Il racconto della storia, il suo svolgimento e la sua “narrazione” come oggi si usa molto
dire, richiede spesso simboli, icone e segni in grado di rendere sintesi efficaci
e facilmente comprensibili e memorizzabili. Sono le sue “immagini” che rendono
possibile immediatamente la sua natura intima e
profonda, essenziale e primordiale.
L’anno che è appena cominciato per la RAI e per il Servizio
Pubblico mette subito in agenda un colpo ad una delle sue immagini più
significative: il Cavallo di Viale Mazzini. Da qui a breve dovrà iniziare
il trasloco (chissà quanto temporaneo) della storica sede che dovrà subire una
profonda ristrutturazione e bonifica dall’amianto. Notizia di questa mattina da
MF: “Base d'asta di 122 milioni per ristrutturare la sede Rai di viale Mazzini”
È verosimile che il cavallo, nel frattempo, dovrà essere “protetto”
da teli e impalcature. Il Cavallo era già ferito e stanco di suo. Chissà quando
lo rivedremo e chissà che Rai ci sarà a quel tempo. Leggiamo sempre su MF: “… il
rientro in viale Mazzini non potrebbe avvenire prima del 2029”. Chissà se pure
Bloggorai ci sarà ancora.
Si tratta, appunto, di un segno, di un’epoca che si appresta
a terminare e di una che si paventa dietro l’angolo, ricca di incognite e
problemi. Tanti, troppi e tutti insieme. Il segno essenziale che si coglie è
quello del declino, lento, inesorabile e implacabile. Non è un De profundis
e nessuno celebra l’inizio della fine. Si tratta solo di prendere atto di un
fenomeno in corso per capire se e come esiste uno “spazio di manovra” o una “exit
strategy”. In altri paesi ci provano. E noi? È bene sempre ricordare che questo
declino è iniziato da tempo, da anni,
tanti anni. Tanti, troppi. Si potrà invertire la rotta e cambiare segno di
direzione e chi potrà essere il driver di questa ipotetica possibilità? Cerchiamo
di vedere.
La “nuova” Rai e il “nuovo Servizio Pubblico”. Questo
forse è il segno più tangibile del “declino”. Se ne parla da anni, tanti, della
necessità di fare una riforma e ancora non è affatto chiaro se si intende una
riforma della sola Rai (e più specificamente della sola governance) o di tutto il
sistema radiotelevisivo e audiovisivo nazionale. Alla Commissione LP del Senato
giacciono le famigerate 7 proposte di riforma Rai tutte, appunto, con l’biettivo
di mettere mano alla modifica della legge 220 del 2015, ovvero dei meccanismi
di nomina e formazione della governance aziendale. Ne manca una e non è cosa
da poco: quella di Forza Italia tanto promessa da Gasparri un mese addietro e
non ancora pervenuta. Si può supporre che possa essere assunta come quella
sostenuta del Governo e forse proprio per questo tarda ad essere “confezionata”.
Il giorno dopo il 26 settembre alcuni hanno festeggiato la “calendarizzazione”
del dibattito sulle riforme, giusto per dimenticare l’onta del tradimento del
sacro principio del “prima la riforma e poi le nomine” e abbiamo visto come è
andata a finire. Nel merito: il perno di qualsiasi riforma che dir si voglia è
pressoché assente: la missione ovvero cosa dovrà fare della RAI, come e con quali
risorse. Nessuno o quasi ne parla. Poi, tutte le 7 proposte affrontano il tema
canone o mirando alla sua abolizione (M5S) o mettendolo in secondo piano per
non dire ignorandolo del tutto come quelle del PD che non lo citano nemmeno di sfuggita.
Infine, le proposte quando affrontano il tema della governance introducono una
relativa novità: la creazione di una “fondazione” incaricata di gestire e
indirizzare le attività dell’Azienda. Ne abbiamo scritto a lungo: si tratta di
un germe di privatizzazione più o meno palese. Anche questa non è una
novità: da decenni si dibatte sul se e sul quanto sia vantaggioso che il SP
possa essere privatizzato in tutto o in parte. Certo è che, forse, quest’anno è
verosimile supporre che ci potrà essere qualche passetto avanti: il Governo ha
iniziato ad accennare qualcosa già dallo scorso maggio. Ne parliamo meglio più
avanti quando parleremo di RAI Way.
Rimaniamo sul tema “riforme”. Una è arrivata in sordina,
quasi inaspettata e sembrava destinata a colpire subito e forte: il Media
Freedom Act. Ha dispiegato la sua portata dirompente proprio durante il passaggio
dal vecchio al nuovo Cda di Viale Mazzini. Peccato che nessuno, o quasi, se n’è
accorto e ne ha voluto tener conto. Era un’occasione formidabile per rompere il
diabolico e perverso meccanismo di appropriazione del Palazzo da parte del Governo.
Sprecata: il 26 settembre hanno tirato fuori
i nomi dal cilindro che, verosimile, rimarranno fino a fine mandato cioè al
2027, alla vigilia della scadenza della Concessione che forse era propri l’obiettivo
che si intendeva raggiungere: avere un Cda sotto controllo proprio in quella
funzione e prospettiva. Già, perché, come abbiamo scritto, il MFA non prevede
alcun meccanismo di revoca. A metà anno il
MFA dovrebbe entrare nella sua fase più operativa e per quella data ci dovrebbe
essere in piedi la riforma: nessuno ci crede, il Governo non ha fretta.
In coda a tutto questo, l’anno che verrà si apre con l’incognita
presidenza tutta aperta. Nessuno, oggi, è in grado di sapere se come potrà
essere risolto: Agnes si o Agnes no? L’ultima che abbiamo letto nei giorni
scorsi si riferisce ad una frangia dell’opposizione, AVS, dove la maggioranza
vorrebbe “attingere” per trovare i due voti che gli mancano in Vigilanza. Il presunto
nome “autorevole e di garanzia” che l’opposizione voterebbe nessuno sa chi mai
potrebbe essere e nomi non ce ne sono. “Hic manebimus optime” pensa la Lega con
Marano presidente seppure pro tempore. Siamo fermi a dove eravamo partiti e
alcuni ottimisti ritengono che si potrà attendere Sanremo. Perché? non c’è
alcun nesso ma va bene così.
Le risorse economiche. Si è chiusa la partita canone giocata
tutta interna la maggioranza mentre l’opposizione stava a guardare. È stata una
partita tra “scapoli” della Lega e “ammogliati” di Forza Italia (beninteso, ammogliati
con Mediaset) mentre FdI (Meloni) faceva da arbitro (un tantinello di parte
verso gli ammogliati) e stava a guardare. Ma la partita non è finita: ha perso
la Lega e qualcosa in cambio dovrà pure ottenere, dentro fuori la RAI. Dentro la Rai c’è tanto da spartire (ancora
due testate da assegnare, Tg3 e TgR) per non dire la partita RAI Way. Forse sarà
questa la partita centrale dell’anno appena iniziato: intorno al “malloppo” della
quotata di Via Teulada si gioca un pezzo di sopravvivenza economica della RAI.
Il famigerato “piano industriale” collegato e subordinato al Contratto di
Servizio, poggia su quei soldi: si parlava di 190 mln poi scesi a 120 mln che
ancora non ci sono e nessuno sa quando ci saranno. Poco prima di Natale si è
letto di un MoU, ovvero un accordo di intenti con Ei Tower per “iniziare a
discutere” ovvero “faremo, vedremo e valuteremo” proprio come è avvenuto dal 2016
quando RAI Way è entrata in Borsa. Sarà il2025 l’anno buono? Abbiamo seri dubbi.
Anche noi “vedremo”.
Su questo terreno si dovrà poi tener conto necessariamente dell’evoluzione
del mercato pubblicitario. Il 2024 è stato di “vacche grasse” per gli eventi sportivi
(olimpiadi e calcio) nonché Sanremo. Quest’anno potrebbe non avere lo stesso
segno: è possibile che Sanremo possa mantenere una sua “quota” indipendentemente
da chi lo conduce ma gli aventi sportivi non ci saranno. Vedremo. Abbiamo scritto
che a Rai Pubblicità qualcosa è un movimento: il tema sono appunto gli obiettivi
da raggiungere per l’anno in corso. Tagliavia è uscito forse proprio per questo
motivo. Forse. Rimane che non c’è da stare allegri.
Segue …
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