Non c’è niente da fare: quando si tratta di fare qualche passo avanti e non si sa bene dove andare, spesso succede che si prende la scorciatoia di andare di lato o, peggio ancora, tornare indietro. Lo avevamo messo in conto, lo temevamo, e … zacchete ... eccoci qui a commentare il futuro dietro le nostre spalle. In queste circostanze, notoriamente, avviene spontaneo, di default, come istinto primigenio, che si voglia proporre un “tavolo di lavoro”, una commissione, un gruppo, un’assemblea, un circolo … la qualunque pur di dire “facciamo qualcosa”. Troppo facile ricordare “facite ammuina …”. Di cosa parliamo? Parliamo di quanto leggiamo oggi su alcuni giornali, una notiziola di tre righe già comparsa ieri: il PD vorrebbe presentare una Proposta di Legge sulla riforma della governance RAI dopo aver raccolto il consenso degli altri partiti di opposizione.
Ne abbiamo scritto tante volte e speriamo di non doverci tornare ancora. Non funziona o non dovrebbe funzionare così. Non funziona quando si tratta di affrontare un problema prendendolo dalla coda invece che dalla testa. Il solo, unico e grande problema della RAI e del Servizio Pubblico è che nessuno sa bene cosa farne, cosa dovrebbe essere nel suo prossimo ed imminente futuro laddove il fondamento della sua esistenza, la certificazione della sua necessità, è anche determinata dalla forma o modello di finanziamento. Non c’è nulla al mondo che possa funzionare se non sono chiare e certe le risorse e queste risorse, specie se raccolte dalle tasche dei cittadini, devono necessariamente avere una destinazione, uno scopo, una finalità. Se non è chiaro e condiviso questo semplice ragionamento, ogni altra proposta appare una pezza più piccola del buco che si vuole toppare.
La governance della RAI, di questa RAI, è solo un elemento subordinato e accessorio alla definizione di cosa dovrà essere, alla sua natura e alla sua missione. Dopo di che si potrà anche dibattere della sua governance che certamente dovrà essere diversa da quella attuale, laddove il Governo non possa esercitare nessuna funzione di controllo o ingerenza, ovvero superare la Legge 220 del 2015.
Nel merito di quanto si sente proporre (e parliamo sempre di idee ormai decotte da alcuni anni): abbiamo scritto che la Fondazione non ci sembra un modello condivisibile per tante buone ragioni, prima tra tutte quella che allontana il controllo pubblico parlamentare (al quale ancora crediamo) che arriva addirittura a proporre la soppressione della Vigilanza RAI. La Fondazione ci appare sempre più come un anticipo di un modello di privatizzazione sotto traccia, strisciante. Se è questo il terreno di confronto, se di questo si vuole parlare, va bene, parliamone. Abbiamo già scritto che si potrebbe riprendere un ragionamento di divisione dei destini: da una parte una RAI pubblica, finanziata dal canone, e dall’altra una RAI privata finanziata dalla pubblicità dalle convenzioni etc. Bene, ma appare del tutto evidente che parlare oggi, in queste determinate circostanze, di questa RAI, di questa Azienda, di una Fondazione che dovrebbe gestire le macerie del Servizio Pubblico è del tutto fuori tempo e fuori luogo.
Inoltre, tanto per rinfrescarci la memoria, si stanno aprendo i giochi di una stagione che potrebbe segnare profondamente il destino della RAI per i prossimi 3/5 anni (Contratto di Servizio, rinnovo Convenzione, canone) e su questi non si sente stormir di fronda. In sostanza, e chiudiamo, questa storiella della riforma della Governance ci appare ancora una volta sabbia negli occhi, polvere destinata a fare la stessa fine delle proposte precedenti: in un cassetto a nutrire gli acari della carta. Ammesso e non concesso che si possa arrivare ad un testo condiviso, con questo Governo (vedi la nota dichiarazione di Gasparri ad agosto “non ci sarà nessuna riforma”) passeranno mesi, anni e si arriverà ad un qualcosa di inimmaginabile: una RAI decotta e forse superflua, subordinata, irrilevante.
Nel frattempo, oggi sul sole 24 Ore si legge: “Tv, la difficile estate Rai Gli ascolti di Mediaset superano il servizio pubblico”. Ormai è un titolo che comincia a ripetersi spesso e volentieri ad ogni cambio di stagione. Come si dice: tre frequenze fanno una tendenza, tre tendenze fanno una certezza. Ecco, parliamo di questo, di questa RAI.
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