lunedì 30 gennaio 2023

Le mezze verità di Governo e Rai


Il giorno delle tante mezze verità è arrivato e non ci dice nulla di più di quanto era già noto. Un attento, molto informato e acuto lettore ha sintetizzato il voto di stamattina in Cda con una frase lapidaria “Il Governo non è pronto”. È vero ma è solo una parte delle mezza verità. Vediamone alcune altre.

Prima mezza verità: il governo se vuole è pronto. Se vuole, può fare e disfare a volontà. Può fare accordi e cogliere obiettivi a piacimento. Ha due alleati di governo con i quali può, per interposta persona, fare e disfare tutti i Fuortes del mondo: bastava una telefonata a Salvini e Berlusconi e dirgli chiaro e tondo: “Chiamate i vostri in Cda, fategli alzare le chiappe  e ditegli di votare contro, poi tra di noi, ci mettiamo d’accordo”. Meloni non ha potuto o voluto farlo? Ci ha provato e i due gli hanno risposto picche? No, non è vero che il “Governo non è pronto”: si potrebbe meglio dire che “non si è preparato”. Un lancio di agenzia poco fa ha titolato: “Fuortes perde la fiducia del centrodestra e M5S”. Magari ne ha guadagnata da altre parti.

Seconda mezza verità: il Governo non  è pronto nel nome, nel tempo e nello spazio. Non ha un candidato forte, autorevole e credibile tra i vari personaggetti interni a Viale Mazzini e nessuno tra gli esterni ancora palesato all’orizzonte. Tra i nomi circolati a sostituire Fuortes non ne emerge uno meritevole di nota. Non uno tra quelli “in quota” e, tra gli esterni, l’unico che circolava con insistenza con qualche plausibilità è svanito nel nulla sotto i colpi di una possibile “incombenza” giudiziaria. Si, da questo punto di vista il Governo non è pronto: non ha un nome. Il solo che hanno fatto circolare, Giampaolo Rossi, sembra essere stato messo in frigorifero.

Non è poi pronto nel tempo. Questa è una fase delicatissima di transizione per il Servizio Pubblico: troppi, tanti problemi incombono e non è facile gestirli in un contesto molto incerto e confuso. Lo abbiamo scritto e ne siamo convinti: la partita Rai è di serie B mentre la Champions League la giocano lontano da Viale Mazzini. No: il Governo non è pronto perché non ha un’agenda con il titolo “Rai”. Il Governo non ha dato segnali di fumo: non è questa una priorità e su questa non ha idee, visioni o programmi noti.

Non è poi pronto nel merito. Ci sono in ballo non solo i grandi problemi del rinnovo del Contratto di Servizio e del Piano Industriale ma tutto ciò che è dentro e fuori il perimetro Rai: la rete unica, il polo delle torri, il riassetto del mercato  pubblicitario e, last but not least, quello che ci richiede Bruxelles (canone,  European Media Freedom Act - Proposal for a Regulation and Recommendation etc.).

Terza mezza verità. Il voto di oggi è “politico” e non si riferisce solo ad argomenti subordinati per quanto rilevanti. Non c’è da approvare un budget mezzo buono o mezzo cattivo: c’è un budget che si regge o non si regge, difficile supporre che si possa reggere a metà, un pezzo si e uno no, oggi forse e domani chissà. Vediamo il voto dei consiglieri: la Bria ha fato sapere di aver votato a favore per “non consegnare la Rai alla destra”. Argomento al confine della logica e realtà. Delle due l’una: o si vota sul budget e ci si esprime su quel merito o si vota per lo schieramento politico della Rai. Ci si può preoccupare del secondo aspetto ma allora si vota contro il primo che con il secondo non dovrebbe aver riferimento. La Bria, ovvero il PD hanno un disegno, una trama in corso? Agnes e Di Biasio sono un caso a parte: obbediscono. La non partecipazione al voto è un chiaro e forte segnale politico verso la componente maggioritaria del governo: cara Giorgia, siamo noi a decidere e non tu. Di Majo è e resta all’opposizione, l’unica che al momento si palesa evidente contro questo Governo e i suoi derivati. L’astensione “tecnica” e non politica di Laganà non è di facile comprensione: in questo momento ed ora per allora non ci sono in discussione piani di produzione  progetti editoriali che siano ma solo una nuova guida dell’Azienda per l’immediato futuro. La domanda alla quale rispondere è molto semplice: Fuortes&C sono adeguati a gestire l’Azienda nelle determinate circostanze?

Quarta mezza verità. La Meloni, per ora e solo per ora, incassa e porta a casa un qualcosa che "cosa" non è. Nel grande gioco la partita è sempre riferita alla Rai figlia di un governo minore. Prima di Draghi ora di quel che resta del PD. La Meloni con il voto di stamattina ne esce sconfitta sotto i colpi di Lega e FI oppure il suo presunto asse con Fuortes&C ne esce rinforzato? Ne l’una ne l’altra ipotesi reggono in modo granitico: Giorgia per ora in cambio della sopravvivenza dell’AD potrebbe portare a casa qualche rimasuglio di bassa cucina con una nomina qua e una la ma non è questo il cuore del problema: scaramucce, robetta. Non ne esce sconfitta perché porta a casa il mantenimento di Fuortes al posto di comando, almeno per ora, che gli garantisce anche tramite intermediari autorevoli (Vespa&C) la presa sull’informazione. Poi, si vedrà … “dopo” Sanremo, “dopo” le regionali ..comunque  “dopo”. Non ne esce però con la vittoria in mano perché non ha modificato di una virgola gli assetti “politici” dell’Azienda che non conosce e non capisce. Il “suo” uomo Rossi da un po’ di tempo a questa parte appare distinto e distante da Viale Mazzini.

Altre e tante mezze verità ci attendono da rilevare.

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