Bloggorai sulla Rai è relativa pausa … anche se l’attenzione
è sempre all’erta. Oggi, per esempio, abbiamo osservato lo scarso numero di
parabole satellitari che si vedono in giro: “Tous sont en réseau” e per la
televisione basta e avanza. Che c’entrano i Baobab con la Rai? C’entrano ... c’entrano…
Torniamo alle note di viaggio e, intendiamoci: ogni giorno, da migliaia di anni, milioni di
persone partono per un viaggio, quale che esso sia, più o meno avventuroso. La differenza
tra uno e l’altro è solo per quanto si possa raccontare e per quanto si
distingue nelle percezioni e nelle emozioni che suscita il suo ricordo.
Noi, tutto sommato, stiamo viaggiando in un Paese tranquillo,
democratico e stabile. Non si avvertono pericoli di nessun genere se non quelli
che marcano la differenza dalla nostra comune vita ordinaria: igiene, sicurezza
stradale, distanza da un luogo protetto come una farmacia o un ospedale e così via. Per il
resto, in realtà, un viaggio molto sereno.
Bene. Si esce dalla città per andare verso l’interno. La prima
considerazione che viene è semplice: come si “racconta” di più un Paese? Quale è
la sintesi del suo racconto, della sua immagine prevalente? Con le immagini del suo “centro”
o quelle della sua periferia? Racconta più passeggiare per un quartiere come Prati
o come uno tipo Tor Bella Monaca? Lungomare di Chiaia o Scampia? Cosa si avverte
in differenza tra le persone di un elegante Arrondissment parigino o una delle
sue banlieu? Qui la situazione appare alquanto più complessa da decifrare: per
decine e decine di chilometri la città si estende non come una periferia “viva”
ma solo come un infinito panorama di scheletri di abitazioni deserte. Sorge un
problema: si tratta di muri, terrazzi, balconi o solo armature di cemento
armato e tamponato alla bell’e meglio senza nessun segno di umanità. Non solo:
senza nessun segno di una parvenza di regolamentazione urbanistica. Sembra che
ognuno, dove crede e vuole, tira su quattro mura e poi … si vedrà. Mi dicono che
uno dei più grandi problemi della modernità di questo paese è semplicemente il “catasto” che non sembra esistere.
Chiunque, specie nelle aree rurali, costruisce dove vuole salvo che qualcun lo
impedisca. E allora, lungo le strade, tutto è un continuo altalenarsi di case,
baracche, ruderi, capanne, ombrelloni e teli tirati alla come capita capita.
Allora: ieri vi abbiamo scritto della ricerca di una
immagine iconica che pensavamo di aver trovato nel Baobab (di cui ora vi
racconteremo una storia) poi in verità ne abbiamo trovata un’altra: il mattone.
Già, proprio il mattone. Con ordine: sul Baobab sono note innumerevoli storie
(albero sacro etc e simbolo nazionale in diversi paesi africani). Ci ha
convinto sapere questa: gli spiriti della natura, quando hanno dovuto decidere come
distribuire la bellezza e la forza delle piante, hanno intuito che i Baobab erano
superbi ed arroganti e allora, per punirli, li hanno “rovesciati” e così la
loro chioma appare come una radice. Ben gli sta. Fatto sta però che siamo
capitati ai piedi di uno di loro, al centro di villaggio molto particolare,
dove una volta a settimana, alla sua base, viene posta un’offerta a turno da parte
di una famiglia. In quello stesso villaggio succede pure che i morti cattolici
siano sepolti accanto a quelli musulmani e ne sono tutti molto fieri.
Siam sempre alla ricerca di un “giri giri”. Non è facile, non ci siamo
ancora riusciti ma abbiamo una traccia: un amico di amici, cugino di cugini, ci
ha dato un numero da chiamare e forse, chissà, potremo sapere qualcosa. Vedremo.
Infine: viaggiare lungo queste strade è di enorme interesse.
Il senso stesso del viaggio ne viene stravolto e ne fornisce le sue coordinate
essenziali. Tra gli innumerevoli modi che osserviamo, uno ci ha colpito: il “7
places”. Significa semplicemente che in alcuni spazi, ai “carrefour”, sono ferme
alcune vetture che trasportano esattamente 7 persone non una di più ma neanche una
di meno. E allora se non si raggiunge il numero “legale” si può attendere per
ore, salvo che uno dei viaggiatori o gli altri insieme, comprano i posti ancora
vacanti e allora il conducente parte. Magnifico.
Arriviamo alla casa che ci ospita che è già notte. Attraversiamo
un villaggio con le strade di sabbia ed è un soffio che ci insabbiamo. Dal nulla
compare un uomo che ci aiuta. Siamo a casa, sotto un tetto di paglia.
Torniamo al mattone: perché immagine iconica? Perché è la
misura di tutte le cose, ovvero delle case. Perché si costruisce tanto e in modo
coì apparentemente selvaggio? Perché ognuno si fa i mattoni in “casa” cioè la materia
prima, la sabbia, è a portata di mano, basta solo il cemento e delle forme più
o meno simili e tanta mano d’opera che non manca. Così si vedono sempre all’opera
tante persone con la pala che impastano e mettono a cuocere al sole file di
mattoni con i quali si comincia ad alzare un muro esterno e poi, via via verso
l’interno. Solo che, nella maggior parte delle case, ad un certo punto tutto
sembra fermarsi e rimanere incompiuto. File interminabili di mattoni rimangono
a terra. Ci torna in mente che sul Palazzo del Comune di Todi c’è la forma dei
due mattoni “regolamentati” dal Consiglio dei maggiorenti.
Il viaggio prosegue. Questa mattina ci è giunto un articolo
molto complesso sulla Rai e dintorni. Non abbiamo avuto modo di leggerlo
attentamente. Speriamo domani. Caldo permettendo: superati i 40 gradi.
bloggorai@gmail.com
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