domenica 4 dicembre 2022

La Rai malinconica come il resto del Paese? Forse anche si

Foto di Leroy Skalstad da Pixabay

Oggi vi proponiamo una storiella e una riflessione. Passeggiando si fanno incontri occasionali, si vede gente, si osserva, si scruta e si annota. Stamattina, da lontano, vedo un volto conosciuto e anche lui mi riconosce: un abbraccio tra vecchi colleghi più che amici. Quanto eravamo sotto lo stesso tetto di Viale Mazzini ci siamo frequentati: un caffè, due chiacchere e poco più. Comunque, ci eravamo simpatici. E così allo sesso modo oggi ci siamo rincontrati, dopo qualche anno, da quando sono uscito dalla Rai. Le solite battute sul “come va” che fai etc. Quando è stato il suo turno si è aperta una voragine che cerco di riassumere sommariamente: “Cosa faccio in Rai? Nulla ..rigorosamente nulla … vado in ufficio, leggo i giornali, faccio qualche telefonata, controllo la mail, vado al bar. Era così già da prima del Covid e adesso ancora di più. Si sono dimenticati che esisto. Il mio direttore è cambiato recentemente e del mio settore non sapeva, e non sa, rigorosamente nulla. I primi giorni ho provato a spiegargli qualcosa, visto che sono oltre 20 anni che mi occupo di questo ambito. All’inizio sembrava recettivo. Poi, piano piano, si distaccava sempre più e dava, da tutt’ora, visibili segnali di disinteresse perché, abbiamo saputo, è in attesa di altro incarico e questa occupazione, per lui, è solo una tappa in transito. Non gli frega rigorosamente nulla del settore e, giù a scendere, anche a noi tutti è arrivato il segnale forte e chiaro: ognuno per se e Dio per tutti. Così la mia vita in Rai, tutto sommato, è gradevole: arrivo quando voglio (la mia posizione me lo permette), faccio rigorosamente i miei affari e ne ho pure tanti. Se poi qualcuno in Azienda si ricorda che esisto va bene, altrimenti va bene lo stesso. Ha fatto un rapido calcolo: mi mancano circa due anni a quando potrei andare in pensione. Se poi arriva un incentivo lo prendo in seria considerazione”. Interrompo un fiume in piena e gli chiedo, semplicemente “Ma come stai dentro, cosa provi, in che stato d’animo sei?”. Lo sguardo è valso più di mille parole. “Se ti devo dire che sono felice …no!!! Avrei e posso tutt’ora essere utile: ho esperienza e capacita professionale, conosco l’Azienda da oltre 30 anni. Ma, evidentemente, non è questo ciò che occorre. Anzi, e me lo confermano altri colleghi nelle  mie stesse condizioni. Il Covid ha spianato tutto: ha messo in evidenza tutto l’inutile e il superfluo che c’è in Rai. Basta, finiamola così … dovrei ammettere che tanta gente dovrebbe andare a casa e mi dispiace pensarlo… tutti hanno famiglia”. Ha interrotto il racconto bruscamente. Ci siamo salutati con un filo di malinconia, ripensando alla Rai che forse non c’è più, se mai c’è stata una Rai buona e una cattiva. Sottinteso: noi eravamo la Rai buona e questi ora sono quelli della Rai cattiva.

Bene, a questo punto dobbiamo riprendere un sostantivo che abbiamo appena scritto: malinconia. È stato utilizzata come pietra miliare per descrivere lo stato “mentale” (oltre che sociale, politico, economico etc) del Paese nell’ultimo Rapporto Censis presentato nei giorni scorsi e alquanto ignorato nella stampa nazionale. Leggiamo : “Quella del 2022 non è una Italia sull’orlo di una crisi di nervi: si cerca una profilassi per l’immunizzazione dai pericoli correnti. Ma i meccanismi proiettivi, che spingevano le persone a fare sacrifici per essere migliori, adesso risultano inceppati e la società indulge alla malinconia.  Che significa esattamente questo temine e perché potrebbe riassumere il sentimento nazionale alla fine dell’anno in corso? Dalla Treccani leggiamo : “μέλας «nero» e χολή «bile», propr. «bile nera»; cfr. atrabile]. Pensiero, avvenimento, ricordo che rende tristi, depressi”. Leggiamo poi che Ippocrate considerava la “malinconia” come derivato della prevalenza di uno dei quatto “umori” presenti negli organismi umani ovvero  sangue, acqua, bile gialla e bile nera. Per ognuno di essi si riconducono quattro “toni” mentali e corrispondenti atteggiamenti: sanguigno, flemmatico (da flegma), collerico e, appunto, melanconico. Brutalmente e semplificando: lo stato melanconico è tipico dell’umore nero.

Il Censis, ha colto nel segno: la grande mutazione genetica in corso nella società italiana è il frutto di grandi tensioni dalle quali è difficile sfuggire: la pandemia, la guerra, l’economia e l’assenza (o forse la percezione di essa) di un disegno strategico in grado di fornire coesione sociale, identità individuale e collettiva. Molti anni addietro lo scrisse bene De Rita: “Un Paese in mezzo la mare con le vele spente e senza direzione verso cui andare”. Ognuno si salva come può: ci si ritira nei comodi rifugi che ognuno è in grado di costruire e poi speriamo che possa andare meglio.

In questo clima, con questo quadro, c’è da essere entusiasti e ottimisti? All’apparenza poco: tant’è che sempre il Censis ci dice che gli italiani sono molto preoccupati  per oltre il 50% della possibilità che possa iniziare una guerra mondiale e scoppiare una bomba atomica.

Ovviamente, direbbe Fuortes, ci incuriosisce molto riflettere su come e su quanto questo sentimento nazionale viene espresso, riflesso e raccontato dalla Rai. Ovviamente, la malinconia non è misurabile con l’Auditel  e non esistono altri metodi di valutazione. Si tratta solo di sottili percezioni, di vaghe intuizioni, di leggere sensazioni: in questo esatto momento la Rai non ha un progetto, non ha un nuovo Contratto di Servizio e un nuovo piano Industriale. Non solo non si sa se e quando li potrà avere ma nemmeno di quale segno potranno essere: sopravvivere con il “pareggio di bilancio” o sviluppare rischiando oltre la siepe?

Avvertiamo anche noi un certo senso di malinconia.

bloggorai@gmail.com

Nessun commento:

Posta un commento