Oggi è sabato e il tempo non butta bene. Sulla stampa poco da osservare e allora ne approfittiamo, con vostra buona indulgenza, per proporvi il Ragionamento n. 2 che, come al solito, è difficile contenere in poche righe. Del resto, per quanto abbiamo riscontrato, ieri il numero dei contatti diretti al Blog è stato più elevato del solito. Buon segno, grazie!!!
Alcuni anni addietro (2018 in coincidenza con questo nuovo Cda), chi vi scrive ha contribuito a promuovere intorno ad un tavolo un gruppo di persone di diversa estrazione professionale, storia e competenze, con l’obiettivo di dibattere su un solo tema: il futuro del Servizio Pubblico radiotelevisivo in Italia. Il nome di questo gruppo è Visioni2030 e si è proposto esattamente di provare a dare uno sguardo verso il futuro, di avere una visione, di immaginare uno scenario. Il tentativo non è andato a buon fine, almeno non completamente. Sono intervenuti molti fattori che hanno impedito di andare avanti: il primo tra tutti è stato un eccesso di protagonismo di alcuni che vi hanno partecipato. Spesso è successo che si voleva avere una platea, cercare una vetrina, piuttosto che ragionare e dibattere. Poi, lo scoglio centrale: la difficoltà a focalizzare un punto di prospettiva, un percorso, un programma di lavoro. A farla breve: un tentativo necessario ma che ha svelato i problemi più generali che si emergono quando si tratta di fare passi avanti. Di positivo è rimasto il fatto che, negli ultimi e forse tutt’ora, è rimasta la sola sede aperta di confronto, dibattito e riflessione.
In quella sede, ad un certo punto, venne proiettata una slide con la rappresentazione simbolica delle grandi aree sulle quali costruire un modello di servizio pubblico radiotelevisivo per i prossimi anni: risorse, tecnologie e contenuti. Sono tre pilastri, tre colonne, che reggono contestualmente un architrave. Ogni elemento è strettamente connesso con l’altro: ne togli uno crolla tutto. Come si può immaginare un piano di investimenti tecnologici se non ci sono certezze sulle risorse e, a sua volta, come si possono produrre contenuti senza investimenti e senza un adeguato sistema tecnologico di diffusione? Ma queste tre colonne reggono l’architrave fondamentale che si chiama, appunto, MISSIONE. È la sola chiave che giustifica e rende accettabile, sostenibile e condivisibile rispetto ai cittadini lo sforzo indispensabile per sostenere tutta l’architettura di questo complesso sistema. Appare un ragionamento molto semplice, eppure spesso incontra ostacoli, obiezioni e rilievi difficilmente comprensibili.
Questo ragionamento (il numero 2 tra quelli che vi abbiamo proposto) si colloca bene nel dibattito di questi giorni. Tutto sembra impantanato sulla scelta dei nomi ma da nessuna parte emerge una indicazione su “come” questi nomi possano e debbano essere individuati e in relazione a quali obiettivi che gli si deve porre una volta insediati. Ne ricordiamo alcuni di assoluto rilievo strategico: gestire il refarming delle frequenze, affrontare il tema Banda larga, rinnovare il Piano industriale attualmente scaduto, avviare il dibattito per il rinnovo del Contratto di Servizio e impostare quello sul rinnovo della Concessione. A margine, rivedere tutto l’impianto dell’offerta editoriale per quanto riguarda anzitutto l’informazione e a seguire l’intrattenimento. Su questi temi i candidati dovrebbero essere “verificati” per la loro conoscenza e competenza. Non è noto, infatti, uno straccio di criterio se non quello generico di “brava persona” che a priori non si nega a nessuno. Se poi invece si volesse andare oltre, verificare competenze, esperienze e conoscenze, sarebbe necessario un confronto pubblico, trasparente, tra le diverse candidature che nessuno, governo per primo e partiti a seguire, ha voglia di fare. Da qualche parte si legge pure che il Capo del Governo, per scegliere i candidati, si sia affidato ad una o più società di “cacciatori di teste” e questa scelta viene spacciata come “virtuosa”. In cosa consisterebbe questa “virtù” non è affatto chiaro: le competenti strutture ministeriali (MEF e MISE) dovrebbero conoscere benissimo tutti i papabili, non foss’altro perché con questi stessi ci lavorano e/o collaborano da tempo.
Vi confessiamo che ci troviamo in leggero imbarazzo e difficoltà: anche oggi su qualche giornale si legge il solito pistolotto moraleggiante che, nel migliore dei casi, si sofferma su “fuori i partiti dalla Rai” che, ovviamente, condividiamo in assoluto. Repubblica propone un’intervista a Pierluigi Celli che, si legge, si dimise "... perché non sopportavo più le pressioni della politica”… sic !!! Per pura curiosità, andate a ricercare quali possono essere state le vere cause delle sue dimissioni. Sulle sue colpe e i suoi peccati, si stende un velo pietoso. Ne citiamo uno solo che potrebbe bastare e avanzare: chi fu il teorico delle “esternalizzazioni” ??? Ci sarà pure stato un momento in cui è si è verificato un punto di rottura tra un Azienda di Servizio Pubblico e una di “mercato”?
Altro ritornello è sulla riforma della Rai (anche questa proposta pienamente condivisa) richiesta ad un Parlamento che, seppure volesse, non è in grado di fare in questa legislatura. O meglio, potrebbe se solo si limitasse alle modifica di quanto disposto dalla Legge 220 del 2015, cioè alla sola governance Rai ma è ragionevolmente impensabile che ci si possa limitare solo a questo senza tenere in debito conto tutto il resto del sistema radiotelevisivo e delle telecomunicazioni in cui la Rai è inserita.
Meritevole di attenzione quanto abbiamo letto ieri: il comunicato diffuso dall’AdRai (Associazione Dirigenti Rai) dove si vorrebbe sostenere una candidatura interna. Benvenuti a bordo! Meglio tardi che mai. Non entriamo nel merito di quanto scritto per gli argomenti già noti e ci limitiamo ad una sola osservazione di forma. Questo testo viene diffuso ieri, 4 giugno, alla vigilia di quella che sarebbe dovuta essere la data per la prima Assemblea degli azionisti, cioè a giochi quasi fatti. È successo poi che l’Assemblea sia stata rinviata ma il tema era aperto da mesi e da tempo si sarebbe dovuta e potuta fare una “battaglia” per la proposizione di un candidato interno. Si poteva far convergere energie su un paio di nomi per poi poter dire: “Questo è quanto di meglio l’Azienda può esprimere e tu, caro Governo, se trovi qualcuno più capace, autonomo e immediatamente operativo ben venga… chapeau!”. Perché non è avvenuto prima? Inoltre, si cita spesso il Contratto di Servizio: forse a qualcuno è sfuggito il fatto che questo stesso contratto sia stato per molte parti disatteso e non sempre la responsabilità è addebitabile alla politica. Un esempio: la “rimodulazione delle testate giornalistiche” oppure il canale in lingua inglese. Tutte anime belle, tutti innocenti, tutti a scuola dalle Orsoline?
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