Ieri si sono svolti due avvenimenti sui quali merita soffermarci.
È stato presentato il VI Rapporto Auditel Censis con il titolo “La nuova Italia televisiva. Sorpasso delle Smart TV sui televisori tradizionali. Gli schermi connessi sono 97 milioni. Aumenta la fruizione in streaming dei network nazionali”. Sono emersi numeri interessanti tra i quali spicca quello relativo alle Smart Tv presenti nel nostro Paese: “Il 2023 sarà ricordato anche come l’anno del sorpasso delle Smart TV sulle TV tradizionali: oggi nelle case degli italiani ci sono complessivamente 21 milioni di Smart TV e 20 milioni e mezzo di TV tradizionali”. Si tratta di una tendenza già evidenziata da tempo che ora ha preso forma concreta con il “sorpasso” del vecchio apparato televisivo con uno di nuova generazione: da molti anni quasi tutte le Tv commercializzate sono Smart con tutte le note conseguenze che ne derivano. Per il”vecchio” digitale terrestre, seppure rivisto e corretto in salsa DVB-T2, si preannuncia l’inizio delle fine: le Smart Tv nascono già predisposte e “connesse” alla rete per non dire che vengono fornite al momento dell’acquisto con un telecomando dove, bene che vada, sono predisposti i tasti di accesso ai vari Netflix etc. oppure non si non più i tasti numerici. Il titolo del rapporto è ben congegnato ma carente: non solo una “nuova Italia Televisiva" ma anche una “nuova televisione” con nuovi modelli produttivi e contenuti adeguati alle nuove piattaforme e modalità di diffusione. Sono cambiati gli italiani e, di conseguenza,anche i loro stili di vita e di fruizione di prodotti audiovisivi che, appunto, oggi si rivolgono prevalentemente ad un consumo “smart”.
La domanda che si pone, per quanto interessa prevalentemente questo Blog, è una sola e molto semplice: il Servizio pubblico prima e la RAI poi sono attrezzati a sostenere questa sfida, questo cambiamento epocale? Grossomodo si potrebbe dire di no. Una piccola controprova si è vista plasticamente ieri pomeriggio alla presentazione del Rapporto: non era presente nessuno tra i vertici operativi, Presidente, AD, Dg o qualche Direttore qualsiasi dell’Azienda che avrebbero dovuto esserci, compresa la nuova direttrice del Marketing RAI, Roberta Lucca, che pure, a questo argomento, dovrebbe essere la prima interessata. Si parla di Italia televisiva in una delle sedi più autorevoli e la RAI non c'é? Bizzarro! Questa assenza “simbolica” si accompagna sostanzialmente a quelle più rilevanti e sostanziali: l’approccio RAI alla “nuova televisione” è semplicemente e banalmente inadeguato, arretrato e insufficiente. Basti pensare allo zoccolo duro dei suoi telespettatori composto in larga prevalenza di over 55 al 74% (Standard Auditel Total Audience della scorsa settimana). Basti pensare che RAI Play arranca nella ricerca di una sua identità e capacità di essere qualcosa di oltre e diverso dalla semplice riproposizione dei contenuti già andati in onda, ovvero una “videoteca” on demand. La RAI è in grado di proporre e produrre contenuti idonei a questo nuovo modo di consumare immagini che non sono più destinate al solo teleschermo ma ai tanti diversi device? La Rai è adeguata a gestire questa nuova sfida verso i suoi telespettatori per sostenerli a crescere (e fidelizzare) su questo terreno? La RAI è in grado di proporre una “alfabetizzazione” tecnologica dei suoi utenti/telespettatori? Quanti di loro sono in grado di sapere se la loro televisione è smart TV? Quanti di loro sono in grado di accedere facilmente alla rete per avendo in casa una connessione? Conclusione: la “nuova Italia televisiva” sembra andare ( e crescere) da una parte e la “vecchia” Rai dalla parte opposta. Altri broadcaster, ne citiamo uno a caso … la BBC … da anni hanno cercato di correre ai ripari ed ha immaginato di “emigrare” dalla vecchia Tv digitale terrestre nei prossimi anni (“BBC preparing to go online-only over next decade”).
La seconda notizia di ieri è stata quella che abbiamo di poco anticipato sul post sempre di ieri: novità in vista per RAI Way? Oggi La Stampa titola (per l’ennesima volta): “Rispunta la fusione delle torri tv 150 milioni da Rai Way-Ei Towers”. I segnali erano, e sono, nell’aria da tempo: il Governo deve raschiare il fondo del barile per trovare soldi dovunque essi siano per compensare le minori risorse destinate a RAI a causa della riduzione del canone e a RAI Way i soldi ci sono e tanti pure. Ce ne sono tanti anzitutto per gli azionisti che si spartiscono lauti dividendi grazie pure al generoso contratto di servizio tra Rai e la sua quotata del valore di circa 200 mln di euro per anno. Ce ne potrebbero essere tanti per Ei Towers che dall’operazione ne trae indubbi vantaggi. Infine, ce ne potrebbero essere pure tanti per Viale Mazzini: “Portare nelle casse della Rai (quindi dello Stato) una cifra tra 100 e 150 milioni”. Sono anni che se ne parla senza fare un passo avanti. Chissà se questa volta il Governo ce la potrà fare? Forse si, tanto nessuno se ne accorge (vedi TIM).
Infine, da segnalare ieri sera la trasmissione di RAI Tre sull’orlo di una crisi di nervi: ha raccolto il solito ascolti da prefisso telefonico con poco più del 2% e, per sostenere questa deriva, ha invitato in studio nientepopodimenoche Sigfrido Ranucci. Ci mancherebbe, a tutto vantaggio di quel poco di buono che la RAI riesce a proporre sul giornalismo d’inchiesta ma forse, per quella trasmissione e per quella rete, occorre qualcosa di più.
bloggorai@gmail.com
PS. a quanto ci risulta, la scadenza del prossimo 10 gennaio per la transizione di un MUX RAI al DVB-T2 sarebbe rinviata, forse a giugno. Inutile sperare in un trattamento simmetrico con Mediaset. La prevista perdita di pubblico avverrà non in inverno ma all'inizio dell'estate. Consoliamoci!
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