Il grande fatto nuovo di questi giorni non è solo le “dimissioni” di Fuortes dalla RAI ma le incerte sorti di Mediaset. Se ne parla poco e se ne scrive QB, il minimo indispensabile, tutti consapevoli che si tratta di un problema destinato a rendere il quadro del sistema audiovisivo nazionale molto, molto complicato e che pure per la RAI non promette nulla di buono.
Ne abbiamo scritto nei giorni scorsi: con la situazione critica di Belusconi “Le alternative sono tre: proseguire con la seconda generazione; vendere e incassare; o crescere, molto spesso con il sostegno del private equity, ma con un cambio di governance” (tratto da CF) e ieri è successa una cosa bizzarra. Dagospia ha pubblicato un suo lungo report dove si sostiene che sia in corso l’allestimento di una cordata italiana a guida Cairo, ispirata da Walter Veltroni, con l’obiettivo di rilevare Mediaset e il supporto finanziario di una grande banca (Intesa?).
Gli interessati hanno smentito. Il tema rimane e non è indifferente negli equilibri di governo anche perché, sullo sfondo, rimane sempre Vivendi con le sue ambizioni italiane. È la terza ipotesi, la crescita di Mediaset, quella più minacciosa per RAI: è del tutto evidente che in un mercato asfittico come quello attuale, quando qualcuno cresce l’altro deperisce. E che questo Governo abbia tanto a cuore il destino, il futuro della RAI, non appare molto credibile.
Bene, torniamo alla bassa cucina di Viale Mazzini. Da tempo ci siamo interrogati su come nasce, quale sia il “segno distintivo” e chi ha sostenuto fortemente la candidatura dell’interno RAI di cui si legge molto e che, probabile, sia destinato a succedere a Fuortes. Si tratta di un personaggio per certi aspetti “anomalo” sia nella caratura politica, sia in quella aziendale. Di lui ha scritto qualche riga divertente nei giorni scorsi Il Foglio, a firma Carmelo Caruso, dove si legge “… Sergio può essere tutto, può essere patriota, di FdI, ma può essere anche tendenza operaista. Una volta, i colleghi, vicini alla sinistra, organizzarono una riunione e non lo invitarono. Lui ci rimase male. Loro, quelli di sinistra, chiesero: “Ma non eri di centro?”. Lui: “Anche”. Di nuovo, loro: “E allora?”. Lui: “Sono anche di sinistra” e poi “… “Stefano Andreani, portavoce di Andreotti, ogni volta che lo incontrava, diceva di lui: “E’ arrivato il De Gasperi abbronzato”. Nella caratura aziendale, valgono più i silenzi e gli sguardi più che le parole.
Sul suo futuro e il suo destino merita attenzione porre un interrogativo su un nome noto, già citato sopra: Walter Veltroni. Molti convergono su una certezza: è l’espressione migliore del “meglio” che il presunto “partito” di Viale Mazzini poteva esprimere al fine di garantire la continuità della specie. Laddove questo “meglio” si iconizza, si pietrifica nella necessità obbligatoria di cercare di sopravvivere a se stessi. Un presunto “partito” Rai che non ha altra scelta che insinuarsi nelle pieghe del potere, quale che sia, ovvero del Governo di turno per farsi accreditare “in quota” a qualcuno e, con questo meccanismo, garantirsi un posto da qualche parte.
Già, tutto questo è possibile, è probabile. Ma perché proprio lui e non altri che pure avrebbero potuto fare lo stesso servizio con altri mezzi? E poi, perché il Governo ha deciso di affidarsi a lui in tandem con Rossi e non ad un esterno, seppure con la stessa logica pro tempore in attesa della naturale scadenza del CdA? Tutti ricordano che da tempo, da anni, si è letto di un eterno candidato AD “in quota” Lega, ovvero Marcello Ciannamea ora invece posto in sordina. Ovvero uno dei cinque che compare nella famosa foto scattata nello scorso giugno ai giardinetti di Viale Mazzini insieme a Orfeo, Ventura, Brancadoro e Coletta. Come pure molti ricordano che, nei mesi addietro, si sono letti nomi di altri personaggi esterni alla RAI che potevano essere candidati alla successione di Fuortes e poi svaniti (è stato vagheggiato pure il ritorno di Gubitosi).
Certo è poi che questa candidatura nasce vicino (da lui stesso forse, dicono si lui essere molto ambizioso) e viene appoggiata da lontano. Si dice, si legge, che la sua matrice democristiana di marca Casini lo abbiano “impacchettato” al punto giusto per offrire una valida contro sponda (moderata, compensatoria a Rossi considerato di “destra destra”) alle ambizioni del PD che su Fuortes avevano innalzato le barricate. Certo pure che i due nomi in tandem, i due personaggi in cerca di autore, hanno viaggiato mano nella mano ogni giorno ripetuti e rimbalzati da buona parte della stampa nazionale come una certezza granitica insolita quand’anche tutto era ancora in alto mare. Certo, ancora, che solo di Rossi si poteva affermare con relativa certezza, essere “uomo” della Meloni quanto invece dell’altro non si capiva mai bene di chi fosse espressione e perché fosse destinato ad essere il “commissariato” di Rossi giusto il tempo di scaldare la poltrona in attesa di giugno 2024. Sarà una bella partita, altro che pop corn!
È molto probabile che non lo sapremo mai con assoluta certezza. Semmai dovesse avvenire, come probabile ma non ancora del tutto scontato, rimarremo nell’eterno dubbio insoluto: perché proprio lui? sapremo la risposta presto, posto e non concesso che tutto vada nel migliore dei modi (oggi si legge che c’è uno slittamento nella formalizzazione dei nomi perché la Lega è “scocciata”). Vedremo … vedremo… vedremo …
Infine: quale è il segno di queste candidature? Abbiamo prima appena accennato all’interesse di questo governo, di questa destra, al futuro della RAI e ieri abbiamo scritto una notizia importante sul canone riferita da Rossi: andare verso la sua sostituzione con la fiscalità generale. Basta solo questo per definire il loro orizzonte.
Ieri c’è stata l’audizione di AgCom in Vigilanza RAI sula quale dobbiamo studiare bene i contenuti (misurazione ascolti, contabilità separata, utilizzo professionalità interne) che meritano grande attenzione. In attesa di sapere se verrà confermata l’audizione di Fuortes prevista il 18 e se lui si presenterà.
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