Già, cosa succede nella cosiddetta “platea televisiva”? Vediamo cosa è successo martedi1.
Su un totale popolazione (circa 57 mln) rilevata in prima serata Auditel (20.30- 22.30) il totale emittenti ha raccolto circa 19 mln di telespettatori che si ripartiscono la platea lineare in parti pressoché simili tra RAI (6.119 mln), Mediaset (7.624 mln) e tutte la altre emittenti messe insieme. In soldoni, un giorno per l’altro, a seconda del palinsesto della serata più o meno appetibile per l’una o per l’altra emittente o altre messe insieme (l’altra sera Mediaset aveva una partita e Rai una replica) il pubblico televisivo si distribuisce equamente in diversi mondi dove il Servizio Pubblico non è più centrale. Poi, c’è tutto l’ascolto non rilevato, tutto il mondo che non vede la televisione broadcast ma si collega al broadband dove trova tutta la ricca offerta televisiva degli OTT sempre più agguerrita. Ed è un mondo che cresce in misura esponenziale.
Cosa ci porta a dedurre? Che RAI è una parte del tutto e non sempre rilevante. Se poi si apre il capitolo contenuti, ovvero l’offerta televisiva generalista, iniziano i dolori. L’informazione: si può fare a meno del Tg1? Anche si. Si può fare ameno dell’ennesima replica di Montalbano? Dipende, a Villa Arzilla ne sono appassionati. Si può fare meno della nuova trasmissione di RAI Tre Filorosso? Certamente si, tant’è che ha raccolto cifre di ascolti contabilizzate con il prefisso telefonico. Si può fare a meno della somma dei canali ematici che, messi tutti insieme, faticano ad arrivare al 5% di share (ivi compreso RAINews24 che quando va bene raccoglie share e ascoltatori da elenco telefonico di quartiere pur occupando quasi 200 giornalisti)??? E così via trotterellando.
Ed eccoci ai giorni nostri. Martedì sono stati presentati i palinsesti italiani Netflix e sono tutto un programma non tanto e non solo per i titoli potenzialmente interessanti ma per ciò che lasciano intravvedere in filigrana: semplicemente e sinteticamente vanno ad occupare gli spazi lasciati liberi da RAI. Vale sempre e comunque la regola d’oro: chi paga comanda, ovvero chi investe solitamente raccoglie e RAI non ha soldi da investire in innovazione di prodotti o tecnologie. Il corollario di questa regola è semplice: chi ha i contenuti vince, sempre. Vale per il grande sport, vale per le grandi produzioni cinematografiche, vale per tutti i generi dove si richiedono corposi investimenti. L’altro giorno abbiamo accennato ai documentari e citato la cifra che sembra essere quella destinata alla produzione, acquisto e coproduzione (ci dicono circa2,8 mln). Ma non si riesce a sapere quanto invece lo stesso genere è dissimulato in altri settori (es. RAI Uno con SuperQuark o RAI cultura etc). Come si diceva una volta: se non c’è acqua nello stagno , le papere non nuotano.
Ecco che si arriva al punto: visto che da pochi giorni abbiamo un “nostro agente all’Avana” londinese, sarebbe utile che ci raccontasse cosa la BBC sta immaginando per il suo futuro. Forse sarà il caso che anche in Italia qualcuno inizi a farlo.
Concludiamo con la spinosa vicenda del direttore Rai ricattato da una escort: tutto sotto il tappeto e liquidato con un fastidioso senso di “ci sono cose più importanti a cui pensare”. Certo, è vero. Ma chissà perché quando si toccano certi tasti delicati come la morale pubblica che interessa e invade la sfera privata spesso volentieri si sfugge, si preferisce derubricare tutto a gossip e pruderie più o meno personali. Alla fine della fiera, sentiti i tanti lettori di Bloggorai, quello che ne è uscito fuori con maggiore rilevanza si liquida con una battuta “Se l’è cercata e l’ha trovata … ed l’ha pure pagata cara … poveraccio … peggio per lui”. Amen. Però c’è chi dice pure (soliti complottisti) “Questa storia è saltata fuori perché dovevano fargliela pagare … e comunque, è servita a distogliere qualche attenzione o a mandare segnali”. Manco Cosa Nostra, N'drangheta e Camorra messe insieme sarebbe capace di tanto!!!
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