Premessa d’obbligo: quando si raccontano i viaggi le
banalità e i luoghi comuni sono sempre dietro l’angolo. Per un verso occorre una
grande fatica per cercare di evitarli, per altro verso invece è possibile pure
che siano efficaci e sempre utili da tener conto.
Allora: quando giungo in un nuovo paese mi sovviene di
cercare anzitutto il suo “profumo” cioè il tratto distintivo dei sensi che
subito balza all’attenzione prima ancora degli altri. Come già accaduto in
altre grandi città di questo tipo (Calcutta, Cairo, Cuba...) il profumo di questo
luogo appare subito chiaro: un misto tra gomma bruciata, fuoco acido e scarico
di auto. Tutto si appesantisce poi da una sottile polvere in parte proveniente
dal deserto e, in altra parte, dai lavori
in corso che sembrano animare l’intera città.
Subito dopo l’odore cerco il colore prevalente. Anzitutto emergono
con forza prepotente i colori degli abiti, delle donne più degli uomini. Sgargianti,
luminosi, variopinti con infinite gamme e mescolanze. Poi cerco il colore e lo
trovo, appena iniziata la camminata, lungo la piccola spiaggia del porticciolo
delle piroghe: grigio. È grigia l’acqua dell’Oceano in quel tratto, grigia come
la cenere, dove galleggia tutto il peggio che può galleggiare. Quello stesso grigio
lo ritroviamo intorno, nelle case, nelle strade, negli edifici in costruzione.
Ora ci manca una immagine, una icona, un segno, un tratto
che possa sintetizzare negli occhi e nella memoria questo luogo. Ancora non l’abbiamo
trovata ma arriverà.
Ieri è proseguito l’avvicinamento al cuore della città e della
sua gente e, come già detto, il passaggio obbligato è sempre il mercato
diffuso. Non solo tutto è mercato ma anche “ognuno” è mercato di se stesso. Passiamo
casualmente nel mercato degli artigiani, che forse nelle intenzioni avrebbe voluto
essere destinato ai turisti ma succede che sia del tutto anacronistico perchè
situato ben al di fuori del centro, tagliato fuori da una strada pericolosa da
attraversare ed è lecito chiedersi perché un “turista” dovrebbe andare appositamente
fin là. Passaggio rapido e ci dirigiamo verso un punto focale di grande significato
e rilevanza: “Siamo tutti africani”
è la frase che campeggia all’ingresso di un monumentale museo della
Civilizzazione africana. Ci ricorda, semplicemente, che un lontanissimo giorno,
migliaia di anni addietro, un uomo e una donna, ominidi, si sono incamminai verso
Nord e sono giunti fino alle nostre parti dove, molti anni dopo, siamo nati noi.
Sarà forse una banalità, ma può essere sempre utile ricordare che l’Africa possiede il nostro DNA primigenio.
In Africa tutto nasce e si sviluppa solo che, ad un certo punto tutto si ferma
e fatica a riprendersi e rimettersi alla pari. Nello stesso museo c’è una
sezione che mi ha incuriosito: il ruolo delle tre grandi religioni: complesso, problematico
e non sempre facile, anzi.
Comincia a fare caldo, anche se una leggera brezza oceanica
lo rende appena sopportabile. La nostra guida ci invita a pranzo lungo il mare.
Oasi di fresco, posto privilegiato. L’acqua appare pulita, piroghe a pesca di
fon a noi, e all’orizzonte un cupa e compatta foschia grigia di puro e semplice
inquinamento, forse una raffineria, forse un cementificio.
Il pomeriggio trascorre passeggiando nel quartiere dove è incorso
una grande festa di matrimonio: tutti accorrono in modo rigorosamente istinto
tra maschi e femmine, tutti elegantissimi, alti, austeri e belli, indistintamente
con tratti somatici di grande bellezza. Ci attende una serata “mondana” molto mondana.
La nostra guida è molto bene introdotta in città e siamo capitati nel giorno in
cui tutte le grandi gallerie d’arte aprono di notte. I fior da fiore, la creme de
la creme della città, spazzola da una galleria ad un’altra, da un coktail ad un
“apericena” locale. Attachè d’ambasciate, cooperanti vari, “expat” di varia
provenienza e disparate professioni: giornalista free lance, ristoratrice, architetta,
e via trotterellando. Tutti accumunati dallo stesso sorriso che sottende un senso
di apparente soddisfazione. Chi capitato per caso, chi per scelta e forse qualcuno
forse per “obbligo” …quelli che da noi vengono definiti “gli scappati da casa”.
Nel pomeriggio, al bar del quartiere, dove abbiamo incontrato alcuni di loro,
ad un tavolo vicino era seduto un uomo, europeo, ben vestito, che per lungo
tempo è stato in silenzio di fronte ad una bottiglia di birra. Un nostro amico
ha commentato “Chissà quanti draghi ha nella testa”.
Nel cuore della notte, la giornata si chiude non prima di un’ultima
osservazione: è ancora molto animata. Tra le tante immagini colpisce quella di
bambini che giocano a pallone in uno spazio poco illuminato e polveroso.
Da Viale Mazzini e dintorni non giungono notizie di rilievo
e quelle poche sono poco significative. Forse, pare, dicono che verrà convocata
la Vigilanza per la prossima settimana. Si utilizza ancora il condizionale
futuro sul nome del presidente che potrebbe essere Ricciardi.
La Rai è lontana, l’Africa è lontana.
bloggorai@gmail.com
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