martedì 8 marzo 2022

La Guerra finanziaria di Viale Mazzini

Foto di mohamed Hassan da Pixabay

Ci sarebbe tanto da dire oggi sulla Rai e su come sta conducendo la sua “campagna” sull’informazione di guerra in Ucraina. Purtroppo, le circostanze in corso ci limitano l’uso di un linguaggio bellico che, per quanto vi stiamo per proporre, sarebbe pure appropriato. La notizia di oggi è di assoluto rilievo e riguarda il Governo e Viale Mazzini che, in combinato disposto, stanno apparecchiando un bel servizietto ai danni della Rai. Lo abbiamo anticipato da tempo: il 2022 sarà un anno difficilissimo sul fronte dei conti.

Si usa dire che Dio li fa e poi li accoppia. Parliamo di Draghi e Fuortes che, insieme, riassumono benissimo lo spirito di questo tempo del Servizio Pubblico. Con il loro governatorato potrebbero essere in grado di passare alla storia come gli artefici di un cambiamento epocale della Rai: quello del declino, almeno economico, dell’Azienda. Si sono almeno tre passaggi che lo stanno ad indicare: 1- ritorno della riscossione del canone al vecchio modo (bollettino postale) 2- riforma del TUSMAR e revisione delle quote di affollamento pubblicitario 3- perdere il controllo della quota di maggioranza di Rai Way. Poi magari, un giorno parleremo anche di quello editoriale che con i conti è saldamente intrecciato.

Come vi abbiamo anticipato ieri sera, si tratta di un DPCM ora inviato alla bollinatura della Corte dei Conti che, solo apparentemente, ha destato sorpresa. In verità, molti falsamente sorpresi, perché l’operazione era nell’aria non da settimane ma da anni, per molti temuta e per altri auspicata. E pure nelle settimane precedenti erano stati lanciati messaggi chiari e inequivocabili sulle intenzioni del Governo.

Ci risparmiamo di riaprire il nostro dossier storico e ci limitiamo allo scorso 6 gennaio quando Il Foglio ha pubblicato un articolo dove si legge che “…Il futuro di Mediaset, che guarda sopratutto all’estero, dipende dalla Rai. A marzo, infatti, Rai Way (controllata al 65% dalla Rai) ed Ei Towers (60% fondo F2i) dovrebbero fondersi creando un’unica società dei ripetitori … vendendo il suo 40% di Ei Towers, la società di Berlusconi potrebbe ricavare circa 400 mln di euro da usare per crescere nella tedesca ProSiebensat.1…”. Concetto chiarissimo ma, direbbe qualcuno, sospetto di eccessiva dietrologia politica/finanziaria.

Torniamo a Roma, prima a Palazzo Chigi e poi a Viale Mazzini. Lo scorso 22 febbraio, alla vigilia della guerra, Repubblica pubblica un lungo articolo, a firma Sara Bennewitz, dove si chiarisce benissimo lo scenario politico che si intende perseguire: non è un solo tema di politica finanziaria ma di politica semplice, cioè i sostegno indiretto ad un partito politico che, in questo momento storico, potrebbe tornare molto utile alla stabilità del Governo Draghi  e si riconduce appunto al superamento del “… decreto del 2014 in chiave anti Berlusconi…). Quale altra motivazione potrebbe reggere la necessità ed urgenza di affrontare oggi questo tema? La riposta va cercata a Viale Mazzini laddove, abbiamo letto su MF, a firma Francesco Bertolino, lo scorso 2 marzo che “Viale Mazzini sarebbe disposta a scendere al di sotto del 51%...” di Rai Way. Da osservare che il giorno prima i fondi azionari scrivono al Governo “Favorevoli a un'alleanza con EI Towers: "Autorizzate il consolidamento delle torri - Amp, Amber e Kairos, padroni del 7% della società quotata e di un quinto del flottante, chiedono un processo che crei valore per tutti i soci: tutelare il nostro interesse insieme a quello pubblico”. Il Governo risponde: obbedisco!!!

Fin qui i fatti, ora le opinioni (beninteso, opinabili) ma prima ancora, come al solito, le domande: a chi conviene, oggi, questa operazione? Quale è la sua natura, la sua destinazione, la sua “mission”? In quale contesto avviene (finanziario, industriale, tecnologico)? Che ruolo ha giocato “una parte” del vertice di Viale Mazzini ? Ne erano informati? Se si sono complici, se no sono colpevoli almeno di “omessa vigilanza”. Diciamo, e siamo discreti, solo “una parte” perché ad esempio abbiamo a mente il Cda che, è supponibile, ne dovrebbe essere stato essere almeno preventivamente informato ed avveduto. Per quanto ne sappiamo così non è avvenuto. Anzi, per quanto abbiamo potuto sapere da nostre fonti riservate, ci sarebbe stata una manovra “occulta” il cui agente sarebbe stato l’attuale capo staff dell’AD, Giovanni Pasciucco. Ovviamente, si tratta solo di voci che nessuno sarà mai in grado di confermare ma che non appaiono del tutto improbabili. 

Dunque la prima domanda: a chi conviene? Ieri a botta calda, abbiamo cercato una possibile e ragionevole risposta e, sul fronte Rai, abbiamo sintetizzato con una sola battuta “…alla Rai serve per fare cassa e perché altrimenti rischia di andare sotto con i conti e non raggiungere quel “pareggio di bilancio” tanto caro alla dottrina Fuortes”. Risposta pertinente ma non convincente. Vendere gioielli di famiglia quando hai i creditori alle porte potrebbe anche non essere una scelta saggia, anzi, al contrario, potrebbe anticipare l’inizio della fine. Si dice pure: occorrono soldi per fare investimenti. Giusto, bene, ottimo. Ma perché ricercarli solo in questo tipo di operazione che comporta evidenti contraccolpi negativi e non è ultimo quello di avvantaggiare la concorrenza? Somiglia a quelle operazioni delle grandi squadre di calcio che quando si trovano in difficoltà vendono i propri campioni alla squadra avversaria che poi, regolarmente, vince lo scudetto. Tafazzi allo stato puro. Temiamo però che non si tratti solo di autolesionismo, di scarsa lucidità progettuale, ma di una sottile e strisciante “connivenza con il nemico” che non è tanto e solo il diretto concorrente sul fronte della televisione digitale terrestre ma più ancora sul fronte della televisione in rete. Da tempo, infatti, sospettiamo che pure in casa Rai non ci sia gran voglia di affrontare compiutamente il tema della transizione non solo e non tanto verso il DVB-T2 (obbligatoria) quanto più verso la transizione dal broadcast al broadband (facoltativa).

Torniamo ancora alla prima domanda, alla Rai conviene? Lo abbiamo scritto da tempo non sospetto (i nostri più attenti lettori sanno bene che seguiamo con particolare attenzione questo tema) che vendere “il ferrovecchio” delle torri potrebbe pure convenire e, un nostro attento e qualificato commentatore, ieri sera ha sintetizzato con “era ora”. Si è vero, vendere il ferro potrebbe avere senso solo se la manovra si colloca in un progetto, in un piano di politica industriale, di “visione” e valutazione adeguata dei propri asset strategici e i siti di Rai Way, indubbiamente, lo sono. Il piccolo problema è che questa visione questo progetto, semplicemente, non esiste. La bozza di lavoro del nuovo Piano industriale attualmente in discussione  non prevede manco per l’anticamera del cervello una iniziativa del genere e, a nostra specifica domanda, al risposta è stata “Non se ne è mai parlato”. Dunque, il sospetto che si tratti solo e semplicemente di una manovra, di alchimia finanziaria appare più che fondato (vedremo oggi, a Borsa aperta, come andranno i titoli). Certo, ci sarebbe poi molto da riflettere sul approccio generale che il Governo persegue sulle società partecipate e controllate dallo stato (ricordate i primi tempi della nuova CdP?) ovvero sulle privatizzazioni e sul prurito neoliberista (forse anche senza neo) del quale il Governo Draghi è fiero alfiere. Ma questo è altro tema.

Ultima nota: si può fare questa operazione in punta di diritto? Forse anche no. Come pure abbiamo scritto tante volte, anche nella precedente occasione di cessione del 2014 sono state sollevate obiezioni costituzionali con tre pareri di illustri costituzionalisti (Ainis, Pace e Cheli) che ancora giacciono insolute e ricorso al Consiglio di Stato (ancora pendente), anche in questo caso il timore che ci sia un “errore” è forte e fondato. Leggiamo quanto dispone il DPCM del 2014 all’art.21: “3. Ai fini  dell'efficientamento,  della  razionalizzazione  e  del riassetto industriale nell'ambito delle partecipazioni detenute dalla RAI S.p.A., la Società può cedere sul  mercato,  secondo  modalità trasparenti e non discriminatorie,  quote  di  società partecipate, garantendo la continuità del servizio erogato. In caso  di  cessione di partecipazioni strategiche che determini la perdita del controllo, le  modalità  di  alienazione  sono  individuate  con  decreto   del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  adottato  su  proposta  del Ministro dell'economia e delle finanze d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico”. I capisaldi sono evidenti: continuità del servizio (ergo il controllo) e modalità di alienazione. La Legge non prevede in alcun modo la definizione del processo decisionale della cessione di proprietà o parte di essa di un bene pubblico (la società gestisce le frequenze  per conto dello Stato) e che, pertanto, non dovrebbe essere assoggetta ad una iniziativa del Governo. Obiezione malevola ma che coglie nel segno “tanto, sono tutti d’accordo, compresi i tanti “amici” del Servizio Pubblico”.

 bloggorai@gmail.com

Nessun commento:

Posta un commento