venerdì 19 giugno 2020

Il Non Luogo della Rai


Questa mattina prosegue il Cda Rai iniziato lo scorso mercoledì. Si dovrebbe affrontare il tema dei canali inglese e istituzionale con relative nomine. Nel frattempo, rimane all’ordine del giorno l’emergenza conti e le previsioni di bilancio.    
Oggi, sul Fatto Quotidiano a firma Gianluca Roselli, un titolo significativo: “Banijay domina il servizio pubblico. Palinsesti L'anno scorso affidato in esterna il 29% tra programmi e fiction: a prevalere è l'ex Endemol”. Detta così potrebbe apparire anche poca cosa quando poi si legge che “il gruppo franco-italiano guidato da Marco Bassetti, con 1923 ore di trasmissione, detiene il 69,7% degli appalti totali della Rai, con un ricavo superiore a 120 milioni di euro l'anno” si capisce bene la rilevanza  del problema, che è economico in primo luogo ma editoriale in modo non meno importante. Non ripetiamo quanto già scritto: questa situazione viene da lontano e forse va anche oltre le responsabilità dell’attuale AD. In Rai da decenni, si è incrostata, imbullonata e incancrenita la sudditanza “energetica” dai potentati degli agenti e delle società di produzione esterne da quando (metà anni ’90) qualcuno, a sinistra... purtroppo, cominciò a teorizzare e praticare le “esternalizzazioni” di tutto il possibile immaginabile.

Dunque, frutti avvelenati di un albero marcio, da tempo, sotto il quale hanno prosperato e convissuto, se non complici almeno testimoni silenziosi, amici, parenti e conoscenti. Ora, di fronte al baratro prospettato da quanto riferito nella scorsa riunione del Cda, con prospettive di buchi per centinaia di milioni e fantasmi di 3000 licenziamenti, qualcosa e qualcuno sembrano muoversi. Semplificando: meglio tardi che mai. Ma rimaniamo sempre nell’ambito della sopravvivenza, non si riesce ad entrare nel mondo delle prospettive, dei progetti, dello sviluppo. Non ci sono soldi per “tirare a Campari” figuriamoci per innovare, per affrontare sfide tecnologiche e di prodotto che saranno decisive non già in un futuro chissaquando ma ora, oggi, domani. Il nemico alle porte ogni giorno spara a palle incatenate contro i cancelli di Viale Mazzini che cerca di resistere gongolandosi di qualche serata vinta con gli ascolti di partite di Coppa Italia e repliche di Montalbano ma sono, siamo, tutti consapevoli che non c’è un VII Cavalleria all’orizzonte pronto a salvare la Rai o quel che resta del Servizio Pubblico. Forse, qualcuno dimentica che siamo in piena corsa alla transizione al DVB-T2 che già prima del Coronavirus era preoccupante per la Rai, ora potrebbe essere ancora peggio.

Ecco, qui inizia la riflessione sul “non luogo”. Leggiamo dal Lessico del XXI Secolo della Treccani “Espressione introdotta dall’antropologo francese Marc Augé… (1992) in riferimento agli spazi architettonici e urbani di utilizzo transitorio, pubblico e impersonale, destinati a essere utilizzati in assenza di ogni forma di 'appropriazione' psicologica …si tratta di spazi altamente omologati nei quali l’uomo contemporaneo vive per tempi significativamente lunghi, non più riferiti a una struttura sociale organizzata in grado di favorire rapporti durevoli, privi di radicamento al contesto, alle tradizioni e alla storia, tipica espressione delle società globalizzate … La nozione di n. l. non presenta riferimenti a un qualsivoglia sistema di valori; ogni spazio è in grado di diventare luogo nella misura in cui accolga e favorisca l’interazione sociale, così come uno stesso spazio può essere luogo per alcuni e n. l. per altri: un aeroporto, per esempio, è un n. l. per chi vi transita ma è un luogo per chi vi lavora e v’intesse una serie di relazioni sociali”. La Rai e il Servizio Pubblico radiotelevisivo sono oggi la stessa cosa? Convivono nello stesso spazio sociale, politico e culturale del Paese? Condividono lo stesso destino? In un prossimo futuro utopico o distopico, quale potrebbe essere la loro sorte? Potranno esserci strade che si dividono: da un lato l’azienda incaricata di svolgere un servizio in concessione dallo Stato con determinati compiti da svolgere e dall’altro un Servizio Pubblico da assegnare a chi è in grado di farlo “meglio” sia dal punto di vista editoriale, quanto da quello economico e tecnologico?  Leggiamo sul Grande Portale della lingua Italiana di Rai Cultura: “L’espressione non luogo non significa, come si potrebbe immaginare, “luogo che non esiste”.  Significa invece luogo privo di un’identità, quindi un luogo anonimo, un luogo staccato da qualsiasi rapporto con il contorno sociale, con una tradizione, con una storia”. Ecco allora che si pongono altri interrogativi: in che termini, con quali paradigmi, si pone la Rai e/o il Servizio Pubblico con il  suo “contorno sociale”, con la collettività nazionale, con le sue diverse identità, con le sue tradizioni e la sua storia? In fin dei conti, il “palinsesto” del quale oggi si dovrebbe parlare in Cda, nei suoi diversi significati porta direttamente al mondo della “scrittura identitaria” destinata ad essere rivista e corretta, sovrapposta ad una precedente, che non lascia traccia del  passato e, a malapena, accenna al presente. Di futuro non se parla proprio.

Era prevista per i primi di luglio la presentazione, appunto, dei nuovi palinsesti Rai e, quanto sembra, verranno rinviati non appena certa la collocazione dei vari personaggi e personaggetti che affolleranno gli schermi delle prossime stagioni.  Ma anche per questo, ci vuole coraggio lo stesso che invocava Salini in una lettera pubblicata sul Corriere a marzo dello scorso anno “… ll talento non basta, ci vuole coraggio. E per la Rai, questo è il momento del coraggio." Che avrà voluto dire e a chi si riferiva???

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