Prendetevela comoda, comodissima, se volete. Oggi andiamo lunghi, lunghissimi, non foss’altro per apprezzare il successo del post di Bloggorai di ieri.
A proposito di “successo” di “questo” Sanremo: si intravvedono con chiarezza i due mondi. Il mondo di “destra” gaudente che applaude alla vittoria dei numeri contro il “commmunista” politicizzato (come i giudici) di Amadeus e per il “grande successo del Servizio Pubblico” (questo, beninteso … non quello di prima) e il mondo di “sinistra” che pure applaude allo stesso “grande successo del Servizio Pubblico” però esitante e confusa su come interpretarlo e giustificare il consenso di cui gode, a prescindere.
I lettori di Bloggorai di destra (ce ne sono tanti) e anche alcuni tra quelli di sinistra (ce ne sono tanti) ritengono che fare valutazioni critiche sul consueto successo di questo Sanremo, il primo integralmente “targato” di destra destra, governativo e meloniano, possa far esprimere il sentimento della “rosicata” o, peggio ancora, un perverso e malevolo sentimento “anti Rai”. Come si legge oggi su Libero “Non ci vogliono credere, nel Pd, che un Sanremo depoliticizzato piaccia più dei loro frullatoni ideologici. Sono spiazzati dal fatto che si possa avere successo anche se al posto delle ammucchiate di Rosa Chemical si canta l’amore per la mamma di Simone Cristicchi”.
Andiamo oltre. Ci sono tre storielle parallele che meritano di essere raccontate a priori. Ricordare questi nomi: Pippo Balestrieri, Giancarlo Leone e Roberto Natale. Magari dopo.
Bloggorai appartiene ad una generazione che, per molti aspetti, si può ritenere fortunata. È nata all’indomani della fine della Guerra ed ha potuto assistere alla “ricostruzione” degli anni ’60. È stata una generazione che, in qualche modo, si è collocata ed è cresciuta nel mezzo tra un passato non ancora terminato e un futuro non ancora iniziato. Questa generazione si affacciava al mondo con le stimmate di una cultura politica e sociale marcata ancora dal secolo precedente e con i primi sogni di un secolo nuovo che stava per arrivare, forse pure in anticipo.
Questa generazione si è trovata “giovane” alle fine degli anni ’60 ed ha respirato quella grande aria del “rinnovamento” che preludeva ad una nuova era: il dilagare dei mutamenti sociali anche indotti dai nuovi equilibri geopolitici mondiali e dalle nuove tecnologie che si stavano affermando. Quando questo periodo stava per declinare, agli inizi degli anni ’80, già lo sguardo era rivolto ad un passato prossimo nostalgico: in Spagna venne coniato il termine “desencanto” mentre in Italia la “classe operaia” stava diventando altra e diversa, gli studenti volevano diventare “pantere” ma non ci sono riusciti più di tanto. Infine, arriviamo ai primi anni ’90 e dilaga il Web, Internet, le mail, la comunicazione digitale e un nuovo secolo sta per cominciare.
Molti di questa generazione (come Bloggorai) non hanno un profilo Instagram, non smanettano TikTok, guardano poco le clip video su tablet o sul cellulare e a malapena usano FB. Usano tanto però Whatsapp perché, comunque, è uno strumento facile da gestire ed è certamente utile, quasi indispensabile. Questa generazione non comprende subito il significato di “hype”, “dissing” e “gringe” nonostante sia in grado di balbettare e comprendere due parole due in inglese.
Torniamo a ieri: questa riflessione di cui sopra ci aiuta a
porre la domanda che si aggira irrisolta. Perché
il (consueto) successo dei soli numeri di Sanremo? Come è possibile
interpretare/comprendere che la dose massiccia di cloroformio, di etere
mediatico, di torpore sociale diffuso con il lanciafiamme, riesce a tenere incollati
di fronte alla Tv un numero così elevato di telespettatori? Lasciamo
perdere i “giovani” con nuovi device perché, ci dicono, contano poco ai soli fini
della Total Audience. Si leggono e si ascoltano troppo facili e troppo banali
le risposte correnti. C’è qualcosa di più che non è facile rilevare. Il “popolo”
di Sanremo, come vi abbiamo dettagliato ieri, è composto da “un pubblico
molto adulto (over 45) prevalente femminile, residente più al Nord in
città di Provincia e mediamente istruito”. Un pubblico non ancora “anziano” ma
non più giovane, cioè collocato esattamente nel mezzo di quel cammino dove non sa
più se è meglio rivolgersi al recente passato o all’immediato futuro. Nostalgia
degli anni ’80 con i Duran Duran? Entusiasmo per i nuovi rapper o trapper “de
noantri”?
Da giorni ci ronza per la mente una
riflessione che si titola “educazione sentimentale”. Si tratta di una riflessione
che ha più punti interrogativi che esclamativi. I grandi fenomeni di mutazione
sociale e culturale richiedono tempo, molto tempo per essere evidenti e
rilevanti. Fermo restando che siamo sempre nel campo delle scienze della comunicazione,
viene facile ritenere che siamo in presenza di un “pubblico” televisivo (si tratta pur
sempre di una parte del tutto che consiste in oltre 20 mln di persone in prima
serata) che, occasionalmente in presenza di Sanremo, esprime e svela i suoi
caratteri dominanti che, nel resto dell’anno, rimangono diluiti e sottotraccia.
È un pubblico “educato” televisivamente da tempo ai buoni sentimenti della
leggerezza, al frivolo, al fotoromanzo, alla cronaca nera, al taglia e cuci che
si espande financo alla politica. In poche parole, il “successo” di Sanremo
c’è sempre, è parte intrinseca, dinamica e costante dell’ascolto televisivo e
del comportamento sociale per 360 giorni l’anno che poi emerge, si esprime e si
rappresenta nei 5 giorni restanti e magari successivamente si trasforma in voto
politico.
La domanda è semplice: c’è relazione tra i “successi” di Sanremo e il consenso
politico?
Ieri vi abbiamo
scritto di un “ordine di scuderia” che vorrebbe questo Sanremo che “aveva ed
ha un compito ben definito: sopire, troncare e addormentare prima possibile e
con forti dosi di bromuro. La “politica”, il Governo, in questo specifico
momento non ammette traumi, non consente “rotture” o frizioni che dir si voglia
e l’ordine di scuderia è partito forte e chiaro: dentro, intorno e fuori il
Festival fate quello che volete ma non piantate grane, portate a casa i soldi
della pubblicità e zitti e buoni”. Sembra esserci “assonanza” quindi tra il
Festival e il “clima” politico che si respira.
Si tratta poi pur
sempre di quel pubblico che in Rai, ad esempio, sostiene prodotti “vintage”
come le ennesime repliche di Montalbano o Don Matteo, del gossip delle varie
domeniche pomeriggio o, peggio ancora, di quello che era Rai Tre con le tresche di qualche personcina “social”. A Mediaset
su questo tema sono più bravi: propongono la stessa “narrazione” con l’aggiunta
di un pubblico un po’ più giovane di Rai (differenza di circa 10 anni) che, non
a caso, poi rivede i suoi personaggi a Sanremo (De Filippi e i suoi ragazzi e
Gerry Scotti).
bloggorai@gmail.com
ps. abbiamo sempre le tre storielle da raccontare ... tenetelo a mente
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