Le lettrici e i lettori di Bloggorai possono bene capire perché
ci ostiniamo a trattare il tema del Contratto di Servizio. Nonostante qualcuno insiste
a sostenere che tanto, non serve a nulla” … “è tempo perso ...” e così via noi
siamo convinti al contrario che è, al momento, il solo punto fermo intorno al quale
si può immaginare cosa sarà la RAI ovvero il Servizio Pubblico nei prossini anni.
Allora vi poniamo un interrogativo al quale non è facile rispondere.
Premesso che sulla prima bozza del nuovo Contratto uscita a luglio abbiamo
subito sollevato fortissimi dubbi e perplessità e che su questo documento sono
stati presentati circa 400 emendamenti in Vigilanza alcuni dei quali ne
potrebbero modificare sostanzialmente la natura originale, ci siamo chiesti “perché”,
a chi giova un nuovo modello di RAI come quello che si sta prospettando? Verrebbe
troppo comodo e facile assegnare al nuovo Governo di Destra la responsabilità
di quanto è emerso, almeno fino alla pubblicazione della bozza formale. Non è affatto
così, anzi, per paradossale che possa apparire, Meloni&C sono quasi innocenti.
E allora?
Tanto per capirci ed essere molto chiari: come abbiamo
scritto e ripeteremo fintanto che non vedremo il testo finale, questo Contratto
NON è un contratto perché non contiene al suo interno l’oggetto stesso che ne
costituisce il suo perno centrale cioè le obbligazioni: io ti do tanto e tu mi
dai tanto. Semplicissimo: se l’oggetto del contratto diventa un allegato senza
obbligo di attuazione (e di pubblicazione in GU) non è un contratto, semmai
potrà essere un accordo. Allora è successo che questo famigerato
Allegato1 presente nella bozza formale in discussione in Vigilanza, nasce, si forma
e si sviluppa in un contesto RAI e Mise (ora Mimit) ben precedente al governo Meloni.
Nasce sotto il coordinamento della presidente Soldi che poi ha chiamato a collaborare
una dirigente esterna, Cinzia Squadrone, che anzitutto mettono tutto sotto silenzio
con il tacito assenso di chi invece avrebbe dovuto battersi per la pubblicità
del dibattito. Il filo conduttore, la sua anima essenziale, la sua
architettura, è tutta ispirata ad una “missione” o un modello di RAI che sente
forte il timbro di mercato e privato, a partire dalla storia dei KPI, del
Digital Media Company e per concludersi in modo clamoroso con la volontà di
espellere totalmente dal Contratto gli “obblighi specifici” previsti dall’art.
25 del precedente Contratto. Già, ma
perché? A chi giova alleggerire la RAI dall’adempiere ad “obblighi specifici” e
dettagliati?
Proponiamo una possibile risposta. Il mercato audiovisivo
nazionale sta attraversando una periodica crisi di trasformazione/evoluzione
dove, in buona sostanza, la presenza e la forza di tanti operatori restringe
gli spazi di manovra. La platea televisiva tendenzialmente si riduce, i giovani
si allontanano dal teleschermo, la contesa si fa più agguerrita e il campo di
battaglia si concentra nel sottrarre telespettatori agli avversari. Mediaset e
La7 propongono prodotti e programmi da “servizio pubblico” e pure le piattaforme
vanno a pescare nella stessa platea della televisione generalista (vedi la recente
presentazione del palinsesto Netflix). Tutto è pubblico e tutto è privato,
i palinsesti più o meno si somigliano e, nel momento in cui nessuno è obbligato
fare qualcosa tutti possono fare tutto. Ecco il trionfo del “neoliberismo”
televisivo, dal “tana libera tutti” e che, ripetiamo, non nasce in questa era
del Governo Meloni che, semmai, ne gode in parte compiaciuto e, anzi, ci
proietta dentro la sua visione di riforma istituzionale (della quale sarà necessario
parlare). Privare la RAI di un “percorso obbligato” come il Contratto di
Servizio lascia liberi spazi di mercato pronti ad essere occupati per la nota
legge della fisica secondo la quale il vuoto non esiste. Il Contratto di
Servizio è la carta di identità del Servizio Pubblico, ne caratterizza forma e
sostanza e ne sostiene la richiesta di pagamento di un canone ai cittadini.
Perché pagare qualcosa che altri (apparentemente) fanno gratis?
Sintetizziamo: questo Contratto, se nei prossimi giorni
non verrà abolito anzitutto il senso e il contenuto dell’Allegato 1, di fatto
si prefigura come il regalo più importante che il “mercato” (Mediaset) possa
ricevere. Una RAI debole, marginale e subordinata libera spazio e risorse, cioè
le materie prime sulle quali si sviluppa e prospera la concorrenza.
Concludiamo: tra i 400 emendamenti presentati, sul tema Allegato
1 ne emergono due rilevanti. Il primo è stato presentato dal gruppo M5S e si
legge “…Inserire il seguente: “25-bis. Offerta di servizio pubblico” e
riprodurre di seguito il contenuto dell’Allegato I. conseguentemente, ogni qual
volta ricorra nel documento la parola allegato 1, sostituirla con “articolo
25-bis” conseguentemente, sopprimere l’Allegato I.” mentre in quello presentato
dal gruppo PD si legge “Dopo articolo 25 aggiungere il seguente 25-bis
(previsioni allegato 1) 1. Le disposizioni contenute nell’allegato 1 del
presente contratto costituiscono parte integrante del contratto stesso e sono
pubblicate in Gazzetta Ufficiale”. Sembrano emendamenti simili e sono accumunati
dallo stesso proposito di “migliorare” le aberrazioni del testo iniziale (anche
prevendendo la pubblicazione in GU), in sostanza però non sono per niente
simili: con il primo il termine “allegato” viene soppresso radicalmente e si ritorna
ad articolo da reinserire con tutta la sua forza cogente all’interno del Contratto.
Con il secondo emendamento PD, invece, l’Allegato rimane in quanto tale,
seppure le “disposizioni” si ritengono parte integrante la logica e il disegno sotteso
rimane inalterato. È tutta altra cosa. Perché tanta ostinazione a mantenere
aperto questo spiraglio sugli obblighi non obbligatori?
Lunedì è in programma un chiarimento. Vedremo.
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