lunedì 5 aprile 2021

No news, good news? La strategia del silenzio, Mattarella, i partiti e la Rai

Oggi, pasquetta, niente gita fuori o dentro porta, al massimo due passi intorno al palazzo per una passeggiata con il gatto, il cane o il canarino. Non ci sono giornali e pure i siti, i social, tacciono. Solo qualche meme, fumetto o vignetta tramite What’s Up. Poca roba.

No news …good news! Oggi non ci sono giornali, per fortuna o meno che si possa ritenere. Ci sono due scuole di pensiero in proposito: la prima sostiene che in alcune circostanze, per certi casi, meno si parla meglio è e quindi una giornata di pausa potrebbe anche essere "salutare". La seconda invece, al contrario, sostiene che è necessario aprire, discutere, far circolare sempre e comunque opinioni e commenti, sollevare dibattito anche se aspro. In altre parole, lo scontro è tra un imbarazzante silenzio e un terribile rumore. La scuola del silenzio, nelle attività di comunicazione, porta notevoli vantaggi: riduce la visibilità, abbassa il trambusto, allunga i tempi. Si tratta di tre elementi fondamentali, ad esempio, nelle attività diplomatiche quando è necessario o preferibile lavorare in un contesto più “moderato” e silenzioso (si dice, non a caso, “felpato”) poco incline alla luce dei riflettori che possono indurre facilmente in errore. Oppure nelle attività finanziarie, dove la riservatezza, la zona d’ombra, è quasi rigorosamente necessaria per concludere operazioni che, altrimenti, corrono seri rischi di non andare in porto. Viceversa, c’è tutto un mondo che necessità di luce, di clamore, di tempi rapidi ed è, ad esempio, quello dello spettacolo dove un soggetto esiste solo e per quanto viene “illuminato” in un determinato arco di tempo. Un corollario di questo contesto è “bene o male…purchè se ne parli” e subito. Con questi stessi criteri si muovono e agiscono soggetti politici ed economici: alcuni fanno del riserbo e della discrezione, una cifra caratteristica della loro modalità di comunicazione. Altri invece, al contrario, agiscono esattamente all’opposto e non perdono mai occasione per girare lo switch luce/audio. 

Ora, difficile argomentare in termini di ciò che sia preferibile in assoluto, di quale possa essere la migliore strategia di comunicazione in un certo tempo storico. Ognuno dei due metodi può essere preferibile e vantaggioso in un determinato momento mentre può risultare dannoso e controproducente in altre circostanze. Allora il problema si pone nella necessità di sapere “leggere” e interpretare correttamente quali siano le determinate circostanze e dunque utilizzare gli strumenti che queste impongono. In altre parole, può essere il contesto nel quale si opera a imporre alcune scelte piuttosto che gli strumenti che si vorrebbero utilizzare “a priori” rispetto all’ambiente in cui si è chiamati ad agire. Una dialettica che si potrebbe configurare in termini di pragmatici, razionalisti, tecnici, contro idealisti, astrattisti e teorici.

Questa sommaria riflessione ci porta dritti nel cuore di questi giorni. Siamo passati, nel giro di poche settimane, da un modello di comunicazione istituzionale fragorosa, convulsa e frammentata ad uno che cerca di essere più modulata, contenuta, moderata. Attenzione, non ci riferiamo solo al Capo del Governo Draghi, ma a tutto il sistema della “politica”. Lo stesso passaggio di consegna tra il governo precedente e quello attuale non ha rappresentato un punto di svolta chiaramente percepito: la sensazione pubblica di difficoltà sanitaria, sociale ed economica dovuta alla pandemia c’era prima e permane tutt’ora. La sola differenza è che da poche settimane è iniziata la campagna di vaccinazione che però non è un fenomeno incidente sul “nuovo” ma immanente su tutto il momento che stiamo attraversando. E' cambiato il "modello" di comunicazione ma non il contesto. 

La pandemia, inoltre, sta dettando anche i tempi della politica. Ieri abbiamo citato un articolo di Luigi Bisignani sul Il Tempo, dove si riportava un ragionamento sulle prossime scadenze istituzionali. Anzitutto siamo in pieno tempo di nomine nelle grandi società controllate e partecipate dalla Stato (compresa la Rai) che si concluderanno, grosso modo e salvo proroghe) all’inizio dell’estate, proprio quando inizierà il semestre bianco di Mattarella e, subito dopo, in autunno, alle consultazioni amministrative per le grandi città. Se i partiti hanno in mente grandi manovre di rimescolamento delle carte, questo è il momento per agire, dopo di ché si andrà direttamente a scadenza di fine legislatura, cioè il 2023, due anni ancora. Se non succede nulla prima ci sono solo due possibilità: o questo Parlamento eleggerà il nuovo capo dello stato oppure Mattarella si convincerà che è necessario, opportuno, che rimanga in proroga al Quirinale fintanto che siano insediate le nuove Camere con tutta la dignità che l’esito referendario gli ha assegnato nella forma e nella sostanza. È beninteso il “se non succede nulla” che significa in italiano corrente che Draghi deve resistere alle intemperanze della politica ancora per qualche mese e poi…come si dice a Roma, beato chi c’ha ‘n occhio!!! 

Tutto questo ragionamento dove ci sta portando? Ovvio: a Viale Mazzini 14 dove è iniziata la madre di tutte le battaglie: il rinnovo dei suoi vertici. Evidente che quello che avverrà in Rai sarà frutto del combinato disposto delle contingenze che la politica sarà in grado di determinare e dai nuovi equilibri che si stanno definendo tra i partiti. Tanto per essere chiari: l’attuale Cda è frutto dei bilanciamenti del governo Conte1, cioè accordo tra M5S e Lega, tradotti poi in Salini ai primi e Foa ai secondi. Oggi è evidente che sarà improponibile pensare allo stesso schema e dunque come si potrà spartire in due parti il “malloppo”? Facciamo fatica a pensare che i partiti possano fare un passo indietro e rinunciare alla loro quota parte. Però, appunto, nelle determinate circostanze, è verosimile che siano indotti ad agire in questo modo e costretti ad avallare un “governo tecnico” anche a Viale Mazzini. Posto che riteniamo poco sostenibile che ci possa essere una “tecnica pura” indipendente dalla politica, poniamo di ammettere che sia percorribile questa strada. Allora, torniamo ad un Post di alcuni giorni addietro quando abbiamo iniziato a scrivere su criteri che si dovrebbero adottare per una tale scelta.

Con l’obiettivo di agevolare le riflessioni e ridurre la confusione sui tanti nomi che girano e che gireranno ancora nei prossimi giorni, vi proponiamo un sommario ed essenziale vademecum da utilizzare ogni qual volta che si sente girare qualche candidato/a interno o esterno che sia e ogni volta che vi propongono un nome, dategli un punteggio e volta per volta confrontate e tirate le somme:

1) competenza, esperienza e conoscenza;

2) autonomia dalla politica, dalle sue amicizie, frequentazioni e/o dalle parentele;

3) immediata operatività.

Per concludere sul tema Rai: il ragionamento di cui sopra sulla strategia di comunicazione adottata in questi tre anni dalla più grande Azienda di comunicazione del Paese è un tema molto importante che merita ampio spazio e lo affronteremo dettagliatamente nei prossimi giorni proprio a partire da come non ha comunicato la Rai in questi ultimi anni. Ci sarà molto da dire sulla “policy del silenzio” che sembra sia stata adottata nelle strategie di comunicazione di Viale Mazzini.

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