Qualcosa non torna e un ulteriore segnale di “allarme” e attenzione ci è venuto stamattina leggendo una lunga intervista al Ministro Lollobrigida (fedelissimo della Meloni) sul Corriere che a proposito di Fuortes ha dichiarato: “A me risulta che nessuno lo abbia costretto ad andarsene e credo che la legge gli consenta di restare. Nessuno ha fatto una norma per commissariare la Rai, non c'è una azione diretta del governo... Fuortes in teoria ha ancora un anno in Rai”.
Sarà forse una nostra pia e vana illusione, ma continuiamo e ritenere che la politica sia materia assai complessa e che sfugge facilmente alle scorciatoie di comodo. La partita continua ad essere molto complessa su diversi fronti. Tanti, troppi per essere risolti con un semplice colpo di mano seppure ai bordi della legittimità costituzionale. È complessa sul piano politico interno alla coalizione di governo: le tensioni tra FdI e Lega sono tutt’altro che risolte, anzi, proprio su questo terreno si sono acuite. È complessa sul piano normativo: la mancanza dei requisiti di “necessità e urgenza” previsti dettagliatamente dall’art.77 della Costituzione (che nessuno cita!!!) pesano come un macigno sul futuro del DL. Mattarella è chiamato a controfirmare e, secondo prassi, è difficile supporre che il provvedimento gli venga sottoposto alla firma se prima non fosse pervenuto un “placet”. Dunque sarà molto interessante capire e sapere come e perché sia stata consentita una apparente violazione del diritto costituzionale. La papera propalata sul ricorso di Lissner è tale: difficile supporre che un giudice del lavoro possa intervenire su un DL se non con un ricorso alla Corte costituzionale con i noti tempi (anni). La partita poi è complessa sul piano aziendale: ci sono appuntamenti in corso che un cambio della guardia in corso renderebbe certamente la situazione RAI ancora più difficile da gestire. Per il 18 ci dovrebbe essere l’audizione di Fuortes in Vigilanza, per il 26 è previsto lo sciopero generale e a ridosso si deve mettere in piedi la presentazione dei palinsesti. Nel mezzo c’è il Contratto di Servizio e relativo Piano industriale, fermo alle intenzioni di Urso che vorrebbe presentarlo entro giugno. Sul fondo rimane la minaccia di revisione del canone che la Lega non smette di ventilare e ricorda pure che è stata depositata in Senato una proposta di abolizione progressiva del 20% annuo. Provate ad immaginare i nuovi amministratori di “destra” che arrivano e si ritrovano un indebitamento in crescita, gli investimenti ridotti, la pubblicità in calo e il canone ridotto. Una bella prospettiva!
Lo abbiamo scritto e ribadiamo un banale e semplice ragionamento che appare tutt’ora valido: posto e non concesso che il piano del Governo preveda il ritorno di Rossi a Viale Mazzini, di fatto, questi si troverebbe ad essere sotto botta dell’AD, cioè doverne dipendere funzionalmente per tutte le decisioni d prendere e, bene che vada, dovranno spartire tanti oneri e pochi onori. Chi glielo fa fare? È sufficiente la sola e malcelata ambizione di un solo uomo? Forse anche no.
Infine, rimane una questione delicata. Ieri quando abbiamo scritto che ne usciamo tutti con le ossa rotte abbiamo dimenticato un personaggio che pure ne esce assai scassato: Mario Draghi. Fuortes, l’uomo che appena mette piedi a Viale Mazzini avrebbe detto “diamoci del Lei”, è stato nominato dal Capo del Governo in piena epoca di emergenza, quando si cercavano i “tecnici” capaci e autorevoli in grado si salvare il Paese. Si parlava, allora, dei cosiddetti “civil servant” ovvero persone tutte di un pezzo, verticali, capaci di assumere un impegno e portarlo a termine fino in fondo, a tutti i costi. E cosa ti combina Fuortes appena insediato? Si assume la paternità del Piano industriale tracciato dal suo predecessore: un colpo di genio. Di li a poco cosa altro combina di storico e strategico? Ripesca una idea ammuffita della riforma dei generi vecchia di oltre 20 anni della quale ancora non si capiscono gli obiettivi e, dopo un anno, non si leggono i risultati. Si tratta dello stesso che ha assistito silente a tutta la tarantella che lo ha investito: un uomo buono per qualsiasi Teatro, Milano, Firenze o Napoli è lo stesso. Da ricordare poi che il suo silenzio è stato bene accompagnato.
In questo quadro, in questo contesto, che si rafforzano i consensi per la Meloni e nello stesso ambiente politico si concretizza la crisi di Governo che ha portato l’Uomo dell’Agenda ad uscire di scena. Esattamente durante la sua presenza a Palazzo Chigi che si palesa all'orizzonte la vittoria della destra alle elezioni politiche. È stato solo lui, il banchiere che tutto il mondo ci invidia, l’artefice o complice indiretto del successi della Meloni? No, certamente non da solo ma in buona compagnia della politica sfasciata che lo ha sostenuto.
Come ha scritto Zaccaria questa mattina su il Fatto quotidiano, l’albero RAI si ammala con la riforma Renzi del 2015. Leggiamo “Una norma palesemente incostituzionale. Perché c'è una sentenza della Corte costituzionale - la numero 225 del1974 - secondo cui gli organi direttivi della Rai non devono rispondere direttamente al potere esecutivo”. E perché, da allora nessuno si è opposto ed ha imposto, quando pure c’erano i numeri per farlo, una riforma di quella Legge? Nella precedente legislatura ne sono state depositate ben sette (7) e nel deposito sono rimaste. Di cosa ci si lamenta ora?
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