ATTENZIONE: questo post non sostituisce il precedente pubblicato questa mattina con il titolo "
"La Rai e la Fortezza Bastiani"
Cap. 3 – Campo Marzio
Questa storia presenta due scene dove si svolge il crimine. La prima è il luogo dove viene trovato il corpo di Elisabetta, in Via del Prefetti 46. La seconda è il Rione Campo Marzio. Dove è avvenuto il delitto ci sono molti indizi utili. Molti altri si ritrovano bene nel secondo luogo, dove si potrebbe nascondere una possibile chiave di lettura su quale possa essere stato il movente dell’omicidio.
Betty viene ritrovata alcuni giorno dopo il giorno in cui è stata assassinata. Il medico legale dichiarerà che la morte risale ad alcuni giorni prima, potrebbe essere stato il 23 giugno. Combaciano siano le testimonianze di quando è stata vista viva l’ultima volta, sia le condizioni del corpo. Racconta Sergio Valentini, cronista del Corriere: “Il 23 giugno ha appuntamento con lei Carlo De Nichilo, un tossicodipendente. Gli aprirà il portone un tale che, così gli ha detto per telefono Elisabetta, De Nichilo riconoscerà da un paio di calzoncini corti da soldato. De Nichilo trova il portone aperto, sale e bussa alla porta: nessuno risponde. Scende al bar dirimpetto, non ci trova la ragazza e torna indietro. Sul portone incontra un giovane biondo che indossa calzoncini da soldato: gli chiede di Elisabetta e quello risponde che non sa chi sia. Di nuovo De Nichilo sale al quarto piano e bussa alla porta e nessuno risponde. Elisabetta è morta da qualche minuto, tra le 14 e le 14.15 colpita da sette coltellate, tutte vibrate sul seno”. Di Carlo De Nichilo non se ne sentirà più parlare, viene ascoltato solo come testimone informato dei fatti e scompare poi dalla scena. Del “biondino” pure rimane un mistero, verrà ricercato nel giro dei conoscenti di Elisabetta me agli atti non rimane nulla che possa ricondurlo ad un ruolo nell’omicidio. Di quest’uomo ne parla L’Unità del 5 luglio, con un articolo bene informato e firmato da Luciano Fontana, quando le indagini sembrano indirizzate verso una sola direzione. Questo il titolo: “Identificato l’assassino? Scomparso un amico della modella”. Ma, rileggendo il pezzo, una frase non torna: “…il magistrato ha interrogato due piccoli spacciatori, amici di Elisabetta, che hanno parlato del misterioso giovane biondo. Questi testimoni hanno confermato che era proprio sua la scatola di Tavor (un forte tranquillante usato dai tossicodipendenti) trovato nell’appartamento della ragazza. Dunque, i testimoni conoscevano questo misterioso personaggio, a tal punto da confermare la sua presenza intorno a Elisabetta. È probabile che fosse conosciuto anche dalle persone fermate nei giorni precedenti, definiti “i ragazzi che frequentavano quasi quotidianamente la casa della modella. Si tratta di un agente immobiliare, di una giovane rampolla della nobiltà romana decaduta, di due piccoli spacciatori e della moglie di un giornalista”. Sembra quasi una perfetta sintesi fotografica di una parte del cosiddetto “generone” romano. Questa pagina dell’Unità merita di essere conservata perché contiene un’intervista importante al professor Francesco Di Fazio, componente del pool si esperti incaricati di tracciare il profilo criminale del mostro di Firenze. Ne riparleremo più avanti.
Oltre che straziata dalle coltellate sul petto e dallo strangolamento con la catenina di bigiotteria che indossava ad Elisabetta viene usata una ulteriore violenza: una banconota da 50 mila lire gettata sul suo corpo inerme, a delitto compiuto. Sarà questo un indizio molto utilizzato per instradare le prime indagini. Il Messaggero, con il cronista che segue il caso, Lino Canu, segue la pista che lascia intravvedere la questura: un delitto da ritrovare tra il giro dei consumatori e spacciatori di droga dove Elisabetta era entrata da tempo.
Faceva caldo quei giorni a Roma, molto caldo, e sarà proprio questo fattore a fare in modo che venisse scoperto il corpo di Betty. Sarà infatti il forte fetore che si avvertiva tutto intorno a far scattare l’allarme e richiedere l’intervento prima dei vigili del fuoco e poi della polizia. Viene sfondata la porta e la scena che si presenta è impressionante. Il piccolo appartamento è completamente in subbuglio, segno evidente di una colluttazione tra la vittima e il suo assassino. Si ritrovano oggetti usati per consumare sostanze stupefacenti e gli inquirenti sosterranno poi che è verosimile che vittima e carnefice possano averne fatto uso insieme. Non ci sono segni di scasso sulla porta e tutto lascia pensare che i due si conoscessero. L’assassino però commette un grave errore: forse preso dalla tensione del momento , dimentica di guardarsi intorno per verificare di non lasciare tracce importanti e, infatti, non si accorge che Elisabetta aveva un’agenda dove appuntava regolarmente fatti, nomi e numeri di telefono delle persone che ha conosciuto. Di questa agenda si saprà poi un particolare curioso: alcune frasi erano scritte al contrario, ed era necessario uno specchio per leggerle. È molto probabile che tra quei nomi ci fosse anche il nome dell’assassino e tant’è che gli inquirenti ne faranno buon uso per ricostruire il giro delle relazioni che Elisabetta intratteneva. Sarà questa la fonte dalla quale si attingeranno i sospetti che cominciano ad emergere. Presto ci saranno i primi fermi. C’è poi un altro possibile “errore”, complesso da decifrare. Viene ritrovata l’arma del delitto, un coltello a serramanico, in un cassetto, ripulito da impronte digitali. L’assassino avrebbe potuto portarlo via e invece lo ripulisce e lo mette da una parte.
Quei palazzi, quelle strade del centro di Roma sono un luogo ricco di simboli e significati Ogni rione di Roma ha la sua piazza e Campo Marzio ha quelle più famose: Piazza di Spagna e Piazza del Popolo, Piazza Augusto Imperatore. Troppo belle, troppo turistiche per essere i luoghi della vita quotidiana per i suoi abitanti. Ecco allora che si animano spazi più concentrati, quasi intimi. Due sono i punti di riferimento per gli abitanti del Rione: il mercatino di Monte d’Oro e Piazza della Torretta. Intorno a quest’ultima sopravvivevano gli ultimi artigiani del rione: il fabbro di Via della lupa, il falegname di vicolo S, Biagio, i due corniciai all’angolo di Via della Torretta. Sull’omonima piazza, proprio di fronte al portone del palazzo (moderno , orribile) dove si trova l’Ordine dei Giornalisti, c’era una piccola bottega di latteria. La gestiva una sogna anziane, gentile, una romana di altre generazioni. Non aveva gran che da vendere oltre il latte: biscotti, qualche latticino e poco più. Di fatto, era diventato un punto di riferimento, un logo dove comunque andare, non foss’altro per incontrare qualcuno e scambiare due battute. Difficile dire che tutti si conoscevano però le facce che la frequentavano erano più o meno tutte le stesse.
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