venerdì 12 giugno 2020

Mediaset e Rai: le immagini del dolore


In Media stat Virus.
Lo scorso martedì è andato in onda su Italia Uno il documfilm ”Resistiamo, il diario della quarantena” e ieri sera su RaiDue un documentario di Petrolio con il titolo “Senza respiro”.  

Lo abbiamo scritto subito e lo ribadiamo con forza: insieme alla pericolosità e alla drammaticità del Coronavirus si è un diffuso l’altro virus della comunicazione e informazione sbagliata, confusa, disordinata, partigiana, malevola che non ha fatto vittime immediate ma ha generato distorsioni, sottovalutazioni o sopravvalutazione di problemi non meno gravi, in ogni campo, sociale, sanitario, culturale ed economico.

L’infomedia non produce immagini a forte impatto visivo, di quelle che girano sui social o di quelle che riempiono le prime pagine dei giornali. È un virus più subdolo, infido e perverso che mira direttamente alla salute mentale delle persone, ai rapporti corretti equilibrati tra le persone, tra le comunità, nella stessa coesistenza civile e democratica. Si insinua nelle paure, nei timori ancestrali, nelle psicosi individuali e collettive che non entrano nelle casistiche immediate, non fornisce dati utili da essere riportati ogni giorno in qualche bollettino e non appartiene al mondo degli esperti che, a vario titolo, pontificano a fasi alterne e contraddittorie ogni giorni su Radio e Tv. Di tutto questo si parla poco e ancor meno si valutano i rischi e i pericoli futuri, quando l’ondata emotiva, speriamo presto, sarà attenuata.

Nel frattempo, qualcuno comincia a tirare qualche somma “televisiva” di questi tre mesi drammatici dove sono scorse lacrime di decine di migliaia di persone, di coloro che ne sono rimaste vittime e di coloro che ne sono rimaste coinvolte e si dovrebbe cominciare a porre una sola semplice domanda: quando e come avrà termine tutto questo? Citiamo Walter Veltroni quando nei giorni scorsi ha scritto: “Il Paese deve tornare alla normalità. Ci vuole il coraggio di decidere quando. Certamente dovremo continuare ad essere vigili e a rispettare le prescrizioni sanitarie. Ma la domanda è: fino a quando? Fino a quando in presenza di una tendenza al “contagio zero” si potrà tenere il Paese in ginocchio, le persone terrorizzate di perdere il lavoro, i bambini a scuola separati dal plexiglas e tutti impossibilitati a vivere una vita normale?”. Condividiamo pienamente. Questo il cuore del problema, che riguarda il presente e il prossimo futuro. Il passato, drammaticamente, appartiene al dolore privato, intimo, profondo e riservato che hanno provato coloro che hanno perso persone care, coloro che hanno dato l’anima per salvarne altre ed abbiamo forti dubbi su quanto sia opportuno, televisivamente, “togliere il respiro” di fronte ad una martellante e ininterrotta sequenza visiva di sofferenza e angoscia per il dramma vissuto.     

La televisione ha la coscienza sporca in proposito, sia quella pubblica che quella commerciale. Una volta si chiamava “tv del dolore” e si riteneva, a torto o ragione, che pagasse molto in termini di ascolti. Fa leva su un sentimento ambiguo e contraddittorio: osservo quello che è successo ad altri perché a me non è successo, un po’ come avviene in autostrada quando si formano le file per vedere l’incidente nella corsia opposta. Si configura come una specie di catarsi del dolore e non è mai chiaro il confine che divide il rivivere o rivedere dal rimuovere. Come tutti sappiamo, “le immagini parlano” e succede spesso che abbiano più voce delle parole. Le immagini colpiscono diritte al cuore prima ancora che alla mente, all’emisfero cerebrale dei sentimenti e delle emozioni prima ancora che a quello della ragione.  Ricordiamo tutti le immagini forti dei primi giorni del Coronavirus: l’infermiera china e stremata sulla tastiera, le file dei camion militari con le bare dei defunti, il Papa che prega da solo a San Pietro. i cori sui balconi, i disegni dei bambini “andrà tutto bene”. È verosimile che saranno queste a rimanere nella memoria più che i numeri, dati e tabelle su quanto il Coronavirus ha devastato il nostro Paese e non solo.

Ora, oggi, in questi momenti, il tema è, appunto, come ne usciamo e quando? Già i titoli delle due trasmissioni contengono un messaggio: il primo è “Resistiamo” il secondo “Senza respiro”. Ognuno è libero di scegliere da che parte indirizzare le proprie aspettative e speranze. Ma non è lecito, specie per il servizio pubblico, proporre un futuro ragionevolmente più minaccioso di quanto nessuno è in grado di prevedere. Tornerà il Virus in autunno? Ci salverà il vaccino oppure tutto sarà ricondotto e risolvibile, clinicamente, ad un trattamento farmacologico più o meno efficace come avviene per molte altre malattie non meno gravi  del Coronavirus? Già, non è giusto dimenticare chi, durante questo periodo, ha sofferto non da meno: il Corriere di ieri ha scritto di oltre 230 mila persone che in questo periodo hanno avuto e avranno gravissime conseguenze per il rallentamento dovuto alle terapie saltate o rallentate, agli interventi rimandati, ad un pezzo di vita sospesa che nessuno gli potrà mai restituire.
Se mai vi venisse chiesto tra “resistere” e “rimanere senza respiro” voi cosa scegliereste?

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