Questa mattina prosegue il Cda Rai iniziato lo scorso
mercoledì. Si dovrebbe affrontare il tema dei canali inglese e istituzionale
con relative nomine. Nel frattempo, rimane all’ordine del giorno l’emergenza
conti e le previsioni di bilancio.
Oggi, sul Fatto Quotidiano a firma Gianluca
Roselli, un titolo significativo: “Banijay domina il servizio pubblico.
Palinsesti L'anno scorso affidato in esterna il 29% tra programmi e fiction: a
prevalere è l'ex Endemol”. Detta così potrebbe apparire anche poca cosa quando
poi si legge che “il gruppo
franco-italiano guidato da Marco Bassetti, con 1923 ore di trasmissione,
detiene il 69,7% degli appalti totali della Rai, con un ricavo superiore a 120
milioni di euro l'anno” si capisce bene la rilevanza del problema, che è economico in primo luogo ma
editoriale in modo non meno importante. Non ripetiamo quanto già scritto: questa
situazione viene da lontano e forse va anche oltre le responsabilità dell’attuale
AD. In Rai da decenni, si è incrostata, imbullonata e incancrenita la
sudditanza “energetica” dai potentati degli agenti e delle società di produzione
esterne da quando (metà anni ’90) qualcuno, a sinistra... purtroppo, cominciò a teorizzare e
praticare le “esternalizzazioni” di tutto il possibile immaginabile.
Dunque, frutti avvelenati di un albero marcio, da tempo, sotto
il quale hanno prosperato e convissuto, se non complici almeno testimoni silenziosi,
amici, parenti e conoscenti. Ora, di fronte al baratro prospettato da quanto
riferito nella scorsa riunione del Cda, con prospettive di buchi per centinaia
di milioni e fantasmi di 3000 licenziamenti, qualcosa e qualcuno sembrano
muoversi. Semplificando: meglio tardi che mai. Ma rimaniamo sempre nell’ambito
della sopravvivenza, non si riesce ad entrare nel mondo delle prospettive, dei
progetti, dello sviluppo. Non ci sono soldi per “tirare a Campari” figuriamoci
per innovare, per affrontare sfide tecnologiche e di prodotto che saranno
decisive non già in un futuro chissaquando ma ora, oggi, domani. Il nemico alle porte ogni giorno spara a palle
incatenate contro i cancelli di Viale Mazzini che cerca di resistere
gongolandosi di qualche serata vinta con gli ascolti di partite di Coppa Italia
e repliche di Montalbano ma sono, siamo,
tutti consapevoli che non c’è un VII Cavalleria all’orizzonte pronto a salvare
la Rai o quel che resta del Servizio Pubblico. Forse, qualcuno dimentica che siamo in piena
corsa alla transizione al DVB-T2 che già prima del Coronavirus era preoccupante
per la Rai, ora potrebbe essere ancora peggio.
Ecco, qui inizia la riflessione sul “non luogo”. Leggiamo
dal Lessico del XXI Secolo della Treccani “Espressione introdotta
dall’antropologo francese Marc Augé… (1992) in riferimento agli spazi
architettonici e urbani di utilizzo transitorio, pubblico e impersonale,
destinati a essere utilizzati in assenza di ogni forma di 'appropriazione'
psicologica …si tratta di spazi altamente omologati nei quali l’uomo
contemporaneo vive per tempi significativamente lunghi, non più riferiti a una
struttura sociale organizzata in grado di favorire rapporti durevoli, privi di
radicamento al contesto, alle tradizioni e alla storia, tipica espressione
delle società globalizzate … La nozione di n. l. non presenta riferimenti a un
qualsivoglia sistema di valori; ogni spazio è in grado di diventare luogo nella
misura in cui accolga e favorisca l’interazione sociale, così come uno stesso
spazio può essere luogo per alcuni e n. l. per altri: un aeroporto, per esempio, è
un n. l. per chi vi transita ma è un luogo per chi vi lavora e v’intesse una
serie di relazioni sociali”. La Rai e il Servizio Pubblico radiotelevisivo sono
oggi la stessa cosa? Convivono nello stesso spazio sociale, politico e culturale del Paese? Condividono
lo stesso destino? In un prossimo futuro utopico o distopico, quale potrebbe
essere la loro sorte? Potranno esserci strade che si dividono: da un lato l’azienda
incaricata di svolgere un servizio in concessione dallo Stato con determinati compiti
da svolgere e dall’altro un Servizio Pubblico da assegnare a chi è in grado di
farlo “meglio” sia dal punto di vista editoriale, quanto da quello economico e tecnologico?
Leggiamo sul Grande Portale della lingua
Italiana di Rai Cultura: “L’espressione non luogo non significa, come si potrebbe immaginare, “luogo che non
esiste”. Significa invece luogo privo di
un’identità, quindi un luogo anonimo, un luogo staccato da qualsiasi rapporto
con il contorno sociale, con una tradizione, con una storia”. Ecco allora che
si pongono altri interrogativi: in che termini, con quali paradigmi, si pone la Rai e/o il Servizio Pubblico con il suo “contorno sociale”, con la collettività nazionale, con le sue diverse identità,
con le sue tradizioni e la sua storia? In fin dei conti, il “palinsesto” del
quale oggi si dovrebbe parlare in Cda, nei suoi diversi significati porta
direttamente al mondo della “scrittura identitaria” destinata ad essere rivista
e corretta, sovrapposta ad una precedente, che non lascia traccia del passato e, a malapena, accenna al presente. Di
futuro non se parla proprio.
Era prevista per i primi di luglio la presentazione,
appunto, dei nuovi palinsesti Rai e, quanto sembra, verranno rinviati non
appena certa la collocazione dei vari personaggi e personaggetti che
affolleranno gli schermi delle prossime stagioni. Ma anche per questo, ci vuole coraggio lo
stesso che invocava Salini in una lettera pubblicata sul Corriere a marzo dello
scorso anno “… ll talento non basta, ci vuole coraggio. E per la Rai, questo è
il momento del coraggio." Che avrà voluto dire e a chi si riferiva???
bloggorai@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento