Questa mattina mettetevi molto comodi e
comunque vi suggeriamo comunque di leggere il post di ieri sera.
Come abbiamo già scritto: i lettori di questo Blog sono fortunati e avveduti. Con poco impegno riescono ad avere notizie e anticipazioni interessanti. Oggi, in prima pagina del Sole 24 Ore si legge un titolo “Allarme dell’industria Tv: caos mercato, il cambio delle frequenze va rinviato”. Ne abbiamo parlato proprio nei giorni scorsi e abbiamo scritto chiaramente: “Nessuno è in grado di affermare con relativa certezza che la data del primo settembre si potrà rispettare nei termini previsti o se invece, come alcuni paventano, si dovesse giocoforza andare ad un rinvio che potrebbe anche consistere in una rimodulazione dell’intero processo a data determinata: il 2022”.
Per leggere adeguatamente questa notizia è necessario contestualizzarla in un quadro più ampio che è, anzitutto (come al solito) politico. Siamo in pieno svolgimento del PNNR dove l’efficienza e la razionalizzazione dei complessi sistemi tecnologici nazionali è, o dovrebbe essere, un punto di forza qualificante anche agli occhi dell’Europa. Come vi abbiamo riferito, la sottosegretaria Ascani proprio recentemente aveva escluso la possibilità di un rinvio. Come si può giustificare ora questa richiesta senza compromettere, o almeno indebolire, la credibilità del nostro operato? E, in primo luogo, come e cosa si “comunica” ai diretti interessati, i telespettatori, coloro che dovrebbero acquistare un nuovo apparato Tv? Chi se ne potrebbe avvantaggiare e chi si potrebbe opporre? Le soluzioni tecnologiche ci sono, si trovano, sono quelle “politiche” che annaspano. Del resto, è indubbiamente vero che il ritardo sul ricambio del parco televisori mette a serio rischio la tenuta del sistema di diffusione DVB a favore della connessione in rete. Se si dovesse mantenere la scadenza del 1° settembre, che fine faranno tutti quegli utenti che si troveranno lo schermo in nero? Si tratta di un’architettura che si regge su pilastri collegati tra loro e muoverne uno mette in pericolo tutti gli altri. Ora, l’osservazione principale riguarda i tempi, sia lato MISE del quale abbiamo scritto che è in ritardo notevole su molti fronti, sia lato broadcaster: è mai possibile che la lettera di cui scrive il Sole sia stata inviata proprio nei giorni scorsi, quando mancano meno di 100 giorni all’appuntamento e proprio dopo che il Governo ha ribadito il suo impegno a mantenere la road map? Delle due l’una: o il MISE non controlla la situazione o i diversi soggetti non dialogano tra loro. E comunque, che la situazione fosse allarmante, già questo piccolo Blog lo scrive chiaramente da tempo e nessuno, nessuno, ha fatto nulla di significativo per porvi rimedio in tempo utile. Forse, si poteva e si doveva chiedere questo rinvio non il 3 giugno scorso, ma il 3 gennaio scorso e, ancora di più, si doveva comunicare subito e in modo corretto agli utenti lo scenario che si prospettava (per la Rai un obbligo particolare!). Perché già da allora erano noti i dati (seppure controversi) della FUB che descrivevano bene la situazione sulla rottamazione dei vecchi tv. Cosa è successo nel frattempo? Semplicemente che c’è stato un cambio di Governo e le priorità si sono mescolate ed è ora difficile ricomporle. Vedremo. L’argomento è di scottante attualità.
Bene, veniamo ad un altro problema anch’esso come al solito politico: la riforma della Rai. Ieri abbiamo avuto il testo della proposta depositata in Senato dalla Lega. Si completa in questo modo il panorama di tutte le proposte formulate dai partiti per superare o modificare almeno la precedente Legge 220 del 2015. Nota bene: si tratta di disegni di legge che mirano anzitutto alla riforma della governance Rai e relativamente poco all’intero sistema delle TLC dove Rai è pienamente inserita. Anche in questo caso, ribadiamo, si immagina di mettere mano ad una sola parte del complesso ingranaggio delle TLC come se tutto il resto viaggiasse per conto proprio. Due considerazioni: la proposta Lega allunga i tempi del dibattito parlamentare, ora fermo in Commissione Lavori Pubblici del Senato che ci induce a supporre che questa riforma, quale che possa essere la sua matrice, avrà serie difficoltà ad essere completata entro al fine di questa legislatura. La seconda riguarda appunto il contesto più generale: per intenderci, la proposta Lega attacca frontalmente il tema canone e relative destinazioni d’uso. Evidente che questo tema si riconduce al suo correlato tema pubblicità. Come non pensare che il SIC è ancora fermo ad un sistema ormai largamente superato dal mercato pubblicitario e da nuove modalità di produzione e diffusione di contenuti audiovisivi?
Domanda: come si potranno accordare i partiti che siedono nello stesso Governo con proposte tanto dissimili tra loro?
Bene, veniamo alla proposta Lega appena depositata (speriamo di fare utile a qualche collega Rai che forse ancora non la possiede) e vediamo alcuni dei suoi punti più rilevanti (nb: nessuno ne ha fatto cenno!!!). Anzitutto la premessa: “E’ necessario intervenire con delle modifiche al vigente Testo Unico sui servizi televisivi allontanando la Rai dalla mera logica di mercato secondo cui l’audience è formata da consumatori più che da cittadini utenti. L'articolo 1 ha quindi l'ambizione di definire univocamente che cosa si intende per servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, individuando i generi di programmi di interesse pubblico, che costituiscono l'oggetto del servizio pubblico”. Gli articoli successivi si soffermano sulla definizione dei compiti del Servizio ubblico. L’art. 4 è il più “delicato” e porta dritto al cuore del problema sulla sopravvivenza della Rai: “…Il pagamento del canone risulta oggi piuttosto anacronistico, dovuto per la semplice detenzione di apparecchi atti o adattabili a ricevere un segnale. In una visione a lungo termine, deve essere prevista una progressiva diminuzione dell’importo dovuto, anche in previsione dell’avanzamento della tecnologia e dell’inevitabile passaggio di canali sulla piattaforma web. Inoltre, a proposito del canone, viene previsto che laddove sussista ancora oggi l’impossibilità di accesso alla rete o impossibilità di fruizione del servizio da parte degli utenti per motivi estranei alla propria volontà, il pagamento del canone di abbonamento non è dovuto”. Tutto molto chiaro, chiarissimo. Lart.. 5 si riferisce alla govenance con la proposta di estensione a 12 anni della Concessione e la durat a 5 anni del Cda. Interessante l’ultimo articolo che “…prevede, in un’ottica di contenimento dei costi e di garanzia sulle responsabilità editoriali, che non si possano esternalizzare più del 30 per cento delle produzioni, organizzazioni e realizzazioni di trasmissioni”.
Andiamo avanti, o meglio indietro. Ieri sera abbiamo pubblicato un post in edizione “straordinaria” riferita al 40o anniversario della morte di Alfredino. Il tema è la “televisione del dolore” e di come la Rai lo affronta e lo propone. Proprio ieri sera, mentre La7 mandava in onda uno speciale sull’argomento, la trasmissione di punta in questo settore del Servizio Pubblico, Chi l’ha visto? Seguiva la drammatica vicenda della ragazza pakistana scomparsa. Rimane il fatto che di questo tema ci si limita ad affermare, come da stamattina si sente ripetere nei vari notiziari Rai che la diretta da Vermicino ha cambiato la storia delle “dirette” sulle grandi tragedie ma nessuno ci spiega come, in che modo e con quali conseguenze questo cambiamento è avvenuto.
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