domenica 5 novembre 2023

Riforma Istituzionale e riforma RAI: la madre e il padre (o viceversa)

Foto di congerdesign da Pixabay

Pre-mie-ra-to --- Ser-vi-zio-pub-bli-co
La prima parola a ripeterla spesso sembra quasi un insulto alla lingua italiana (oltre, ovviamente, al senso generale della democrazia per il nostro Paese). Ma è la declinazione congiunta dei due termini che merita qualche riflessione sulla quale, dobbiamo constatare, ben pochi “amici” si sono cimentati.

La domanda è semplice: cosa potrà succedere nel futuro del Servizio Pubblico una volta che, ammesso e non concesso, la riforma istituzionale sul “pre-mie-ra-to” tanto voluta dalla Meloni venisse approvata? Per onore di cronaca, per quanto ci risulta, il solo che ha affrontato l’argomento è stato Giandomenico Crapis lo scorso 8 settembre sulle colonne del Fatto Quotidiano. Leggiamo prima il titolo e poi alcuni passaggi: “Il conflitto di interessi della Tv rende il premierato una follia” e poi “… C'è o no il problema di un oligopolio dove la metà delle tv generaliste e mano al leader storico della destra e ora, dopo la sua scomparsa a un gruppo fortemente legato alla sua eredità politica? Mediaset subirà solo restyling che la renda più presentabile del resto resterebbe sempre il imprevista del fondatore di Forza Italia e le radici non si recidono”… “infine, c’è un ultimo scenario. Mediaset passa di mano e il nuovo proprietario, a questo punto, potrebbe essere tentato anch’egli di scendere in campo o magari di scegliersi un candidato da sponsorizzare per l'elezione diretta o nella migliore delle ipotesi potrebbe disporre di uno strumento micidiale (una ventina di canali tra generalisti, digitali e pay) per condizionare gravemente la politica”.

Il tema è semplicemente la figura, il ruolo e il peso di “una persona forte al comando” che già a scriverlo questo concetto manda di traverso ogni tentativo di ragionamento politico.  Cominciamo a dire che da alcuni giorni si sente ripetere che si cerca di spacciare questa proposta come  “madre di tutte le riforme istituzionali” ma diciamo pure che il padre sembra ignoto e non si sa bene a chi imputare questa “gravidanza”. Invece, sotto sotto, scava e rifletti, qualcosa si trova e, per fatal combinazione, questo argomento si incrocia con la storia recente del Servizio Pubblico. Mettiamo per un attimo da parte le considerazioni di carattere storico e il fascino (fasci … o) che questo argomento sollecita alla destra di lotta e di governo e limitiamoci a rivedere quanto successo il 28 dicembre 2015, quando venne approvata la Legge n. 220 con titolo "Riforma della RAI e del servizio pubblico radiotelevisivo".

Ne abbiamo scritto molto, spesso e malvolentieri: quella si che è stata la “madre” di una riforma nefasta per il Servizio Pubblico, tanto nefasta da rimanere tutt’ora in odore di illegittimità costituzionale. A farla breve, ha messo sotto il tallone di ferro del Governo il controllo sul servizio Pubblico ed ha assegnato ad un “uomo solo al comando”, la nuova figura dell’Amministratore Delegato, la responsabilità della guida dell’Azienda. Sarà un caso che proprio il “padre” di questa riforma, Matteo Renzi, è lo stesso che si è dichiarato favorevole alla riforma proposta dalla Meloni? No, forse no. Sembra sottintesa la stessa riflessione, la stessa “cultura” e lo stesso intendimento di intervento sule riforme istituzionali che, in soldoni, mirano a restringere gli spazi di democrazia a favore di una sola persona con maggioro poteri di quanti ne ha un organismo collettivo. Questa Legge affida al Governo i poteri di nomina degli amministratori della Rai in modo talmente scellerato che, in uno scenario ancora più stressato da un “premier” forte, renderebbe la figura dell’AD ancora più “onnipotente” e dipendente dall’Esecutivo.

Basta rivedere quanto successo (e forse ancora in corso di svolgimento) sul tema riduzione del canone RAI: è stato sufficiente un battito d’ali a Cologno Monzese per farlo diventare un terremoto a Palazzo Chigi che ancora non ha deciso se si tratterà di 420, 430 o 440 mln più un eventuale “cadeau” di 100 mln per il Nuovo Piano industriale, da spalmare una tantum o su re anni per poi non sapere bene come utilizzarli (la “qualità”) ???  Nel mentre e nel quando, da Viale Mazzini, su questo fronte si ascoltava solo un imbarazzante silenzio o, ben peggio, un farfugliare sul recupero dei famigerati 110 mln dell’extragettito. Provate ad immaginare, seppure con un calendario molto diluito, cosa potrebbe accadere quando nel 2027 (dietro l’angolo) si dovrà andare al rinnovo della Concessione tra lo Stato e la RAI?

Ma, come abbiamo appena accennato ieri: mai una gioia. Quando mai capita di leggere o ascoltare dibattiti o riflessioni su questi temi? Boh !!!  

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