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Tenete a mente questo numero: è il centralino RAI. Se avete
voglia di chiedere garbatamente e serenamente di mantenere il proposito di
mandare in onda il film Premio Oscar 2025 No Man’s Land su Rai Tre il giorno 7
ottobre in prima serata, telefonate e fate presente il vostro interesse ad
essere informati ed aggiornati su uno dei temi oggi più importanti. Nei giorni scorsi
abbiamo letto su il Fatto che la Rai avrebbe deciso di rinviarlo, forse, tre
settimane dopo a seguito di una “telefonata politica” dove non si sa chi ha
telefonato a chi. Abbiamo poi letto che lo stesso giorno, il 7 ottobre, sarebbe
prevista la presenza della Meloni a Porta a Porta di Vespa.
Andiamo avanti, ovvero indietro. Mancano pochi giorni, poche
ore alla chiusura dei termini per la presentazione degli emendamenti sulla
proposta di riforma Rai targata Governo Meloni e ancora nessuno sa nulla su cosa
farà l’opposizione. Non si sa se e da chi verranno presentati ma ciò che è più
grave è che non si sa nulla su quali punti saranno concentrati. Mettiamo il caso,
assai probabile visto i precedenti, che contengano strafalcioni o peggio ancora
peggioramenti rispetto pure al testo di Governo, che succede? Succede che, se
tutto va bene, gli emendamenti verranno presentati last minute e nessuno potrà
dire, obiettare o proporre nulla senza alcun confronto aperto e partecipato, senza alcun dibattito trasparente, NULLA. E il Governo avrà tutto il buon gioco per
modellare la Riforma Rai a sua immagine somiglianza.
Questa vicenda della riforma Rai entrerà a pieno titolo nella
storia della debolezza strutturale, della confusione progettuale e financo della
pochezza mentale di singoli personaggi autoreferenziali. È bene ricordarlo:
tutto nasce i primi di agosto dello scorso anno quando in una conferenza stampa
l’opposizione unita annuncia “prima la riforma e poi le nomine”. Si arriva al
26 settembre e una parte dell’opposizione, M5S e AVS, inverte l’ordine dei fattori
“intanto facciamo le nomine del Cda e poi incardiniamo il dibattito per la
riforma”. Non succede nulla per lunghi mesi fino a quando si convoca un “tavolo
di lavoro aperto alla società civile” che si incontra tre volte fino a giugno scorso. Riesce solo a dire ai primi di agosto scorso "Il testo di Governo è inaccettabile.. a settembre faremo sapere". Dopo di che inizia la tarantella: tutto passa nelle mani dei partiti e dei loro
“consulenti esterni”. Dibattito pubblico zero! Confronto aperto zero. Tutto,
forse, verrà deciso tra quattro mura e tre gatti. I carbonari a confronto erano
chierichetti.
Andiamo avanti e torniamo indietro agli ascolti di sabato sera.
Ieri abbiamo dato i numeri della disfatta di Rai Uno. Ora il tema non è tanto sapere
quanti e quali telespettatori guardano la Rai ma chiedersi se la Rai esercita
ancora e in che modo il suo dovere di Servizio Pubblico ovvero in cosa consiste
la sua offerta editoriale complessiva in termini di informazione, educazione e intrattenimento.
Questa mattina Aldo Grasso sul Corriere ci ha anticipatole
parole: “Ma peggio ancora è la piega che ha preso il servizio pubblico.
L'impressione è che non ci siano più dirigenti all'altezza capaci di proporre
argomenti e di controllarli con la scelta adeguata di autori e protagonisti. La
Rai è una tv commerciale che da tempo ha smarrito la sua missione con
impudicizia, senza che nessuno si assuma la responsabilità di ciò che accade.
Tutto sembra frivolo, falsificato, privo di sostanza e d'interesse: un radar
sul nulla”. Condividiamo pienamente. Aggiungiamo: non sembrano esserci
dirigenti in grado di creare, proporre e ipotizzare prodotti e trasmissioni senza
dover ricorrere agli acquisti di format e al supporto si società/agenti
esterni. Nei giorni scorsi sono stati capaci di rimandare per tre giorni di seguito
la replica di Montalbano. Questa estate hanno spianato la strada all’avanzamento
di Canale 5 con Techedeche in tutte le salse.
Il confronto di sabato sera non era tra una tv pubblica e una
privata: era tra due tv commerciali che razzolano nello stesso pollaio della
pubblicità. La sola differenza è tra il riferimento anagrafico del pubblico:
quello di Mediaset è relativamente più giovane rispetto a quello Rai, di pochi anni
ma significativi. Il tema, ancora una volta, è che per ogni telespettatore che
lascia questa Rai non ce ne sarà uno giovane che lo sostituisce. I nuovi
telespettatori che nascono forse nemmeno sanno che esiste il Servizio Pubblico
e per sostenerlo si deve pagare il canone. Nascono già con il cellulare nella
culla e il Tablet nel passeggino dove scorazzano tra TikTok, Instagram e YouTube.
Della Carlucci e delle sue giovani concorrenti (74 anni) forse, ne sapranno qualcosa
nei libri di storia tra 50 anni. La partita è persa e forse non ci sarà il
girone di ritorno dove cercare la rivincita.
bloggorai@gmail.com
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