lunedì 27 novembre 2023

La Televisione e il Colosseo dentro di noi


Popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori 

(si legge sul Colosseo quadrato dell’Eur).

Si richiede un aggiornamento: si tratta di un popolo di velisti, di golfisti, oggi di tennisti e, ora che arriva l’inverno se occorre  e necessario pure di “curlingisti”. I telespettatori accorrono a milioni e non ci facciamo mancare nulla quando si tratta di dedicare lo sguardo a qualche fenomeno che riscuote attenzione e facile consenso mediatico e ci riferiamo a eventi non solo sportivi. Si tratta di fenomeni sociali, culturali e politici noti da millenni e il Colosseo dietro l’angolo e dentro di noi, nel nostro antico DNA, ce lo ricorda costantemente. 

La domanda è se questo consenso sia endogeno o indotto da una pressione/tensione esterna che porta questi fenomeni in prima pagina e li rende particolarmente rilevanti, forse più di quanto sia reale, significativo e permanente il loro rilievo. Più specificamente: quale ruolo assume anzitutto la televisione nella definizione sociale di questo fenomeno con la forza potente delle sue immagini in diretta? Si tratta di interrogativi ai quali non è semplice rispondere, specie poi quando si estendono ad altri perimetri di interesse pubblico. Abbiamo sempre sotto gli occhi e non perdiamo mai di vista i contenuti del preziosissimo testo di Susan Sontag "Davanti al dolore degli altri".

Vedi, ad esempio, il fortissimo clamore sociale e mediatico che ha avuto il recente femminicidio di Giulia (il numero 106 dall’inizio dell’anno). È un numero drammatico e impressionante che pure era ed è sotto gli occhi di tutti da anni (mediamente 150 l’anno). La domanda è perché solo ora, per questa particolare circostanza, si è levata questa doverosa indignazione e protesta con larghissima eco mediatica? L’omicidio di Giulia non è stato meno brutale e violento delle tante altre donne che sono cadute vittime dei loro aguzzini parenti, mariti o fidanzati. È il fenomeno specifico che accende i riflettori della telecamere televisive o sono i riflettori che accendono/evidenziano il fenomeno? Quali sono i delicati meccanismi che si attivano nel racconto, nella percezione e nella formazione della coscienza collettiva quando succedono questi fatti? Non abbiamo una risposta pronta e sufficiente a comprendere il fenomeno, però ne avvertiamo l’esistenza specie per quanto riguarda l’influenza che esercita il mezzo televisivo nel determinare l’agenda dei temi all’ordine del giorno.

Come pure, in altro campo, ci riferiamo alla recente vicenda del ministro e del treno che si ferma a Ciampino. Ha avuto, giustamente, una grandissima attenzione che però non sembra equilibrata con l’attenzione che invece meritano altre notizie che pure non sono di rango inferiore per il rilievo “istituzionale” che rivestono. Vedi, ad esempio, il caso Gasparri: da settimane era noto che intorno al suo nome stava girando un’inchiesta di Report che, per una prima parte, è andata in onda ieri sera su Rai Tre dopo che, peraltro, era stata anticipata nei contenuti e nelle immagini, nei giorni precedenti. Per quanto abbiamo letto noi, solo stamattina alcuni quotidiani gli dedicano attenzione e spazio di pagina che però appare imparagonabile nelle proporzioni rispetto al caso Lollobrigida. Lo stesso fenomeno si avverte su radio e televisione: il “circo mediatico” per questa occasione è di serie B seppure si parla di un senatore che sino a pochi giorni addietro era vicepresidente del Senato e oggi è componente della Commissione di Vigilanza Tv, quella dove Gasparri si è presentato con la carota in mano. Perché questo fenomeno non sembra meritare almeno pari attenzione mediatica?

Infine, allarghiamo il campo: quanto sta avvenendo a Gaza in un così breve arco di tempo potrebbe essere di livello ben superiore alle tante atrocità alle quali abbiamo assistito negli ultimi anni: a fronte di circa 40 bambini massacrati dai terroristici Hamas, l’Unicef ha contato fino a ieri 4.609 bambini massacrati sotto i bombardamenti. La contabilità del terrore e dell’orrore sembra non finire qui perché, purtroppo, viste le condizioni delle strutture sanitarie di Gaza ridotte in macerie se ne dovranno aggiungere molti altri. Eppure, questi bambini sembrano fare “meno” notizia, sembrano avere “meno peso”, questi bambini sembrano essere “meno rilevanti” e pressoché imparagonabili nelle dimensioni spaziali e temporali non solo nel racconto di questa guerra ma anche rispetto ad altre guerre in corso (Ucraina) e altre recenti. Perché? Cosa è necessario oltre queste dimensioni per fare accendere i riflettori televisivi e attirare l’attenzione della pubblica opinione? 5.000 bambini morti in pochi giorni sono già troppi perché parlarne potrebbe suscitare reazioni politicamente poco sopportabili o sono troppo pochi per meritare adeguata attenzione mediatica? Anche in questo caso non abbiamo una risposta pronta e di facile consumo: avvertiamo solo l’esistenza del fenomeno e registriamo uno scarso interesse.

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