martedì 16 febbraio 2021

Le polpette avvelenate del Governo Draghi. Il Paese tra Fiction e Reality show

La storia del blocco improvviso alla possibilità di riaprire gli impianti di sci è una classica polpetta avvelenata minacciosa ed incombente sul futuro del governo Draghi con effetto ritardato e a futura memoria, oltre a non essere l’unica. Riporta in primo piano, inoltre, un tema che abbiamo sollevato: la tecnica è neutra rispetto alla politica? A nostro avviso NO, tant’è che appena insediato il nuovo Governo Draghi vorrebbe cambiare subito i “tecnici “ del CTS con altri “tecnici“ a sua immagine e somiglianza, giusto per ribadire il semplice concetto che ogni governo usa i suoi. Dunque: non è difficile supporre  che ci saranno molte “polpette avvelenate” nei prossimi giorni (Alitalia, Ilva, blocco dei licenziamenti, vaccini etc) e, aggiungiamo noi last but not least, la RAI.

Lo scorso dicembre, sul sito ufficiale della BBC, è comparso un articolo con questo titolo: “Netflix e Sky possono offrire contenuti di Servizio Pubblico?” https://www.bbc.com/news/entertainment-arts-55230161?xtor=AL-72-%5Bpartner%5D-%5Bmicrosoft%5D-%5Bheadline%5D-%5Bnews%5D-%5Bbizdev%5D-%5Bisapi%5D  . Nonostante che in Italia non ci sia dibattito su questo fronte, il tema è di grande attualità e si riferisce al problema di cosa deve fare un Servizio Pubblico Radiotelevisivo in relazione alle risorse di cui dispone, cioè al suo progetto, alla sua missione editoriale. Si riferisce, inoltre, al perimetro della sua progettualità, cioè esattamente quello che il nuovo governo Draghi si propone di definire in molti ambiti. Sappiamo quali sono le sue priorità (salute, giustizia, lavoro etc) ma non ancora le secondarietà, tra le quali dovrebbe esserci, appunto, la riforma del Sistema integrato delle Comunicazioni (SIC). Questo, a sua volta, poggia su tre pilastri: normative, risorse e tecnologie che, a loro volta, sorreggono appunto i contenuti che vengono diffusi.

In attesa che qualcuno se ne possa occupare, il Paese reale si racconta in televisione tra reality show e fiction. Solitamente non ci occupiamo di programmi delle televisioni generaliste, pubblica o privata. Vi proponiamo uno spunto di riflessione che merita attenzione per le forti analogie che si possono riscontrare con la vita del Paese in queste determinate circostanze e contesto.

Nei giorni scorsi si è conclusa su Rai Uno la fortunata serie di “Mina Settembre” una fiction che, per molti aspetti, si potrebbe considerare la perfetta metafora dell’Italia in questo momento storico. Il racconto si svolge a Napoli e i protagonisti rappresentano bene le diverse categorie sociali: dal semplice portiere (e di questo parleremo più attentamente) al magistrato, dalla signora popolare dei “rioni” al generale in pensione. Di tutto un po’, sapientemente distribuito con il bilancino delle stratificazioni sociali e culturali. La fiction ha avuto grande successo ed ha chiuso in bellezza con oltre 6 mln di telespettatori. Non sono numeri da record di Montalbano o di Don Matteo ma sono significativi. Di “Mina Settembre”, specie nella sua conclusione, un aspetto colpisce in modo particolare: un tratteggio collettivo rasposo e amaro del carattere degli italiani, frastornati e confusi dal Covid. Quali sono i tratti salienti di Mina e dei suoi comprimari? Il suo agire è finalizzato al bene comune animato da un forte senso di giustizia “sociale”, il sano ottimismo e perbenismo di “andrà tutto bene”.  Sappiamo invece come è andata a finire. Mentre, sul piano personale/familiare/relazionale la protagonista, proprio come il Paese, vive in un mondo di confusione e zone grigie mai chiarite del suo passato. Alla sua ultima puntata di domenica scorsa, la fiction si conclude lasciando aperte molte soluzioni (anche sentimentali), più o meno esattamente come avviene nel Paese reale, dove tutto e il contrario di tutto è sempre possibile.

Dal fronte opposto, a Mediaset, spopolano i reality show: Il Grande Fratello Vip, l’Isola dei Famosi, la Pupa e il Secchione e simili. Tutti proposti e bene accompagnati da Maria De Filippi con i vari Amici, Uomini e donne e C’è Posta per te. In poche parole: si può affermare che la Rai propone, sostiene la narrazione del Paese attraverso la fiction mentre Mediaset la sorregge attraverso i giochi di simulazione e i confronti sociali/culturali? Si può anche sostenere sommariamente, che Rai riprende e metabolizza modelli di comportamento, stili di vita  e linguaggi già presenti nello svolgimento quotidiano della vita del Paese mentre, in qualche modo, Mediaset li anticipa e li propone? La composizione dei pubblici, la sua stratificazione geografica, per fasce di età, per scolarità, per fasce di reddito, porta a leggere una geografia molto disomogenea. Il pubblico “generalista” sembra dividersi in due grandi schieramenti: da un lato gli adulti, solitamente over 50, propenso ad un modello di narrazione più “morbida”, caratteristica delle fiction “buoniste” del genere “Che Dio ci aiuti” mentre i “giovani” sembrano orientarsi sempre più verso un modello di racconto più competitivo, tipico del reality show, e della tensione adrenalinica. Sul fondo di queste sommarie considerazioni, come al solito, emerge il tema delle risorse sulle quali contare: produrre fiction costa molto mentre “Amici” o “Il Grande fratello VIP” ora allungato all’inverosimile costa relativamente poco. Torniamo sempre al punto di partenza: le risorse economiche destinate alla televisione generalista. Ieri sono stati pubblicati i dati Nielsen sull’andamento del mercato pubblicitario 2020: una catastrofe attestata a – 10% con la raccolta WEB che per la prima volta supera quella Tv. La torta è piccola e non basta per tutti: ci attendiamo a breve una ripresa della tensione politica su questo fronte, ancora più forte ora con la presenza ufficiale del partito Mediaset nel Governo.

Anche per questo la Rai e il tema dei suoi conti in rosso previsti per il 2021 saranno, presto, una grossa polpetta avvelenata sulla tavola del Governo Draghi.

                                                                bloggorai@gmail.com

 

  


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