lunedì 11 settembre 2023

La RAI irritata e irritante

Foto di PDPics da Pixabay
La settimana inizia maluccio, con un certo malumore e fastidio. Ieri sul Corriere è comparsa un’intervista a Lilli Gruber dove si legge: Parliamo di tv. In Rai la destra ha fatto né più né meno quel che faceva la sinistra? O ha fatto peggio? «La Rai è irriformabile e la politica insaziabile. E leggo che Giorgia Meloni avrebbe stretto un patto con Marina Berlusconi per tutelare le aziende di famiglia. I cittadini che pagano il canone meriterebbero uno spettacolo più decoroso. E finalmente una legge sul conflitto di interessi».

Due osservazioni: la Rai irriformabile? Forse, è probabile che questo pensiero intercetta un sentire comune alquanto diffuso. Certamente da una parte c’è chi pensa che ci sia ancora molto di buono da salvare (da riformare) se si pensa all’assioma RAI=Servizio Pubblico e se poi questo viene connesso all’obbligo del pagamento del canone da parte di cittadini. Chi paga comanda e quindi, da questo punto di vista, ci sarebbe il sacrosanto obbligo di provare a riformare l’Azienda. Però, da che parte iniziare? Qui iniziano i dolori perché ci sono anzitutto le persone, chi ci lavora, dentro e fuori. Si tratta di modificare uno stato mentale ormai cementificato non facile da scalfire. Di questo si tratta, ogni altra scorciatoia non porta da nessuna parte. Una volta lo abbiamo scritto, al temine di un recente incontro svolto proprio dentro Viale Mazzini: "Non c'è niente da fare, se la riforma RAI non parte da dentro ... non partirà mai" ci dicevamo sconsolati tra chi vi ha partecipato. 

Dalla parte opposta c’è chi pensa che ormai sia tutto perduto, dentro e fuori Viale Mazzini. Anzitutto dentro perché, appunto, il “popolo RAI” sembra assuefatto ad una logica di sopravvivenza e di rassegnazione. Sopravvivere a se stessi oltre il buon senso e la logica e rassegnati ad un destino di lenta e inelluttabile marginalizzazione della propria identità aziendale. Come si può accettare indifferenti a logiche di nomine e spartizione di potere senza altro criterio se non quello della "quota" di appartenenza politica? Il pubblico giovane già è svanito, emigrato, e pure quello anziano, ormai quasi al 73% over 55 anni, assiste dormicchiando alla programmazione ininterrotta di Techedeche, Fiorello, Montalbano, Sanremo e un Posto al Sole. 

Si fa prima a dire buttiamo giù tutto e ricominciamo da un’altra Rai, da un altro Servizio Pubblico tutto da immaginare, tutto da scrivere. Ipotesi non del tutto peregrina.

A questo si accompagna la seconda parte dell’affermazione della Gruber: la politica insaziabile. È vero! Se la politica, pressoché tutta, continua a compiacersi di posizionare un proprio uomo o una propria donna ad una direzione quale che sia, c’è poco da fare. Se la politica, a corrente alternata, continua ad occuparsi di RAI come il “Libro dei sogni” (definizione di Zaccaria riferita al nuovo Contratto di Servizio) che mai verrà diventerà il Libro della Realtà, non c’è nulla da fare. Infine, dice la Gruber “… finalmente una legge sul conflitto di interesse”. Ci sarà pure un motivo per cui da decenni questo tema non è stato mai affrontato da tutti i governi di centro, di centrosinistra e di pseudo sinistra? Si c’è !!! Basta volerlo trovare.

Bene, tanto per rimanere sul tema della presunta irriformabilità della RAI vi proponiamo una riflessione su un pensiero che si colloca benissimo nell’ambiente “culturale” dove si dibatte di riforme. Si tratta di quanto abbiamo letto sabato scorso sul Fatto Quotidiano. Un commento a firma di Giovanni Valentini dove, a proposito dell’elezione del nuovo rappresentante dei dipendenti Rai al posto di Riccardo Laganà, ha scritto: “Ma qual è, o quale dev'essere, la sua identità e quale la sua estrazione professionale? Deve provenire ancora dalla base dei diecimila tecnici come Laganà, un fonico che lavorava negli studi dell'ex Dear di Roma, oppure dalla folta schiera dei duemila giornalisti Rai? E soprattutto, quale figura in questo frangente serve di più all'azienda, in vista del rinnovo del consiglio di amministrazione previsto a luglio? Posto che l'informazione è il core business del servizio pubblico, e considerando che questa si fonda necessariamente sull'indipendenza e sul pluralismo, le garanzie che possono offrire la professionalità e l'esperienza di un giornalista appaiono senz'altro maggiori. Tanto più che, dopo i due mandati consecutivi di Laganà, l'applicazione dell'alternanza fra le due categorie di dipendenti Rai sarebbe opportuna e ragionevole nell'interesse comune. Lui stesso s'era impegnato a rappresentare entrambe le anime dell'azienda, meritandosi l'apprezzamento dell'una e dell'altra”.

Evidente che Valentini conosce poco o nulla su chi lavora dentro la Rai. Non sa, ad esempio, che tra i dipendenti RAI non ci sono solo diecimila tecnici e duemila giornalisti ma una vastissima varietà di figure professionali molto diverse tra loro. Tra gli stessi giornalisti,  poi ci sono”anime” profondamente diverse tra loro, sia dal punto di vista professionale per non dire poi da quello politico. Non conosce poi la “storica” area grigia (eufemismo) che c’è tra le due parti citate (diciamo sommariamente “amministrativi”, impiegati, quadri e dirigenti). Non conosce, inoltre, la storia delle recenti consultazioni dove le diverse “anime” del popolo Rai si sono contrapposte frontalmente per eleggere il loro rappresentante. Poi, cosa significa  affermare che “… le garanzie che possono offrire la professionalità e l'esperienza di un giornalista appaiono senz'altro maggiori …” ??? Maggiori di chi?  Perché, a priori, un “tecnico” o un impiegato o un dirigente non le offrirebbe? Di cosa stiamo parlando? Gli oltre 12 mila dipendenti che voteranno il loro rappresentante in Cda, si spera, lo faranno indipendentemente dal fatto di appartenere ad una “categoria” quale che sia ma solo in relazione alla sua indipendenza, autonomia, esperienza e capacità. 

Punto e, speriamo, a capo. La “riforma” della Rai è verosimile che possa riguardare anche chi sta al fuori di essa.

bloggorai@gmail.com

 

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