“Grande il disordine sotto il cielo, dunque la situazione è eccellente”.
Già, la situazione sociale anzitutto, ma anche quella politica ed economica non sembrano godere di buona salute. “Giù per li rami” tutto viene di conseguenza e, ovviamente, anche per il Servizio Pubblico.
Una cosa alla volta. Anzitutto da leggere attentamente il Corriere di oggi con un articolo firmato Verderami dove si dipinge il quadro politico e le sue fibrillazioni. In particolare, si legge dello scontro in corso tra le componenti del Governo: PD, M5S e Conte. L’un contro l’altri armati e con tanta voglia di cambiare le carte in tavola. Leggete pure il Messaggero con un articolo di Marco Conti e il fondo de Il Foglio: “Il conflitto di interessi che salverà l’Italia” per avere un quadro completo della situazione politica e dei chiari di luna che ci aspettano. Contestualmente, tenete a mente le grandi tensioni che ancora si agitano sui vari fronti, non ultimo quello tecnologico con il tema della rete unica che ancora tiene banco nella sua difficoltà ad andare avanti.
Ben che vada si intravvede un rimpasto con un nuovo paradigma: fino a poco fa si sosteneva che vista la grave situazione del Paese non ci si può permettere una crisi di Governo, ora invece vale il suo contrario, cioè proprio per la grave situazione del Paese è necessario rivedere l’azione di Governo. Non è un passaggio di poco conto se si mantiene bene a mente quanto avverrà nel prossimo semestre: la chiusura del mandato di Mattarella e l’inizio del semestre bianco. Facciamo ora “calare il cielo sulla terra” e riportiamo queste sommarie osservazioni sulla Rai, o meglio, sul Servizio Pubblico (concetti non sempre sovrapponibili). Ancora ci si chiede: perché Conte ha fatto quelle affermazioni alla Gruber sulla Rai? La risposta più semplice potrebbe essere perché gli conviene in due ordini di motivi. Il primo è perché si allinea a quella parte del M5S che da tempo prova a fare barricate in difesa di Salini e di questo modello di Rai; il secondo motivo è perché gli conviene tenere a bada una fonte di sua “visibilità” che proprio in un momento incerto come questo può tornare sempre utile. In questo modo ha però urtato ulteriormente gli umori del PD, proprio pochi giorni dopo da quanto ha affermato Gualtieri sulla Rai: tutti a casa, se non ora, presto. Ora, come al solito, delle due l’una: o ha ragione il Ministro o ha ragione Conte. In mezzo c’è la palude, il disordine che non torna utile a nessuno. Torna a bomba il tema della riforma, parziale o totale del Servizio Pubblico. Già, quale Servizio Pubblico?
Ieri abbiamo titolato “Il primato della Politica” con la P maiuscola, non a caso. Ci sono circostanze in cui sono le dinamiche sociali, e quindi dell’economia anzitutto, che determinano l’agenda del Paese. Per quanto riguarda gli interessi di questo Blog, ci limitiamo a proporre la lettura di questi mutamenti con l’obiettivo di comprendere cosa è stato, cosa è e cosa dovrebbe essere il Servizio Pubblico radiotelevisivo. Se provate a porre questo interrogativo in giro, potete essere certi che non troverete un consenso unanime sullo stesso principio. Questa mattina merita la lettura un fondo firmato dall’ex DG Rai Mauro Masi su Italia Oggi che scrive: "…esiste un concetto «oggettivo» di servizio pubblico radiotelevisivo?... Bisogna ribadire che non esiste, e non solo in Italia, una precisa e compiuta definizione tecnico/giuridica del concetto di servizio pubblico radiotelevisivo... Secondo autorevoli addetti ai lavori una definizione tra le più esaustive è tutt'ora quella elaborata negli anni 90 dalla Bru, Broadcasting research unit per il Parlamento inglese. La Bru identifica otto indicatori che qualificano il livello di «servizio pubblico» di un'emittente televisiva: a) universalità geografica di accesso (trasmissioni televisive rivolte, almeno in principio, a tutta la popolazione); b) universalità di interessi (cercare di toccare più interessi possibili anche quelli largamente popolari; non è detto infatti che il servizio pubblico debba qualificarsi solo su temi di nicchia anche se, ovviamente, non deve escluderli: "make popular programmes good; make good programmes popular"); c) universalità di pagamento (servizio pagato da tutta la popolazione); d) concorrenza nella programmazione piuttosto che nell'audience; e) sensibilità verso le minoranze; f) senso dell'identità nazionale e della comunità; g) indipendenza verso gli interessi di parte (intesa in senso molto ampio cioè sia da un punto di vista politico-istituzionale sia economico); h) ricerca della qualità e libertà creativa. Naturalmente non è detto che il gestore di un servizio pubblico radiotelevisivo debba soddisfare tutti gli indicatori proposti; la scelta dipende dal legislatore che deve tener conto delle singole realtà nazionali anche alla luce degli sviluppi della tecnologia e del sistema della comunicazione nel suo complesso”. È una traccia di riflessione che potrebbe tornare utile quando, forse, si tratterà di affrontare il nodo Rai e le sue fonti di finanziamento.
Nota a margine di come questo concetto possa essere declinato in modi diversi: ieri sul Messaggrro (solo giornale che ha riportato la notizia) abbiamo letto: “CdP e Chili Tv danno il via alla Netflix della cultura italiana” e si riferisce ad un pensiero tanto caro al Ministro della cultura Dario Franceschini al quale da più parti è stato risposto che questa già esiste e si chiama Rai. Ma, evidentemente, non ne è convinto. Tant’è che ha spinto Cdp a creare una NewCo della quale detiene il 51% con 9 mln di investimento per mandare in onda i concerti della Scala, Raffaello e altro ben di Dio che ci offre il nostro Paese. Si tratta di Servizio Pubblico? Forse si. Ed è giusto che si debba finanziare con soldi pubblici un’impresa con scopi privati? Forse no. Ecco esattamente entro questi interrogativi che si pone la riflessione su quale possa e debba essere un Servizio Pubblico radiotelevisivo (per inciso, provate a cercare su Google questo concetto). Questo il compito della politica e su questi temi che si misura il suo primato.
Altra nota margine: Stefano Balassone su La Repubblica di oggi a proposito del caso del balletto sexy di Rai Due: "Quella cultura da supermarket non è la Rai" e aggiunge "... "L'origine del magma, tuttavia, non sta in Rai 2, ma in Canale 5". Forse è vero, ma solo in parte: il magma, purtoppo, non sta quasi mai da una parte sola e, segnatamente, in Rai la cultura da supermarket ben che vada è stata spesso scimmiottata, copiata, subita o riproposta.
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