È un eterno gioco dell’oca: si torna sempre al punto di partenza.
Quando si parla di Rai, la casella centrale, la n.1, ha solo un nome “informazione di Servizio Pubblico”.
Il classico assioma “informare, educare e divertire” vede, appunto, al primo posto
“informare”. Tutto il resto è un condimento, un accessorio importante ma pur
sempre subordinato: spettacolo, cinema, sport per non dire appunto di arte e
cultura (scuola!!!) diventano tutte caselle a seguire. Eppure, ciononostante,
anzitutto dentro la Rai stessa si fa del tutto per sottacere, per far passare
sottotraccia e rendere inoffensiva qualsiasi osservazione o proposta si possa
fare a questo proposito. O meglio ancora: non se ne parla proprio e si alzano
spesse coltri di fumo pur di non affrontare il problema.
Obbligatorio ricordare il recente passato perché altrimenti
non ci capiamo: nel 2014 esce il Piano Gubitosi che prevede due
super-redazioni, meno poltrone, più sinergie e stop alle sovrapposizioni. Arriva
il 2017 con il famigerato Piano Verdelli che pure contiene sostanziose proposte
di accorpamenti e razionalizzazioni. Poi è il momento del Piano Industriale 2018
con il poderoso fascicolo di oltre 240 pagine (allegato 4) che prova a disegnare
un altro modello di informazione del Servizio Pubblico. Infine è il momento del
precedente Contratto di Servizio dove all’art. 25,d si fa esplicito riferimento
alla necessità di rivedere il perimetro delle testate giornalistiche.
Nulla, puffete, tutto svanito, volutamente dimenticato e
colpevolmente soppresso e sepolto sotto una spessa coltre di cemento armato. Risultato
finale: nessuno, sottolineato nessuno, ha voglia, forza e coraggio di
affrontare questo problema. Quando diciamo “nessuno o tutti” ovviamente
intendiamo amici e nemici. Chi si è opposto e si oppone, direttamente e
indirettamente? I giornalisti Rai e chi li rappresenta da che parte stanno?
Eppure, oggi più che mai l’informazione Rai e del Servizio Pubblico si può definire come una vera emergenza e forse più ancora della “riforma Rai” che pure sull’indipendenza dell’informazione (EMFA) pone un cardine. Ieri la Floridia, presidente della Vigilanza Rai, ha ribadito che il nostro Paese è sulla soglia di rischio medio alto per la liberà e l’indipendenza dell’informazione. Come può essere libera e indipendente l’informazione Rai quando la Vigilanza Rai non può esercitare il suo dovere istituzionale e il Cda è senza Presidente da quasi un anno?
Come può essere libera e indipendente l’informazione Rai quando il direttore
della sua prima testata, il Tg1, viene chiamato a fare il portavoce del Governo
come se nulla fosse? Come può essere libera e indipendente l’informazione Rai
quando i suoi direttori ( e non solo loro) vengono scelti solo in base alle “quote” presunte di appartenenza
a questo o quel partito, preferibilmente di governo?
Eppure, oggi più che mai l’informazione Rai e del Servizio
Pubblico dovrebbe essere un punto granitico di riferimento per comprendere, dibattere
e approfondire i tanti temi drammatici all’ordine del giorno. Eppure, oggi nessuno
si pone il problema della totale assenza una trasmissione in prima serata di approfondimento
giornalistico su Rai Uno destinata al grande pubblico. Nulla: c’erano i 5 minuti di Vespa dopo il Tg1, per ora
sacrificati sull’altare dei Pacchi d’azzardo; c’è il Tg2 Post che sembra non
vedere l’ora di passare la linea alla trasmissione di cronaca nera che piace
tanto e, infine, ci sono i pochi minuti di Damilano relegati su Rai Tre. Punto.
Amen e ai telespettatori interessati a sapere che succede nel mondo non resta
che cambiare canale di gran fretta e andare su La7. Se un giorno Cairo dovesse
chiedere una “quota parte” di canone solo per questo potrebbe anche avere buon titolo.
Nota bene: Mediaset tutte le sere su Rete4 ha una trasmissione giornalistica.
E veniamo al consueto tasto dolente: e l’opposizione, i consiglieri di “opposizione” cosa fanno, come si pongono il problema? Vedi il caso Maggioni che riteniamo un tema fortemente politico: il consigliere Di Pietro, almeno questo, ha sollevato il problema dal punto di vista economico. Ma non è solo questo in gioco (e pure non è poco): c’è in gioco il ruolo del Cda che non è stato informato o coinvolto nella trattativa in corso nei mesi precedenti (da che parte stavano?) e c’è in gioco tutto il perimetro dell’offerta editoriale informativa che prima era in capo alla Maggioni (e non si sa che cosa ha prodotto finora).
Ce n’è
abbastanza per sollevare un putiferio. Sono state tagliate trasmissioni importanti
come Petrolio e non è successo nulla. Silenzio, dentro e fuori la Rai nessuno ha
battuto ciglio e al dunque da tempo abbiamo intuito e capito qualche perché: perché semplicemente si
guarda al “dopo Vespa” e a molti, compreso a sinistra, la Maggioni va benissimo
(“però la sua trasmissione della domenica è fatta bene e lei è brava” qualcuno ci
hanno detto). Amen.
Vogliamo poi parlare della crisi congenita di ascolti di tutte le testate giornalistiche Rai? Nel giro di pochi anni hanno perso tra il 20% del Tg1 al 52% del Tg2 e nessuno batte ciglio, salvo poi far correre un brivido quando nei giorni scorsi è successo che il Tg5 ha battuto il Tg1 e non era certo la prima volta. Vogliamo, infine e ancora una volta, parlare di Rai News24, il vero “buco nero” dove sprofonda l’informazione del Servizio Pubblico che con oltre 200 giornalisti impegnati non riesce ad andare oltre il prefisso telefonico?
Il consigliere Natale conosce bene, benissimo, tutti questi problemi.
Recentemente ha dichiarato “Chi ha a cuore la tenuta del servizio pubblico non
può sottovalutare il segnale di allarme che viene dagli ascolti del Tg1. A
differenza dell'estate scorsa, la crisi non può nemmeno essere addebitata a
problemi di traino, dati i buoni risultati conseguiti quest'anno da Reazione a
Catena. L'analisi va puntata su contenuti e linguaggi del tg, senza guardare
altrove". No, non è così, non è un problema di contenuti e linguaggi. E non
regge nemmeno legare gli ascolti al traino di un giochetto qualsiasi allo
stesso modo con cui non regge sottrarre i 5 minuti di Vespa per agevolare
il gioco d’azzardo dei pacchi. Esattamente al contrario, bisogna guardare
altrove: è un problema di scelte strategiche aziendali.
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