Allora, con ordine: provate ad interrogarvi sul concetto di “modernità” e vedete cosa ne viene fuori. Bene che vada si entra in confusione con due concetti analoghi: modernizzazione e modernismo che non sono proprio la stessa cosa. Ma, senza addentrarci in meandri semantici e filosofici tanto interessanti quanto complessi, ci limitiamo solo ad una riflessione sul versante del tema proposto: televisione e modernità. Il Rapporto Auditel Censis, come peraltro anche l’ISTAT ha certificato, fotografa un Paese a velocità variabili e mutabili a seconda delle fasce sociali e delle aree di riferimento. Non viaggiamo tutti alla stessa velocità e nella stessa direzione verso la modernità: sappiamo benissimo che, ad esempio, la Rai si rivolge ad un pubblico “adulto” prevalentemente over 50 per quasi l’80% dei telespettatori (vedi Total Digital Audience) che, con la “modernità” nella sua eccezione più ampia ha poco a che vedere. Questi telespettatori, questa mattina sono stati definiti “Anziani, soli e periferici” privi di connessione alla rete e poco avvezzi a smanettare con i device di moda come Tablet e Smarphone. Se poi andiamo a scandagliare nei dettagli, il cosiddetto “digital divide” si acuisce sempre più tra le generazioni, le fasce sociali e le regioni del Paese. Il Report scrive di “Famiglie italiane con fragilità crescenti” ovvero “Sempre meno famiglie. Famiglie sempre più vecchie e famiglie sempre più povere”.
Ecco allora che i due termini “modernità e televisione” si dovrebbero o vorrebbero coniugare tra loro e invece sembrano correre ognuno lungo una loro traiettoria. La “modernità” si vorrebbe riferire alla tecnologia mentre la televisione alla società. Sembra che siamo ancora lontano dal “Piano Italia a 1 GBps” (peraltro parte organica del PNRR) che vedrebbe equamente distribuita tra Nord e Sud, tra grandi centri e piccole località la velocità e la stabilità di connessione alla Rete (un capitolo a parte il tema rete Unica). La televisione, almeno quella generalista e, segnatamente, quella del Servizio Pubblico, arranca tra gli archivi e le Teche Rai con la Nonna del Corsaro nero o le repliche di Montalbano e le speranze di gloria che vengono dagli ascolti stratosferici del calcio (ieri oltre 16 mln) in attesa del prossimo Sanremo.
Ci sorge il sospetto che la “modernità” sia rivolta a pochi ma buoni e che la Rai, il Servizio Pubblico, se pure volesse, non è in grado di sostenere lo sforzo ideativo, progettuale e produttivo in grado di estendere questa dimensione a tutto il suo pubblico, indifferenziato per età, condizione sociale e regione di riferimento. Ad essere generosi si potrebbe pure sostenere che avviene suo malgrado, almeno per la sola parte economica: non ci sono soldi in cassa e quelli che ci sono, bene che vada, arrivano a “pareggiare il bilancio” come piace tanto sostenere a qualcuno del VII piano di Viale Mazzini.
Bene. Ora veniamo a quanto vi ho accennato ieri che non c’entra nulla con i nostri soliti temi ma che ci ha colpito assai: abbiamo incontrato una persona molto, molto particolare. Avete mai incrociato gli occhi con un killer, con un professionista “istituzionale” dell’omicidio? Parliamo di un “cecchino” o per meglio definirlo un “tiratore scelto” cioè di una persona addestrata, curata e formata per uccidere con “un colpo solo” perché, come ci ha detto “… solitamente non c’è tempo per un secondo colpo”. È stata un’esperienza, una conoscenza alquanto inquietante, e non era un film, era davanti a me un “giovane” semplice e garbato, quasi sereno e pacato, sottotono, ma pronto ad obbedire quando gli è stato chiesto di “colpire con un colpo solo”. Meriterebbe un blog a parte.
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