Come iniziamo la settimana? Cosa c’è di nuovo, di interessante
questa mattina? Nulla, niente, il vuoto. Si diffonde una strana sensazione
simile a quella che si prova quando ci si sveglia, si va in cucina, si cerca il
barattolo del caffè e ci si accorge che è finito e che nessuno ha pensato per
tempo a fare la spesa e comprarlo. Che brutta sensazione! Sembra quasi un’offesa
al buonsenso, alla convivenza civile, alla buona educazione. Dopo tanti anni di abitudine consolidata,
dopo aver faticosamente costruito un rito quasi arcaico, propiziatorio e
beneaugurante … puffete ... tutto svanito davanti ad un triste e solitario barattolo
vuoto. Quel profumino amarognolo, leggermente bruciacchiato, tendente al cioccolato
fondente al 90% di origine Ecuador. Un aroma casalingo e familiare che che ci ha accompagnato amorevolmente per
tanti anni questa mattina non c’è.
Con vago senso di tristezza, di malinconia e di solitudine,
allora decidiamo di scendere e andare all’edicola e poi magari, di passaggio, prendere
il caffè al bar. Purtroppo lì succede da tempo un fatto increscioso: lo chiedo
lungo ma non “americano” (per carità) e non c’è verso: arriva sempre quasi
ristretto. Guardo sconsolato prima il barista e poi la tazzina, senza energia
per una protesta, seppure fatta con garbo. Cosa gli vuoi dire? Per cortesia, me
lo può rifare? No, non me la sento, non voglio accanirmi con quell’onesto lavoratore
del caffè che magari è lì dalle 6 del mattino a smanettare filtri e cappuccini.
Ho ancora in memoria gli speciali di Report sul caffè italiano e sui bar: servizi
giornalistici formidabili da proporre nelle scuole elementari, tanto da farti
passare la voglia della tazzina al bar. Allora rivolgo uno sguardo prima all’imbutone
in vetro che contiene i chicchi prima di essere triturati. E no! Così non va!!!
Si vede chiaramente che è opaco: segno di quella sostanza oleosa che rilascia
il caffè quando inizia il processo di ossidazione. Orrore!!! Poi guardiamo la
manopola del filtro e osserviamo che non viene fatto il “purge”: altro orrore. Dalla
malinconia e tristezza è un soffio passare alla disperazione e sconsolatezza.
Per tirarmi su, ricordo con piacere una recente esperienza. Un
mio caro e vecchio amico mi invita a prendere un caffè in un posto “speciale”. Bene,
con piacere, andiamo. All’apparenza sembra un bar normale ma, appena entrati,
si osserva subito una “cosa” bizzarra”: una fila di 9 (nove) trituratori di
caffè con sopra la rispettiva etichetta della relativa miscela con tanto di luogo
di provenienza. Fenomenale. Mi azzardo a chiedere qualcosa sulla macchina e, in
particolare, sul “purge”. La ragazza mi fulmina e mi incenerisce “Questa è una macchina
di ultima generazione e il purge lo fa in automatico”. Colpito e affondato. Ci sediamo
e ci viene incontro una simpatica ragazza: chiediamo semplicemente un caffè
lungo. Apriti cielo. La gentile ragazza apre l’enciclopedia e ci illustra le
diverse tipologia di “caffè” che possono servire e per ognuna di esse ci
fornisce adeguata e completa spiegazione su cosa è e come gustarlo al meglio. Un
piacere per la mente ,una delizia per il palato. Insomma, a farla breve: non è
stato un banale semplice “caffè” ma una liturgia laica. Da allora, ogni volta
che entro in un bar, mi aggiro con sospetto e spesso ne esco alquanto schifato.
Allora, chiusa questa triste parentesi di inizio settimana, torno mestamente verso casa con i giornali (di carta, veri, non on line) per iniziare la “preghiera laica del mattino” ovvero la linfa vitale per sapere qualcosa dipiù oltre i Tg e i Gr. Ovviamente, Bloggorai si occupa anzitutto di Rai e di ciò che gli sta intorno. Allo sconforto del caffè si aggiunge quello sulla Rai: ancora una volta il deserto salato, la palude nebbiosa, lo spazio disabitato. Il Nulla.
Solo
un commento che merita essere citato: Aldo Grasso sul Corriere (uno che di
solito è molto “carino” con la Rai e chissà poi perché?). Leggiamo parole
avvelenate con il curaro: “In questi casi non si sa se parlare di pigrizia, di
assenza di idee, di trascuratezza, forse di inadeguatezza della direzione
editoriale. «Ne vedremo delle belle» è l'ennesimo format di Carlo Conti,
lo sguardo rigorosamente volto all'indietro (un servizio pubblico che non ha
più la capacità di guardare in avanti non è più tale) … E un programma che si
potrebbe recensire senza la fatica di guardarlo, tanto tutto è scontato,
prevedibile, banale …”. Ci torna in mente il programma di Chiambretti “Fin
chela barca va ...” che nei giorni scorsi, in un momento di splendore, ha
affrontato il tema delle borsette della Santanchè ponendo un annoso quesito: saranno
vere o false? Ci sarà un Giudice e Berlino pure per questo.
Per quanto riguarda la Rai … ci sembra appunto come quel
mobile della cucina dove manca il caffè e nessuno si preoccupa di comprarlo e
quello al bar non è nemmeno tanto buono.
bloggorai@gmail.com
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