Spesso ci si chiede: perché Rai riceve così poca attenzione
quando si tratta di affrontare temi che non riguardano la caviglia della Venier
o chi condurrà la prossima Prova del Cuoco? Abbiamo provato già a dare una
risposta: perché non sembra più essere centrale nel dibattito sociale,
economico, culturale del Paese. Una piccola prova? Nei giorni scorsi l’editore Laterza
ha organizzato una specie di Webinar sul tema “situazione della cultura
italiana con esponenti di ogni settore: cinema, teatro, audiovisivo, musei,
istituzioni, editoria” come ha scritto Paolo Conti oggi sul Corriere. Ebbene, tanto
per capirci, non c’era nessuno di Rai. Non sappiamo se qualcuno è stato
invitato e magari aveva altri impegni. Rimane il fatto che quando si parla di
futuro della cultura (e la Rai è la più grande Azienda culturale del Paese) non
ci sono nomi provenienti da Viale Mazzini.
Bene. Punto e a capo. Seconda domanda: perché tanta
attenzione al tema Rai Way (ieri ha ricevuto un rilevante quanto inatteso
riscontro di lettori)? Risposta semplice: è il solo tema sul quale è possibile
misurare concretamente, senza giri di parole, la capacità di gestire grandi
problemi di politica industriale. Sulle altre “politiche” meglio non parlare:
quella editoriale è un colabrodo di palinsesti raffazzonati, fondi di magazzino,
ingerenza dei grandi agenti, soubrette e conduttori che vanno e che vengono a
seconda degli sponsor politici. Amen.
Allora, riprendiamo il discorso con un termine molto usato
in economia finanziaria: “razionale”. Ad esempio, ci si chiede sempre se i
mercati siano “razionali” come pure gli investitori. In altre parole ci si chiede
se determinati comportamenti siano dettati più dalle emozioni, dal “sentiment”
piuttosto che dal calcolo e dalla ragione, appunto, dalla razionalità più o
meno scientifica. Evidente come questo ragionamento si possa applicare ai più
diversi campi dell’azione umana. Allora, come anticipato ieri, abbiamo posto
quesiti e dialogato a lungo con autorevoli ex colleghi ed esperti di
tecnologia, di finanza e di diritto amministrativo .. e ca va sans dire …
vecchie volpi della politica.
Il tema è: la vendita di Rai Way, in tutto o in parte, è “razionale”? Ancora: è “razionale” sostenere e incoraggiare la formazione di un polo unico
delle torri nazionale dove Rai partecipa in qualche misura (e vedremo a quale
modello ci si potrebbe ispirare)? È “razionale” per il Servizio Pubblico
avvalersi di una società controllata che genera i profitti prevalenti solo in
virtù del canone erogato e non dalle sue attività di mercato (obbligatorie,
come prevede Consob e Borsa)? Infine, è “razionale” pagare capacità trasmissiva
ad un prezzo non verificato sul mercato?
Sommariamente queste le posizioni che abbiamo riscontrato. Anzitutto
resiste ancora il “partito Rai” che vede in Rai Way una specie di “gioiello di
famiglia” come quelli lasciati dalla nonna nascosti nel vecchio comò. Questi colleghi,
ci hanno detto, sono dell’idea che il “patrimonio” del Servizio Pubblico sia “unico
e indivisibile” dove programmi e strutture tecniche sono una cosa sola. Molti sono
convinti che sia in atto un progressivo processo di “squartamento” dove, togli
qui e togli la, rimane ben poco e quel poco che potrà rimanere verrà messo a
confronto con la concorrenza che, verosimilmente, potrebbe essere più
attraente. A questi colleghi, si può obiettare semplicemente ricordando che le caratteristiche
industriali e tecnologiche di Rai Way sono prossime ad essere messe sotto
tutela del FAI: l’avvento della rete in fibra, il 5G, la transizione al DVB-T2 tutte
insieme danno un tempo di vita che, nella visione più ottimistica e lungimirante,
arriva al 2030. Altri invece sostengono, con maggiore realismo, che già a
partire dai prossimi due o tre anni, le torri non avranno più senso “razionale”
appunto perché sostituite da altre “small tower, more power” o “fiber to the
tower” o ancora “fiber to the cabinet” ed altro ancora. Resistere nella difesa
di questo modello somiglia un po’ al boscaiolo che è seduto sul ramo che sta
tagliando. Riferiamo un autorevolissimo commento” l’operazione vendita di Rai
Way doveva essere fatta da tempo, forse già con Crown Castle .. ora potrebbe
essere troppo tardi ed ogni giorno che passa si perde valore”.
Torniamo al “razionale” e spostiamo l’asse di riferimento alla
politica industriale nazionale. Ci viene detto da un esperto politico “che
senso ha per il nostro Paese avere una rete infrastrutturale di telecomunicazioni
inefficiente e disorganica?”. Semmai, l’interrogativo lecito è chiedersi in che forma si possa realizzare un polo delle
torri: un modello con CdP, come quello auspicato da molti, oppure come semplice
aggregazione societaria? Il “razionale” di questo interrogativo comunque porta
dritto verso il polo unico delle torri. Aggiunge un altro autorevole esperto: “Ci
sono altri buoni motivi. Il primo è che porterebbe ad un inevitabile processo
di calmierazione/riduzione dei prezzi”. Altri buoni motivi possono essere: l’altro operatore F2i-Tower ha acquisito già
una maggiore esperienza nello sviluppo di reti SFN per numerosità di impianti e
quindi col polo delle torri si riduce per Rai
il rischio attuativo del refarming delle frequenze. È obbligatorio per
Rai, e di conseguenza per Rai Way, affrontare il tema della riduzione di costi
e fare cassa e, con il completamento del refarming sui 700 Mhz è verosimile che
il valore delle torri possa subire una drastica riduzione. Da non dimenticare
che già dal 2023 il 5G potrà essere un temibile concorrente al DVB e se Rai non
sarà in grado, già da ora, di predisporre un progetto industriale in grado di
sostenere questo scontro, sarà facile intravvedere dolori all’orizzonte. Altro
che gioielli di famiglia.
Su questo tema abbiamo raccolto molto altro materiale, ci
torneremo spesso e volentieri.
bloggorai@gmail.com
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