotto da gorgoglii
raschiosi. Non era una fìmmina, come a un certo momento gli era parso, ma un
parrino, aveva scangiato a sottann-a pe de fàdette.
S'inginocchiò allato al ferito, cavò dalla sacchetta il mandillo,
cercò di tamponare col fazzoletto il pirtuso che quello aveva tanticchia più
sotto del pomo d'Adamo. Il cappello del prasve era rotolato poco distante.
Giovanni era infracidato di sudore, non sapeva che fare. L'aiutò il parrino
stesso, raprendo gli occhi che prima teneva serrati e tarlandolo fisso. Fu
allora che Giovanni lo riconobbe: era il famoso patre Carnazza che uno
dell'Intendenza gli aveva fatto conoscere e del quale gli aveva tanto parlato
il cugino Fefè.
Il parrino, sempre tallendolo, cercò d'articolare
qualcosa.
«Spa... ato... spa... iiii... ato...»
Spaiato? Che veniva a significare? Forse voleva dire "sparato".
Passò una mano sotto la testa del ferito, tenendogliela leggermente
sollevata. Di colpo il parrino gli artigliò la mano dritta, che Giovanni teneva
a mezz'aria non sapendola dove posare, e la tirò verso di sé, costringendolo ad
avvicinare la faccia alla sua. Ma doveva avere fatto uno sforzo enorme perché
richiuse gli occhi esausto. Giovanni pensò che fosse morto, però la stretta del
ferito era ancora forte. Il parrino riaprì gli occhi e tentò ancora di parlare.
«Mo... ro... mo... ro... cu... scinu... Fu... fu... moro...
cuscinu...»
«Vuole un cuscino?» gli spiò Giovanni intordonuto.
«Ffffff... aaaaaa... nnnnnn... cu...lo»
disse il parrino lasciandogli la mano. Chiuse gli occhi, piegò la testa di lato
e morì.
Era mai possibile che un prasve, per quanto farabutto, in
punto di morte lo mandasse a fare in culo? No, non era possibile, chissà cosa
aveva voluto dire, aveva capito male.
«Padre! Padre!» lo chiamò scuotendolo.
L'altro non rispose. O non aveva più sciòu pe parla o non
voleva asgreià parole con uno che non ci capiva una minchia. O era morto? Gli
toccò, inorridito, il polso. Non batteva.
Che stava a fare ancora lì? Si susì, si levò il mantello,
cummigliò il corpo del parrino, corse al cavallo, montò e al galoppo si diresse
a Montelusa”.
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ps: abbiamo fatto il solito sondaggio fatto in casa formato “lettori
Bloggorai”: ve ne daremo conto