Incertezza, confusione, nebbia e crisi. Difficile pensare ad altro in questo momento. Ci vengono in mente alcuni titoli: “A che punto è la notte” di Fruttero e Lucentini, “Dal mondo del pressappoco all'universo della precisione” di Alexandre Koyré e “La Società dell’incertezza” di Zygmunt Bauman. Nel primo libro, un romanzo giallo, ricorre spesso la domanda dell’ispettore Santamaria quando le indagini annaspano nel vuoto: “A che punto è la notte?”. Dopo molto disorientamento, false piste e inganni, se ne verrà a capo. Più complesso il secondo libro: Koyré si concentra sull’analisi di un passaggio epocale della storia dell’Uomo, esattamente quando avviene il superamento delle scienze filosofiche e meditative verso il mondo delle macchine e degli strumenti di precisione, senza i quali non sarebbe iniziata l’era moderna. Il passaggio si concentra tutto nella congiunzione tra teoria e prassi. Il terzo volume ci porta invece dentro il cuore dell’attualità delle scienze sociali. Bauman sostiene che le strutture di socializzazione hanno assunto una forma “liquida” che pone gli individui sempre più isolati e disconnessi tra loro, nonostante l’apparente “connessione” tecnologica: “Le vecchie reti di protezione sociale, tessute e tutelate con mezzi propri, le “trincee di seconda linea” un tempo messe a disposizione dalle relazioni di vicinato o dai rapporti familiari, dove si poteva trovare rifugio e curare le ferite procurate nelle dure battaglie della vita esterna, se non sono ancora del tutto smantellate hanno comunque subìto un considerevole indebolimento”. Tutto questo genera ansia e incertezza.
In tale contesto, con queste chiavi leggiamo l’indebolimento della riflessione collettiva sul senso, sull’uso e l’abuso, della comunicazione audiovisiva in questo drammatico momento, sulla sua crisi che ormai appare sempre più strutturale, di sistema e non suscettibile di aggiustamenti in corso d’opera. Sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche che anticipano sempre più le codifiche normative, la “macchina” dell’informazione, la qualità e la quantità dei messaggi che vengono diffusi, sembra nel pieno di una sua profonda, radicale, trasformazione. Sappiamo solo, possiamo a malapena avvertire, che è in movimento ma nessuno è in grado di intuire da che parte possa dirigersi.
Tutto questo, fatte le debite proporzioni e collocati i punti rilevanti al posto giusto, ci porta dritti nel cuore subordinato della riflessione precedente: a che punto è il Servizio Pubblico Radiotelevisivo nazionale? Verso quale direzione si sta avviando, in che forma si sta evolvendo? Quale è la sua natura attuale e quale potrebbe essere una sua nuova in una dimensione diversa da quella dove è sorto e si è sviluppato? Grosso modo, sommariamente, ci sembra di avvertire un solco tra coloro che avvertono la distanza dal bel tempo passato, la Rai di una volta, e quella attuale e coloro che invece avvertono fortemente che Viale Mazzini è solo un sembiante di una “cosa” nuova che ancora non riesce e prendere (e capire) la nuova forma che dovrebbe assumere sotto la spinta della società, della politica e della tecnologia che non sono più le stesse dei decenni passati.
Coma abbiamo accennato nel BloggoRaiReport,
la Rai si trova al centro di quattro grandi aree di crisi: una crisi di progettualità che appartiene anzitutto al decisore politico ma anche al suo corpo interno, al suo management, imprigionato e incapace di esprimere nuove idee o progetti. Poi una crisi di normative: il complesso di disposizioni in vigore sono superate e non più adeguate ad un contesto complessivamente e profondamente mutato. Dopo c’è una crisi di risorse economiche strutturale: da un lato il canone, incerto nella sua dimensione futura e in parte indebitamente ridotto in quella attuale e, dall’altro, una riduzione del mercato pubblicitario che stenta a riprendere una sua dimensione sostenibile che, comunque, è scarsa e non sufficiente a sostenere tutto il sistema. Infine c’è la crisi tecnologica: il superamento del vecchio DVB, l’avvento dello streaming, il dispiegarsi della banda larga e del 5G. Quest’ultima, giocoforza, si riconnette alla crisi precedente: per sostenere l’innovazione occorrono risorse anche in misura rilevante. A sua volta, questo concetto si connette al primo: se pure ci fossero le risorse, verso quale modello sarà opportuno impiegarle? Quale sarà la sua missione?
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