giovedì 17 ottobre 2024

RAI: gli "allarmisti" e i silenzi del giorno dopo

Foto di b0red da Pixabay

La cosa più grande è sapere quando è giusto parlare e quando invece è giusto tacere. (L.A.Seneca) 

Bloggorai è ormai un libro di storia del Servizio Pubblico: basta sfogliare i post pubblicati in oltre 6 anni ininterrotti  e si ritrova tutto, non è sfuggito quasi nulla. Non ci è sfuggita ieri la dichiarazione del Ministro Giorgetti sul tema canone RAI che ha sostenuto “…quello dell'anno scorso,  è confermata la cosa che abbiamo fatto l'anno scorso". Già, la “cosa” ovvero la riduzione da 90 a 70 euro compensata con 430 mln erogati nel corso di quest’anno e prelevati dalla fiscalità generale.

Su questa “cosa” nessuno ha battuto ciglio allora e nessuno batte ciglio anche oggi. A partire da quando Bloggorai, da solo, ha denunciato a suo tempo: questa iniziativa del Governo si presta ad forte profilo di incostituzionalità per un evidente e semplice motivo: il canone è configurato dalla Legge come imposta di scopo ed è sottratto dalla discrezionalità del Governo come invece si attua in questa circostanza. Viene mutata la natura ordinamentale della Legge sul canone che la legge di bilancio non può alterare.

Se è il Governo a decidere se e come erogare la quota prelevata dalla fiscalità generale (vedi comma 20, art.1, Legge 213 del 2023 dove si legge che il finanziamento è dovuto per “Per il miglioramento della qualità del servizio pubblico radiofonico,  televisivo e multimediale su tutto il territorio nazionale, nell'ambito delle iniziative, previste dal contratto di servizio nazionale tra la società RAI-Radiotelevisione italiana S.p.A. e il Ministero delle imprese e del Made in Italy, di ammodernamento, sviluppo e  gestione infrastrutturale delle reti e delle piattaforme distributive, nonché  di realizzazione delle produzioni interne, radiotelevisive e multimediali” sta a significare che il Governo ingerisce pesantemente sull’autonomia gestionale del Servizio Pubblico ed entra in conflitto con il dettato costituzionale.

Lo abbiamo scritto chiaro e tondo lo scorso anno e lo ribadiamo quest’anno: nessuno se ne era allarmato allora e nessuno oggi. Vedi stamattina: nessuno ha riportato le notizia di Giorgetti. Come pure, gli stessi vertici di Viale Mazzini, a parti invertite Rossi/Sergio/Rossi, se ne sono guardati bene da intervenire e rilasciare un commento allora, lo scorso anno, come pure oggi. Ma ciò che ci appare più grave è ancora una volta dover constatare il silenzio, l’afasia che imprigiona l’opposizione su questo tema che non è nato ieri e tantomeno lo scorso anno. Lo stesso PD in epoca Renzi nel 2018 (rinforzato poi da Boccia l’anno successivo) aveva fatto emergere forte l’orientamento ad abolirlo. Eppure, siamo contornati da illustri costituzionalisti e fini giuristi, nonché parlamentari autorevoli spesso accompagnai da “esperti” di lunga data ma il tema canone proprio non riesce ad emergere. Vedi, tanto per capirci, le dichiarazioni di ieri del nuovo consigliere Rai Roberto Natale, pura espressione di quel partito che lo ha “nominato”, che nella loro proposta di Legge di riforma della RAI (PDL 1345 del 28 luglio 2023) il termine “canone” proprio non esiste, non viene mai menzionato.  

L’argomento canone, come abbiamo scritto più volte, è contingente, prevalente ed immediato e da solo mette in secondo piano, almeno temporale, ogni altra argomentazione, compresa quella sul prossimo MFA che all’art. 5.3 del MFA dispone che “Gli Stati membri provvedono affinché le procedure di finanziamento dei fornitori di media di servizio pubblico si basino su criteri trasparenti e oggettivi stabiliti in anticipo. Tali procedure di finanziamento garantiscono che i fornitori di media di servizio pubblico dispongano di risorse finanziarie adeguate, sostenibili e prevedibili corrispondenti all'adempimento della loro missione di servizio pubblico e alla capacità di sviluppo nell'ambito di tale missione. Tali risorse finanziarie sono tali da salvaguardare l'indipendenza editoriale dei fornitori di media di servizio pubblico”. Il verbo “provvedere” riferito alle procedure dei finanziamento del SP lascia intendere che si dovrebbe porre mano ad una nuova legge sul tema che invece non sembra proprio essere in calendario, salvo dover leggere che tra gli otto DDl e PDl in discussione al Senato almeno due prevedono esplicitamente l’abolizione del canone (M5S e Lega) e il relativo passaggio della copertura alla fiscalità generale, ovvero verosimilmente sotto il diretto controllo del Governo che dovrebbe erogare l’importo. Infine, mai si dice una parola sulla natura “culturale” del canone: perché i cittadini dovrebbero pagarlo, in cambio di cosa? È un tema spinoso, un dibattito che si preferisce non affrontare compiutamente perché andrebbe a toccare nervi scoperti sulla Rai, sul Servizio Pubblico, sul suo funzionamento, sull’uso delle risorse e sui contenuti che con esse vengono erogati.

Rimane insoluto un interrogativo: chi dovrebbe sollevare il dubbio di incostituzionalità su questa manovra del Governo sul canone 2025? Alla Corte non ci si presenta da soli: qualcuno dovrebbe sollevare il tema di fronte anzitutto in sede parlamentare, nella Commissione competente ovvero la sede immediata dove si potrebbe sollevare la possibile violazione di una norma costituzionale ben determinata. Successivamente, in parallelo si potrebbe ipotizzare un percorso di fronte ad un giudice ordinario che poi, a sua volta, potrebbe dichiarare la sua incompetenza e quindi rivolgersi alla Corte. Già, ma chi sarebbe il soggetto in questione? Forse la RAI stessa? Già ma quale RAI, quella di Governo o quella di "opposizione"? Bella domanda.

bloggorai@gmail.com


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