In Media stat Virus.
Lo scorso martedì è andato in onda su Italia Uno il documfilm ”Resistiamo, il diario della quarantena”
e ieri sera su RaiDue un documentario di Petrolio con il titolo “Senza respiro”.
Lo abbiamo scritto subito e lo ribadiamo con forza: insieme
alla pericolosità e alla drammaticità del Coronavirus si è un diffuso l’altro
virus della comunicazione e informazione sbagliata, confusa, disordinata,
partigiana, malevola che non ha fatto vittime immediate ma ha generato
distorsioni, sottovalutazioni o sopravvalutazione di problemi non meno gravi, in
ogni campo, sociale, sanitario, culturale ed economico.
L’infomedia non produce immagini a forte impatto visivo, di quelle
che girano sui social o di quelle che riempiono le prime pagine dei giornali. È
un virus più subdolo, infido e perverso che mira direttamente alla salute
mentale delle persone, ai rapporti corretti equilibrati tra le persone, tra le
comunità, nella stessa coesistenza civile e democratica. Si insinua nelle paure, nei timori ancestrali,
nelle psicosi individuali e collettive che non entrano nelle casistiche immediate,
non fornisce dati utili da essere riportati ogni giorno in qualche bollettino e
non appartiene al mondo degli esperti che, a vario titolo, pontificano a fasi
alterne e contraddittorie ogni giorni su Radio e Tv. Di tutto questo si parla poco
e ancor meno si valutano i rischi e i pericoli futuri, quando l’ondata emotiva,
speriamo presto, sarà attenuata.
Nel frattempo, qualcuno comincia a tirare qualche somma “televisiva”
di questi tre mesi drammatici dove sono scorse lacrime di decine di migliaia di
persone, di coloro che ne sono rimaste vittime e di coloro che ne sono rimaste coinvolte
e si dovrebbe cominciare a porre una sola semplice domanda: quando e come avrà termine tutto questo? Citiamo Walter
Veltroni quando nei giorni scorsi ha scritto: “Il Paese deve tornare alla
normalità. Ci vuole il coraggio di decidere quando. Certamente dovremo
continuare ad essere vigili e a rispettare le prescrizioni sanitarie. Ma la
domanda è: fino a quando? Fino a quando in presenza di una tendenza al “contagio zero”
si potrà tenere il Paese in ginocchio, le persone terrorizzate di perdere il
lavoro, i bambini a scuola separati dal plexiglas e tutti impossibilitati a
vivere una vita normale?”. Condividiamo pienamente. Questo il cuore
del problema, che riguarda il presente e il prossimo futuro. Il passato,
drammaticamente, appartiene al dolore privato, intimo, profondo e riservato che
hanno provato coloro che hanno perso persone care, coloro che hanno dato l’anima
per salvarne altre ed abbiamo forti dubbi su quanto sia opportuno,
televisivamente, “togliere il respiro” di fronte ad una martellante e ininterrotta
sequenza visiva di sofferenza e angoscia per il dramma vissuto.
La televisione ha la coscienza sporca in proposito, sia quella
pubblica che quella commerciale. Una volta si chiamava “tv del dolore” e si
riteneva, a torto o ragione, che pagasse molto in termini di ascolti. Fa leva
su un sentimento ambiguo e contraddittorio:
osservo quello che è successo ad altri perché a me non è successo, un po’ come
avviene in autostrada quando si formano le file per vedere l’incidente nella
corsia opposta. Si configura come una specie di catarsi del dolore e non è mai
chiaro il confine che divide il rivivere o rivedere dal rimuovere. Come tutti
sappiamo, “le immagini parlano” e succede spesso che abbiano più voce delle
parole. Le immagini colpiscono diritte al cuore prima ancora che alla mente,
all’emisfero cerebrale dei sentimenti e delle emozioni prima ancora che a
quello della ragione. Ricordiamo tutti
le immagini forti dei primi giorni del Coronavirus: l’infermiera china e
stremata sulla tastiera, le file dei camion militari con le bare dei defunti, il Papa che prega da solo a San Pietro. i
cori sui balconi, i disegni dei bambini “andrà
tutto bene”. È verosimile che saranno queste a rimanere nella memoria più che i
numeri, dati e tabelle su quanto il Coronavirus ha devastato il nostro Paese e
non solo.
Ora, oggi, in questi momenti, il tema è, appunto, come ne
usciamo e quando? Già i titoli delle due trasmissioni contengono un messaggio: il primo è “Resistiamo” il secondo “Senza
respiro”. Ognuno è libero di scegliere da che parte indirizzare le proprie aspettative
e speranze. Ma non
è lecito, specie per il servizio pubblico, proporre un futuro ragionevolmente più
minaccioso di quanto nessuno è in grado di prevedere. Tornerà il
Virus in autunno? Ci salverà il vaccino oppure tutto sarà ricondotto e risolvibile,
clinicamente, ad un trattamento farmacologico più o meno efficace come avviene
per molte altre malattie non meno gravi
del Coronavirus? Già, non è giusto dimenticare chi, durante questo
periodo, ha sofferto non da meno: il Corriere di ieri ha scritto di oltre 230
mila persone che in questo periodo hanno avuto e avranno gravissime conseguenze
per il rallentamento dovuto alle terapie saltate o rallentate, agli interventi rimandati, ad un
pezzo di vita sospesa che nessuno gli potrà mai restituire.
Se mai vi venisse chiesto tra “resistere” e “rimanere senza
respiro” voi cosa scegliereste?
bloggorai@gmail.com
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