Foto di Wilfried Pohnke da Pixabay
Questa mattina poco o nulla da segnalare. Non ci è mai del tutto chiaro se sia un bene o un male. Merita solo un
cenno di attenzione l’analisi di Francesco Verderami sul Corriere: “Lavoro, Rai,
giustizia: l’agenda di Draghi per i dossiere più caldi”. Il presupposto della
sua analisi è che il capo del Governo sia tornato rafforzato dai recenti incontri
internazionali e che quindi sia più robusto e autonomo rispetto ai partiti che
lo sorreggono. Non ne siamo poi tanto convinti e potrebbe non esser sufficiente
la “photo opportunity” con Biden a dare fondamento a questa ipotesi. Esattamente
i tre fronti aperti segnano un primato della politica difficile da eludere.
Lavoro: il possibile sblocco dei licenziamenti potrebbe essere fonte di
tensione sociale e politica che non compete ad un tecnico che non ha problemi
di consenso elettorale. Il fronte Rai, per quanto abbiamo scritto, deve passare
giocoforza le forche caudine della Vigilanza per la nomina del Presidente e li
non ci sono tecnici che contano, sono determinanti gli accordi politici. Hai
voglia a fantasticare il ticket Draghi: lui può mettere bocca sull’AD ma sul
presidente e il resto del Cda saranno i partiti a determinare i giochi. Tant’è
che stanno dettando loro i tempi e se non c’è accordo politico i quattro nomi
non saltano fuori e se non si passa prima dalle aule del Parlamento Draghi può
solo fare il notaio e attendere pazientemente. E, per quanto è dato sapere, non
sembra proprio che tra i partiti tira aria rassicurante. Infine, la giustizia:
è la partita più delicata che interessa la coalizione di Governo. Da non
dimenticare che tra i motivi più forti della caduta di Conte 2 c’era proprio la
riforma della Giustizia, peraltro passaggio fondamentale richiesto da
Bruxelles.
Rivedendo le immagini delle amene passeggiate dei grandi
della terra sulle spiagge della Cornovaglia ci è venuto un dubbio: ma non sarà
che si tratta di una finzione scenica? Forse un’illusione ottica o un pensiero
desiderante? Nel senso che ci si vuole ancora illudere che il baricentro del
mondo sia tutto tra Bruxelles, Tokio e Washington? E se magari domani Putin e Xi
Jinping decidessero di dare vita ad una specie di G2 solo per loro, al quale magari invitare India e Brasile, tano per essere in compagnia e fare numero? Tutto sommato, visti i numeri
che governano in termini di potenza economica, politica e di popolazione, potrebbero
esprimere bene un certo peso sulla scena internazionale e permettersi di
guardare il G7 dall’alto in basso, del genere quattro amici al bar. Forse,
l’Europa non è più il nucleo fondamentale della civiltà contemporanea. Poi, è
successo ieri sera, quando abbiamo visto la partita di calcio Germania Francia
e abbiamo fatto particolare attenzione ai cartelli pubblicitari elettronici sul
bordo del campo: erano circa 12 e, tra questi, se non sbagliamo un solo sponsor
europeo di una nota marca automobilistica tedesca. Tutti gli altri made in USA,
Cina e il solito russo fornitore di gas ad oltre mezza Europa. Come si dice: è
il mercato bellezza … e questo non si svolge più solo sulla piazza del nostro
continente.
Perché viene in mente questo pensiero? Semplice: perché questo ragionamento interessa pure il nostro sistema delle telecomunicazioni e ogni tanto ci corre pure il dubbio che anche la Rai non sia più al centro del Villaggio radiotelevisivo. Ci chiediamo sempre più spesso se la Rai che abbiamo in mente sia ancora quella dei bei tempi andati, del maestro Manzi, della tv di ragazzi, della Nonna del Corsaro nero e del canone pagato con il conto corrente alla Posta. Ora ci accorgiamo sempre più spesso che nel frattempo sono successe molte cose e la stessa Legge che regolamenta tutto il sistema delle TLC è ormai vecchia e stagionata (112 del 2014 e successivi aggiornamenti). Inutile e dannoso girarci intorno: noi siamo ancora convinti che le democrazie occidentali, il nostro Paese, hanno ancora bisogno di un Servizio Pubblico Radiotelevisivo forte, autorevole e credibile. È necessario però rivedere, riscrivere un patto di consenso con il pubblico che non passa solo attraverso i dati di audience.
Per paradossale che
possa apparire, questa rigenerazione può passare anche attraverso una sua “rimodulazione”
dei suoi impegni rispetto alle risorse e agli obiettivi che si pone (dei quali comunque non si parla!!!). Nei giorni
scorsi è circola una indiscrezione secondo la quale Draghi avrebbe in mente un
modello di Rai più snello, con meno canali, concentrata su altri paradigmi e
sistemi produttivi. Chissà, forse ha ragione anche se, ad onor del vero, ha
scopeto l’acqua calda: in parte era tutto già previsto già dal precedente Piano
industriale. E, su questo punto, si parte male prima ancora di cominciare. Il piano
industriale è obbligatorio, lo prevede il Contratto di servizio. Quello vecchio
scade proprio in queste settimane e di uno nuovo non c’è nemmeno l’embrione. Tradotto
in soldoni: se tutto va bene … se ..se… di un tema del genere se ne parlerà a
babbo morto, magari proprio quando si dovrà iniziare a dibattere del prossimo
Contratto di Servizio, la cui scadenza è prevista per il prossimo anno.
... ha da passa' a 'nuttata...
bloggorai@gmail.com
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