Riprendiamo il filo del post dello scorso 8 dicembre https://bloggorai.blogspot.com/2025/12/politica-e-tv-dacci-oggi-il-nostro-male_2.html .
C’è una Garlasco antica profonda dentro e intorno a noi. C’è una Garlasco insaziabile, irrisolta e in eterno movimento nella nostra “morale” oggi alimentata e sostenuta nella "società delle immagini" con il dilagare inarrestabile del genere "crime" su tutti gli schermi, piccoli o grandi che siano.
Il "racconto del male" universale attraverso le immagini propone una “morale” esterna ed apparentemente estranea alla nostra sfera cognitiva e relazionale, spesso riferita "al di fuori
di noi" spettacolare e "narrata" come uno “sguardo degli altri” nei termini che ci ha proposto con altre parole
il fondamentale testo di Susan Sontag “Davanti al dolore degli altri” scritto
nel 2003 per affrontare il tema del male che diventa spettacolo. La Sontag si
interroga: le immagini influenzano la nostra percezione della realtà? In che termini,
quanto, influenzano il nostro giudizio “morale” che poi si traduce in voto
politico? Quanto le immagini di guerra ovvero il suo racconto televisivo, ormai
costante nei nostri teleschermi, inducono ad appoggiare o contrastare la natura
“guerresca” che sembra diffondersi nel mondo? È utile riprendere la parte del 42°
rapporto Censis del 2008 laddove si poneva il tema dei media come “fabbrica della
paura”, ne parleremo più avanti per la sua deriva politica. Per estensione: quanto e come il racconto
criminale mediatico e specificamente televisivo alimenta, nutre, consola o
esorcizza la natura primordiale dell’istinto omicida?
C’è poi una “Garlasco” iconica del
prima e del dopo. C’è un momento specifico che pone l’avvio dell’avvento dell’era
televisiva, ora mediatica: il primo grande evento di dolore raccontato dalle
immagini in diretta sulla morte di Alfredino Rampi nel 1981 che ha visto incollati
di fronte allo schermo oltre 20 milioni di persone. E poi c’è un dopo con il
susseguirsi di tanti di fatti di cronaca di vario genere, da quelli assoluti e
totali della guerra o del terrorismo, a quelli di “ordinaria” tragedia
individuale.
Da allora i grandi racconti di
crimine, dolore e orrore, sono stati e sono tutt’ora il pane e il companatico dei
palinsesti televisivi.
Poi c’è un come e un dove il
racconto del male si è svolto e si svolge nell’era moderna e contemporanea. Il come
è mutato nei secoli in stretta relazione al mutare la natura dei media: senza
scomodare i classici dell’antichità (Omero con l’Iliade) e riprendere il tema
preferito da Shakespeare, il delitto o più in generale la rappresentazione “letteraria”
del crimine è stato da sempre raccontato prima con la scrittura, poi con la
parola (la radio) ed ora con le immagini televisive. Il dove sembra invece essere
una specificità del mezzo moderno: sempre più spesso i grandi fatti di
cronaca si devono giocoforza identificare con il luogo dove si sono svolti e
per come le immagini televisive ce li hanno proposti. Per il dramma di
Alfredino si ricorda bene il pozzo di Vermicino e poi, negli anni successivi, i
tanti altri casi importanti: il mostro di Firenze, la villetta di Cogne, il delitto
di Novi Ligure, il giallo di Via Poma o la strage di Erba.
Necessario pure ricordare altri
grandi eventi di cronaca di dimensioni globali che pure hanno interessato, coinvolto
e raccontato e raccontano tutt’ora il dolore e il male che ci pervade: dalle immagini
dell’assassinio Kennedy al Vietnam, dai grandi funerali di personaggi iconici (Lady
Diana) all’11 settembre di New York, dal grande Tsunami del 2004 per arrivare
all’orrore contemporaneo di Gaza.
Semplificando e sintetizzando: la
cosiddetta “narrazione” del male, del dolore, del terrore, dell’orrore e della
paura non è un fenomeno recente. Riprendiamo alcuni tra i tanti titoli del
nostro archivio: “Tv, cronaca nera e quel senso diffuso di allarme sociale”,
il “successo mostruoso” del Mostro diffuso da Netflix visto da decine di milioni di telespettatori
nel mondo(a cui seguirà il caso Yara
Gambirasio), “Le nuove serie televisive vedono nero”, “Cronaca nera e processi
in Tv, l’ennesima Authority inutile” su AgCom e spettacolarizzazione del male
in tv, “Il fascino inafferrabile della cronaca nera”, “Lo spin off di
Belve e quella passione del pubblico per
il crime” dove si legge una relativa caratterizzazione del suo pubblico giovane
e femminile, “La gratuità del male”, “De Cataldo: Maso e gli altri, la
normalità del crimine”, “Passione nera: un terribile amore per il delitto
diventato show”, “Tra cronaca e fiction, il Mostro in prima serata”, “Cronaca,
così diventa un caso Tv. La ricetta: avvocati, parenti e amici a cui piace
stare in video” e, infine “Il caso Garlasco capitalizza l’attenzione dell’opinione
pubblica”.
Ecco la centralità di Garlasco,
il suo senso e il suo significato mediatico. Nell’epoca contemporanea, è stato
osservato che da solo questo caso ha occupato gli spazi del teleschermo,
dal 2007 ad oggi, di oltre 9.000 ore di trasmissioni Tv, pari a circa un anno
ininterrotto di flusso video (ricerca Omnicom Media Group). Nella graduatoria degli
eventi televisivi più seguiti seguono il caso Cogne (con il famigerato modello
della villetta mostrato da Bruno Vespa), poi la strage di Erba, poi l’omicidio di
Perugia e il delitto di Avetrana.
Ma il delitto di Chiara Poggi con
la sua immediata attualità, appunto, è solo un punto intermedio dell’abitudine al
racconto televisivo del male.
Tutto ha origini lontane e in questa storia il Servizio Pubblico radiotelevisivo nazionale, la Rai, ha avuto un ruolo “pedagogico” centrale che troppo spesso viene dimenticato o sottaciuto. Ha iniziato a formare, educare, “vedere” ed introiettare il male come parte essenziale delle relazioni umane sin dai suoi esordi.
Tutto inizia con “Giallo Club” nel
1959 dove in ogni puntata si presentava un caso di omicidio e in studio gli “esperti”
dovevano indovinare il colpevole. La trasmissione ebbe un grande successo con milioni
di telespettatori. In quegli stessi anni inizia la fortunata serie (a quel
tempo si definiva “sceneggiato” e oggi “fiction”) del Tenente Sheridan con Ubaldo
Lay. Il personaggio era “americano” ma le riprese erano tutte fatte negli studi
Rai di Roma e Torino. Negli anni successivi si afferma il “genere” fiction crimine
e compare la serie “Donne … di Fiori, di Quadri, Cuori e Picche” insieme alla
Inchieste del Commissario Maigret (1969) con Gino Cervi nel 1964 e Nero Wolfe
con Tino Buazzelli del 1969. Negli anni ’70 si comincia a formare, a delineare meglio
la fisionomia del racconto criminale (anche detto “polizziottesco”) e compaiono
titoli come “I racconti di Padre Brown” (1970-1971) con Renato Rascel nel ruolo
di il prete investigatore (poi vedremo come verrà ripreso con Don Matteo), poi “Il
segno del comando” (1971) ritenuto uno degli sceneggiati più apprezzati della
televisione italiana, “Il sospetto” (1972), poi ancora “Giallo di sera” (1971),
“Il giudice e il suo boia (1972), “Qui squadra mobile” (1973-1974) dove inizia
la serie sulle indagini di una squadra di poliziotti con Giancarlo Sbragia.
Segue…
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