Annus Horribilis per la RAI. Non è ben chiaro però se si tratta dell’anno che sta per finire oppure di quello nuovo che presto avrà inizio.
Per l’anno in corso, ci sono tanti buoni motivi per ritenerlo non proprio dei migliori per Viale Mazzini. Ben che vada, ad essere ostinatamente ottimisti, c’è da far passare alla storia anzitutto il fallimento del nuovo Contratto di Servizio. Per la prima volta questo nuovo documento salta a piè pari tutta la delicata e complessa struttura di obblighi/doveri previsti nel precedente Contratto per passare ad una di generici impegni, traslati nel tanto discusso Allegato 1 di fumosa e discutibile applicazione. Nessun impegno, nessun obbligo reciproco. Ed il primo effetto è stato la novità della riduzione del canone, degno figlio della logica che ha ispirato il nuovo Contratto. Ha introdotto poi, per la prima volta, elementi fortemente improntati ad una logica, ad una architettura, prevalentemente privatistica a partire dai famigerati KPI (Key Performance Indicator) che in un corpus di Servizio Pubblico obbligatorio e universale si fatica a comprendere come si possano solo immaginare, definire e contabilizzare. Nota bene: argomento passato quasi del tutto sotto silenzio per tutta la durata della gestazione del Contratto. Per non dire della teoria della Media Company tutta da imbacuccare per quanto strampalata si configura.
Il 2023 poi sarà ricordato per l’anno della salita al VII piano della “nuova” destra, o meglio, del “ritorno” di una vecchia destra che non si è mai allontanata veramente da Viale Mazzini. Molti hanno dimenticato facilmente gli anni d’oro del Governo Berlusconi e della sua gente arrivata con gli scarponi di ferro a calpestare l’erbetta sotto il cavallo. La “struttura Delta” erano degli Accademici rispetto a tanti dilettanti allo sbaraglio che si vedono in giro. Troppo semplice, troppo banale, ricordare poi per quest’anno i buchi di bilancio, i fallimenti editoriali e i telespettatori che emigrano. C’è di meglio e di più. Il fenomeno relativamente nuovo al quale stiamo assistendo è il comporsi del mosaico, vedere tutte le tessere del disegno che vanno al loro posto, lentamente e inesorabilmente: la separazione concettuale tra RAI e Servizio Pubblico laddove la prima si proietta velocemente in una prospettiva di marginalità, di subordinazione e di complementarietà rispetto agli altri soggetti del mercato e, segnatamente, rispetto al suo diretto concorrente Mediaset che, per paradossale che possa apparire, oggi è il solo soggetto che difende il suolo del Servizio Pubblico.
Per gli scettici: ricordiamo la nostra osservazione sulla possibilità che questa manovra sul canone possa essere ritenuta incostituzionale. Ieri abbiamo scoperto che pure una parte del PD potrebbe essersene accorto (ma non lo dice): in Commissione Bilancio il Senatore Antonio Nicita che, pur conoscendo bene il tema (fa parte della Vigilanza RAI) ha sollevato la questione della “natura ordinamentale” della Legge di Bilancio su un altro argomento diverso dal canone. Ricordiamo che la Lege di Bilancio è sottoposta a due vincoli: la Legge Costituzionale n.1/12 e la Legge n.243 del 24/12/2012 laddove si recita che “Non possono essere previste norme di carattere ordinamentale e organizzatorio, ne interventi di natura localistica o territoriale”. In soldoni: la Legge di Bilancio non potrebbe intervenire sulla natura del canone. Qualcuno, dentro il PD e non solo, dovrebbe conoscere bene questo argomento eppure si avverte un silenzio e anomalo e ingiustificabile. Non si legge una riga, un commento, una dichiarazione politica se non quella di Pier Silvio Berlusconi (vedi articolo di ieri sul Corriere).
Ecco che si appresta così l’Anno Horribilis prossimo venturo. In ordine vediamo all’orizzonte: anzitutto l’avvio (beninteso, solo l’avvio) del dibattito in Cda (il prossimo 16 novembre) sul nuovo Piano industriale che, ricordiamo e sottolineiamo, è subordinato e conseguente al Nuovo Contratto di servizio che ancora non vede la luce. È fermo al ministero in attesa di “chiarimenti” per quanto, come noto, la Vigilanza ha espresso un parere “obbligatorio ma non vincolante” che, tradotto, può sempre significare che non ci sono vincolo alla possibilità che possano intervenire successive modifiche. Contratto di servizio e piano industriale per esser credibili e sostenibili hanno bisogno entrambi di certezze economiche e non ce n’è alcuna al momento, anzi. Tutta questa materia dovrà poi essere affrontata da un nuovo Cda RAI che si dovrà insediare a giugno prossimo (salvo proroghe per la concomitanza con le elezioni europee). È appena iniziata una battaglia dagli esiti molto incerti per la corsa al nuovo AD: dal che si leggeva quasi con assoluta certezza il destino sicuro di Giampaolo Rossi a questi giorni dove le cannonate si sprecano ad alzo zero contro di lui allorquando si annuncia già il nome di chi dovrebbe essere nelle migliori grazie della Meloni (Chiocci).
Poi, il prossimo 10 gennaio, come previsto dal nuovo Contratto, si dovrà attuare l’art. 15 che definisce il passaggio di un Mux RAI in DVB-T2 con tutti problemi e i rischi di cui spesso abbiamo parlato. Infine, ma nemmeno poi tanto infine, visto che si tratta di un possibile inizio, i ragionieri di Viale Mazzini dovranno fare i nuovi conti con le minori entrate che ci potranno essere in conseguenza della riduzione del canone. È verosimile che si potrà innescare un perverso e pericoloso gioco al ribasso: meno soldi, meno programmi, meno investimenti. Ma nel segno “meno” necessario ricordare pure “meno idee” che magari costano pure poco e, se funzionano rendono molto. Ma questo è tutt’altro tema che non è solo dell’Anno Horribilis.
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