giovedì 18 febbraio 2021

La Comunicazione di Draghi tra ragione e sentimento

Questo Blog si occupa ormai da tre anni del futuro del Servizio Pubblico, in Italia e in Europa, e quindi di Rai. Dopo tante centinaia di post e vicini alle 100 mila visualizzazioni (manca poco) abbiamo raccolto una significativa conoscenza dei complicati meccanismi che ruotano intorno a questo problema che iniziano a girare e prendere forma, ovviamente, nel quadro politico e istituzionale.

Di cosa si compone un discorso politico? Semplice: anzitutto un contenuto, poi una forma con cui viene esposto e un contesto nel quale si colloca. Vi proponiamo un esercizio molto utile per comprendere l’avvio del Governo Draghi e le prospettive che lascia intravvedere per quanto ci interessa: il confronto del suo discorso tenuto al Senato al momento della richiesta della fiducia con quello del 5 giugno 2018 fatto da Giuseppe Conte  

Draghi: https://www.youtube.com/watch?v=BoBbntrVBp8   

Conte: https://www.youtube.com/watch?v=zFm54EwGlMo&t=270s

Osservate attentamente la forma espositiva, il modello narrativo, e a distanza di tre anni annotate le differenze nel contesto di quanto è successo.

Ricorderete come, nei giorni scorsi, abbiamo sollevato con attenzione il tema della comunicazione di questo nuovo esecutivo (vedi post del 6 e del 9 febbraio) e, in particolare con riferimento alla coesione sociale e al consenso che Draghi dovrà conquistare non solo nelle aule parlamentari. Giacché, di questo si tratta: ottenere la maggioranza dei voti da questi partiti, da questi deputati e senatori che nel giro di pochi anni hanno cambiato più governi e casacche di Carlo in Francia potrebbe anche essere facile. Ottenere il consenso, la fiducia, l’adesione degli italiani al suo programma di governo potrebbe essere alquanto più complicato. Ricordava De Rita nei giorni scorsi, appunto, che non è sufficiente la sola “tecnica” il “saper fare”. È necessario anche saperlo “comunicare”, cioè mettere a fattor comune il proprio agire, renderlo condiviso e accettato.

Come è stato il discorso di Draghi ieri al Senato? Ha informato ma non ha emozionato, ha comunicato ma non ha entusiasmato, ha letto ma non ha spiegato, ha indirizzato il suo “messaggio” alla mente e non al cuore, ha colpito la ragione e non il sentimento.

Per quanto riguarda il contenuto, ci sarebbe molto da dire ma non è questa la sede. Le osservazioni si potrebbero riferire più a ciò che non è stato detto, o non è stato esposto compiutamente, piuttosto che a generiche (per quanto importanti) dichiarazioni di buoni propositi che, ovviamente, non possono che suscitare unanimi e favorevoli adesioni. Vi proponiamo quindi di soffermarvi per pochi istanti su alcuni aspetti relativi alla sua peculiare “forma” di comunicazione politica. Come noto, ognuno di noi comunica anzitutto con il proprio corpo, con la postura, la gestualità, e segnatamente con gli sguardi, con gli occhi. Poi si comunica con la voce e quindi con la sua cadenza, ritmo, volume e tono. Draghi inizia a parlare e lo sguardo è rivolto sui fogli che ha in mano e legge. I suoi occhi solo in modo rapido e fugace sono rivolti verso chi ascolta e così sarà per tutta la durata dell’intervento. Quasi mai si sofferma con lo sguardo verso chi ascolta. La lettura è attenta e didascalica, precisa e puntuale come una lama di bisturi. Monocorde come una lastra di ghiaccio. L’applauso più sentito lo riscuote quanto ritorna “umano” e chiede se può sedersi.

Attenzione agli occhi: l’arte oratoria poggia sul pilastro fondamentale dello sguardo. Quando ci si rivolge a qualcuno e si intende comunicare con forza il proprio messaggio si guarda dritti negli occhi, la cosiddetta “porta dell’anima”. Non è difficile cogliere nello sguardo di Draghi un versante obliquo (in Rai ricorda qualcuno???). Nel suo stile di comunicazione e per una parte della sua postura ricorda un “estremista” in materia: Enrico Cuccia, che non dichiarava una parola alla stampa nemmeno sotto tortura.

Ora cerchiamo di ricondurre queste sommarie considerazioni al nostro ambiente: la comunicazione audiovisiva. Le precedenti esperienze del governo Conte hanno evidenziato il rafforzamento e la diffusione di un “sistema” di comunicazione istituzionale ormai divenuto strutturale e pressoché inderogabile. Difficile fare a meno dei “social” dove, in primo luogo, si è rafforzata la diretta Web, e l’immediatezza del messaggio. “Anywhere … anytime” e con ogni mezzo: PC, cellulari, tablet, smart Tv etc. La cosiddetta “disintermediazione” tra emittente del messaggio e destinatario ha tagliato i passaggi occasionali e irrilevanti. Dunque, anche la comunicazione istituzionale non ha potuto e non potrà essere zona franca in questo processo forse irreversibile. Draghi potrà o vorrà fare a meno di tutto questo?

Vedremo verso la Rai quali saranno le scelte che presto dovrà compiere, a partire dal rinnovo del suo vertice e, a seguire, del risanamento delle sue finanze che per l’anno in corso potrebbero portare verso una zona grigia pericolosa.

Questa mattina su Repubblica, Roberto Mania ha descritto questo nuovo “clima” del Governo Draghi e della sua portavoce Paola Ansuini: “Niente (o quasi) social, niente gruppi su WhatsApp, niente storytelling. Poche parole legate sempre ai fatti”…” Come è sempre stato alla Banca centrale, com' è nelle istituzioni europee dove non si commentano mai i rumors e, certamente, non si creano”.

Non siamo del tutto convinti che la “strategia del silenzio” ovvero dell’uso silenziato delle notizie sia un bene. Non siamo del tutto convinti che il necessario consenso che un governo deve avere tra i cittadini si possa ottenere in modo indipendente da come questi ultimi comunicano solitamente tra loro. Non siamo convinti che la “tecnica” sia una categoria dello spirito. Vi riproponiamo la lettura di Carlos Castaneda, Il Potere del Silenzio (lo trovate anche gratis in PDF).

bloggorai@gmail.com

 

 

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