Da alcuni giorni si fa gran parlare del possibile ritorno dell’Ulivo. Da alcuni tempi, anni, si fa gran parlare del possibile ritorno di un “grande centro” nel panorama politico del Paese. Un argomento “trasversale” che interessa un po’ tutti. Da alcuni mesi, in particolare, si leggono e si intravedono sulla scena “dem” personaggi “forever young”: Prodi, Gentiloni e buon ultimo Franceschini.
Loro, e ovviamente
non solo, sono stati direttamente e indirettamente, artefici e protagonisti di
tante vicende Rai e sempre loro potranno esserlo ancora già dai prossimi
giorni, settimane e mesi.
Prodi. Tutto inizia da qui: “Fu il governo Ciampi nel ’93 a chiedermi di impostare un programma di privatizzazioni da capo dell’Istituto (IRI)”. Due anni dopo al referendum dichiara: “Voto a favore della privatizzazione”. A seguire: “Fnsi e Usigrai: smentisca, bomba contro il servizio pubblico «Rai da privatizzare» Polemica su Prodi” Unità del 14/2/1997. Si legge: “Sono per la privatizzazione della Rai” … Immediate le reazioni alle parole di Romano Prodi. Innanzitutto dall’interno dell’azienda. «Prodi lancia una bomba contro la Rai e contro il lavoro del suo stesso governo per il riordino dell’emittenza» scrive in un comunicato il segretario dell’Usigrai, Roberto Natale”. Chi si rivede!
Nel ’95 passa il referendum sulla privatizzazione e poi viene dimenticato. Comunque, quel germe, quel pensierino sottile intimo e profondo, ha lasciato il segno e, in modo o nell’altro, non sono pochi coloro che ancora oggi guardano il futuro della Rai privatizzata, in tutto in parte. Solo che non è mai chiaro del tutto se si debba intendere la sola “azienda” o il Servizio Pubblico che essa esercita in concessione dallo Stato.
Poi, un bel giorno, arriva Paolo Gentiloni, ex marxista leninista della prima ora, anni ’70, poi
ravveduto a più miti e garbati consigli come tanti altri. La Rai occupa subito i
suoi pensieri: prima come Presidente della Commissione di Vigilanza Rai
(2005-2006) e poi come ministro delle Comunicazioni (2006-2008). Diventerà poi pure
Presidente del Consiglio dopo il Governo Renzi, dove è stato peraltro suo autorevole
ministro. Nell’ottobre 2006 presenta una proposta di legge: “Due sono le
debolezze strutturali su cui il disegno di legge intende intervenire: l’assetto
oligopolistico del sistema, con una concentrazione di risorse economiche,
tecniche e di audience senza paragoni in Europa in capo ai due maggiori
broadcasters, e la situazione largamente compromessa dello spettro frequenziale
…”. La Stampa del gennaio 2007
titola: “Gentiloni: la Rai sarà divisa in tre. Per staccarla dall'influenza
del governo, la gestione verrà affidata a una fondazione”. Zacchete! Ecco comparire
per la prima volta il tema della “fondazione”. Poi, interessante, prevede
che “ … una
RaiWay che gestisce gli impianti trasmissivi e in prospettiva faccia entrare
capitali privati”. Cosa poi puntualmente avvenuta nel 2014. A farla breve,
il DDL Gentiloni andrà a prendere polvere negli archivi (vedi “La RAI che non
vedrai” Milano 2007).
Poi, infine, arriva il ministro della
Cultura Dario Franceschini in quella
carica per ben sette anni e tre governi: Renzi, Conte e Draghi. La sa lunga e
la sa raccontare. Di lui si raccontano miti e leggende su come e su quanto avrebbe
“sostenuto” amici, i soliti amici, dentro e intorno Viale Mazzini. Of course,
gossip dei soliti invidiosi e non ne teniamo conto. La pietra miliare della sua
“attenzione” alla vita della Rai viene posta quando, dicembre 2021, propone
ItsArt, una specie di Netflix all’italiana dove però la Rai non ne fa parte, destinata ad estinguersi entro breve,
nessuno la ricorda più. La Vigilanza Rai ha bocciato il progetto e fine della
trasmissione.
Perché dedichiamo questa breve nota a
Franceschini? Semplice: perché potrebbe essere l’anello di congiunzione con il “quarto
incomodo”, ovvero Matteo Renzi che proprio sulla Rai ha detto e fatto molto e
potrà dire a fare molto ancora, di più. Si scrive di loro: “Franceschini,
Renzi e il ritorno di Gentiloni. Le trame del terzetto centrista turbano Elly”.
Già, il “grande centro” trama
sempre, è nella sua intrinseca natura e postura, ed ora è il suo momento. Dicesi
appunto “grande centro” proprio per la sua connaturata capacità di attrazione di
forze trasversali a destra quanto a sinistra (altrimenti non si chiamerebbe
centro). Forse, è proprio in questa area, in questa chiave, che sarà possibile superare lo “stallo
Rai” sulla presidenza. Potrà avvenire quando
dal “grande centro” arriverà il via libera alla Agnes oppure quando
sempre dal “grande centro” potrà far emergere un diverso e più vasto consenso intorno ad
un “nuovo nome” ancora tenuto rigorosamente sottotraccia?
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