Si fa prima a cercare le cose non dette e non scritte che non a leggere quello che passa il convento della carta stampata. Passa poco e solitamente minestrina ripassata in padella. Vedi oggi: il ritorno di Minoli con Mixer 40 anni dopo, accolto con grande attenzione da quasi tutte le testate. Misteri della fede giornalistica: quando si tratta di sparare minchiate sulla qualunque diventano tutti Premi Pulitzer. Comunque, si tratta di notizia di grande rilievo, robetta di primo pelo, una vera chicca, una primizia di stagione. Attenzione: non si tratta di una nuova serie della storica trasmissione, nuove interviste, magari con nuovo linguaggio adattato al nuovo secolo ma dello stesso Mixer, con il fior fiore degli stessi personaggi, di 40 anni addietro. Intendiamoci, siamo sempre stati convinti che non si può comprendere il presente se non si conosce il passato. Ma, in questo caso, si tratta allora di una trasmissione da Rai Storia, da Techedeche, da Villa Arzilla in salsa moderna che, non a caso, si accompagna benissimo alla notizia dell’eterno ritorno di Al Bano, Gianni Morandi e Massimo Ranieri a Sanremo. Sostiene il giovane Giovanni dall’alto dei suoi 77 anni ben portati “Avevo bisogno di risentire il valore fondamentale del fare tv. Stare dentro l'anima della Rai con lo spirito del servizio pubblico…”. Ben detto!!! Comunque, per capire bene la caratura del personaggio e del perchè ritorna in Rai 40 anni dopo è sufficiente rileggere quanto scritto su di lui da Aldo Grasso nel gennaio 1998: eravamo agli sgoccioli della Prima Repubblica che, forse, non si è mai estinta del tutto. Vedi: https://web.archive.org/web/20121027013320/http://archiviostorico.corriere.it/1998/gennaio/27/Melandri_cugino_Minoli_guerra_Iseppi_co_0_9801271277.shtml
Chiudiamo la notarella: credevamo chela competizione sugli ascolti fosse tutta sui giovani che abbandonano la Rai e invece ci dobbiamo ricredere: sono i pensionati, le arzille nonnette, gli sfaccendati dei Dopolavori e gli “umarel” del Servizio pubblico ad essere territorio di contesa. Basta saperlo.
Bene, anzi male, malissimo. Oggi si legge sul fatto Quotidiano una notizia che può dare un piccolo segno di come l’informazione pubblica sia in “sofferenza”: il titolo è “Quei bravi ragazzi della truppa Azov: la Rai dimentica nazismo e crimini” e si legge che “Ieri Rainews ha diffuso sui propri social un servizio su questo amabile battaglione, una formazione paramilitare ucraina di palese ispirazione nazista che da 8 anni combatte i russi nel Donbass”. Basta e avanza.
Però ci permette di proporre uno stralcio della lettera che TgCom24 di Mediaset ha pubblicato nei giorni scorsi (ripresa solo da Prima On Line) che undici noti inviati e corrispondenti di guerra delle principali testate giornalistiche hanno scritto lo scorso anno a proposito di come viene raccontata la guerra in Ucraina. Sono Massimo Alberizzi, Remigio Benni, Toni Capuozzo, Renzo Cianfanelli, Cristiano Laruffa, Alberto Negri, Giovanni Porzio, lo scomparso Amedeo Ricucci (RAI), Claudia Svampa, Vanna Vannuccini e Angela Virdò.
Ne condividiamo pienamente il contenuto e lo spirito.
“Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo".
"L’opinione pubblica spinta verso la corsa al riarmo” – Gli inviati, come ormai d’obbligo, premettono ciò che è persino superfluo: Qui nessuno sostiene che Vladimir Putin sia un agnellino mansueto. Lui è quello che ha scatenato la guerra e invaso brutalmente l’Ucraina. Lui è quello che ha lanciato missili provocando dolore e morte. Certo. Ma dobbiamo chiederci: è l’unico responsabile? Noi siamo solidali con l’Ucraina e il suo popolo, ma ci domandino perché e come è nata questa guerra. Non possiamo liquidare frettolosamente le motivazioni con una supposta pazzia di Putin“. Mentre, notano, “manca nella maggior parte dei media (soprattutto nei più grandi e diffusi) un’analisi profonda su quello che sta succedendo e, soprattutto, sul perché è successo”.
Già… la domanda che per alcuni è pure retorica e per altri persino fastidiosa, è sempre e solo la stessa: perché? Aggiungiamo: Perché le testate Rai non si sono mai poste il dubbio?
A proposito di dubbi: ieri abbiamo posto il tema del “peso” delle notizie” e della loro impaginazione, ovvero della collocazione in gerarchia. Avevamo qualche dubbio a proposito di come è stata raccontato l’assalto della destra bolsonara a Brasilia e poi, rivedendo la vignetta del Corriere di ieri, le perplessità sono aumentate. Si leggeva Lula che esclama nel fumetto “Nella polizia militare ci sono troppi amici di Bolsonaro. Per fortuna che è così poco efficiente che non sono riusciti ad arrestarmi”. Poi, La Stampa riporta le notizie dal Brasile in 16a pagina e allora, ricollocando pure il ritardo abissale della Rai sula notizia (sulla quale non si è letto pressochè nulla) il dubbio prende forma: non è che la vittoria di Lula può aver dato qualche fastidio anche in una certa “sinistra” che sinistra non è più?
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