Il racconto della giornata inizia con un articolo pubblicato
da La Stampa, a firma di Ilario Lombardo, con il titolo: “Nuova Pax televisiva:
spot a Mediaset e La/, più canone alla Rai”. Incredibile ma vero: si tratta di
una ricostruzione, di notizie certe e confermate non ce ne sono, ma la dice
lunghissima sul tema risorse economiche del sistema delle TLC, sul futuro della
Rai e del Servizio Pubblico. Ovviamente, il racconto prosegue con l’uscita di
Andreatta dalla Rai.
Allora, leggiamo sul La Stampa: “In un capolavoro di equilibrismi,
Giuseppe Conte potrebbe mettere d’accordo la Rai e i suoi diretti avversari sul
mercato. Il Governo lascerebbe a Viale Mazzini una porzione maggiore del canone
tv, nell’ordine di 150-200 milioni di euro, in cambio della rinuncia di una
quota della pubblicità … gli spettatori più interessati a questa vicenda sono Silvio Berlusconi e Urbano Cairo …” etc etc etc.
Allora, con ordine: anno 2014, governa Renzi, si sottraggono
in modo costituzionalmente dubbio 150 milioni di euro dalla casse Rai e si
obbliga (???) a vendere una parte di Rai Way per tenere i conti in equilibrio; poco
tempo dopo, il canone viene prelevato in bolletta e una parte dello stesso
viene dirottato per altri scopi (fondo per l’editoria); dal primo governo
Lega-5S al secondo PD-5S, inizia un coro avverso al canone Rai che vede tutt’ora
cantare autorevoli esponenti (Patuanelli e Boccia, accompagnati direttamente e
indirettamente da Giacomelli e Anzaldi) con il ritornello “abbasso il canone,
ingiusto e ingiustificato”. Inizia poi l’attacco frontale al tema pubblicità,
accusando la Rai di fare dumping sul mercato che proprio nei giorni scorsi, in
coincidenza del crollo dovuto al Coronavirus, ha messo in seria difficoltà tutti
i broadcasters.
Che il Governo Conte non avesse proprio la Rai nelle sue
priorità ne avevamo avuto segnali di vario genere, e l’ultimo è stato, appunto,
non aver posto il tema informazione/comunicazione o pure il sistema TLC nell’agenda
degli Stati Generali appena conclusi. Dove però, non a caso, è spuntata dal
cilindro questa notizia del presunto accordo. Ora, ci sarebbe da far girare le
scatole a trottola: viene spacciata come “mediazione” quella che in realtà è l’ennesima
truffa da carta perde carta vince. Nemmeno la più smaliziata paranza di
trucchettari da Porta Portese saprebbe far di meglio. Questi soldi sono dovuti
e non sono o non dovrebbero essere oggetto di accordo o mediazione dove a guadagnare, o a
rimettere, è solo una della parti in causa, la Rai. Ci aspettiamo una vigorosa,
clamorosa, forte e determinata presa di posizione di Salini-Foa, dei 5 Consiglieri, dell’Usigrai e di tutti coloro che hanno a cuore gli interessi
dell’Azienda.
Veniamo ora alla vicenda Andreatta. È una storia che
potrebbe far venire l’orticaria. Mettiamo in ordine. Anzitutto la Legge: una
precisa disposizione ANAC impone che i manager non possano rimanere nel loro
ruolo per più di 8 anni e lei li aveva superati. Delle due l’una: o si applica
la Legge, sempre, oppure la si cambia ma non si può derogare in virtù di non si
sa bene cosa. Secondo: il tetto degli
stipendi. Anche lei sottoposta alla “dura” legge del compenso limitato a 240
mila euro l’anno. Il mercato offe di più? E allora? Dov’è il problema? Qualcuno
forse dimentica che già prima di lei, è uscito Andrea Fabiano per andare a TIM
oppure che si è “dimesso” Piero Gaffuri, figura chiave per l’applicazione del
Piano Industriale poi miseramente accantonato? Non si ricorda tutto questo clamore e ci sarebbe materia per essere smaliziati. Magari ricordando il tema delle società di produzione esterne che potrebbero veder ridotto il loro peso in modo significativo. Anche in questo caso: o si
accetta il presupposto che la Rai opera nel “mercato” e ne subisce o gestisce le
regole, oppure ne è fuori. La sua natura ibrida la espone a tutto questo ma nessuno
mai, finora, ha avuto voglia e coraggio di affrontare questo tema. Infine,
Andreatta fino a non molte settimane addietro, era data “piazzata” per la
successione a Salini di cui si diceva, appunto, che sarebbe andato a Netflix. Come
ci piace ripetere: sotto l’albero del pero non cascano le mele.
Ieri pomeriggio, quando si stava spargendo la notizia, le
nostre chat si sono animate e alcuni hanno espresso preoccupazioni sulla Rai (“una
pedita per l’Azienda” … “una vera manager” etc). Personalmente, abbiamo qualche
riserva già solo nel definire una persona “la regina delle fiction” come se, ad
esempio, Montalbano fosse opera sua oppure Elena Ferrante una sua invenzione. Ognuno
di noi è parte di un processo dove agiscono tanti elementi e riassumere in una
figura onori e meriti non ci è mai piaciuto.
Detto questo, rimane dover constatare che la Rai è ormai sul
piano inclinato di un impoverimento di risorse economiche, tecnologiche e per
ultimo umane sempre più accentuato e non si avvertono rumori di guerra in sua
difesa. Dal fortino di Viale Mazzini le sole voci che si sentono riguardano i
vari personaggi e personaggetti che dovrebbero animare i vari talk show.
Nel frattempo, quello si, il mercato galoppa furente. Segnalo
solo due articoli: il primo riguarda Rai Way e lo riporta MF : “Investitori
schierati sulle torri. Il settore è in fermento per l'avvento del SG, che potrebbe
portare a operazioni di M&A in Italia e in Europa. Raiway la più
interessante …” a firma di Emerick De Narda. Si capisce perfettamente la logica
finanziaria dell’operazione Rai Way per come è avvenuta per quanto la si vuole
mantenere in vita: gli azionisti godono con i soldi pubblici.
Il secondo articolo lo pubblica il Sole 24 ore con il titolo
“Tv, ecco il polo europeo dei contenuti” a firma Andrea Biondi. Appunto, il
mercato si muove più velocemente di quanto qualcuno immagina e non aspetta e
non consente ritardi in Italia e nel resto d’Europa. Netflix, appunto, corre, mentre la Rai è ferma. Punto. A capo.
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