Il Popolo di Bloggorai è insorto: nonostante Ferragosto che incombe sono accorsi numerosi, frementi, vibranti, alcuni ululanti con i forconi, incavolati come bisce mentre altri invece sereni, pacati, riflessivi e propositivi. In molti, inaspettati, hanno risposto alla Supercazzola di genere Dubitativo. L’accordo Rai con Sky che ha previsto la “cessione” di Rai Play in cambio di X milioni di “visualizzazioni” è più vantaggioso per Viale Mazzini o per il suo concorrente diretto sulla piattaforma satellitare (e non solo su quella)? Chi ci ha guadagnato e chi ci ha rimesso?
Il Popolo Bloggorai più o meno si è diviso in due schieramenti: da un lato chi grida allo scandalo al Sole perchè, di fatto, si configura come una abdicazione di sovranità sul proprio territorio fatto di una library importante e di assoluto valore strategico dove pure su Sky, ben che vada, appare come una “App” insieme a tante altre. Dal fronte opposto si sono schierati quanti sostengono che “è necessario esserci” perché in quel territorio ci sono i telespettatori che altrimenti Rai non riesce a intercettare. Cosa che pone una ulteriore riflessione non di poco conto: il pubblico Rai è digitale terrestre sempre più “anziano” e il pubblico “giovane” sempre più “connesso” alla rete.
Lo scambio dunque ha previsto, in buona sostanza, Contenuti vs Telespettatori. Quanto valgono, come si pesano i primi rispetto ai secondi? Quali considerazioni sono alla base di questo accordo? C’è stata pure una parte economica? È stato quantificato qualche “valore”? Abbiamo cercato di capirlo, di chiedere, di sapere ma senza risultato. Attenzione: siamo nell’ambito di un modello di fruizione di televisione tutto ancora da interpretare e decifrare seppure molto è già noto: siamo nell’arena dello streaming , della Tv connessa, del broadband cioè esattamente quell’area dove Rai è più debole e meno esperta oltre che essere pure l’area di minore “rilevanza sociale”. In questa arena si combatte corpo a corpo e non si fanno prigionieri Fintanto che l’accesso alla rete sarà pay e il digitale free la partita è impari: per vedere i prodotti Rai è sufficiente pagare il canone di 90 Euro, per vedere Sky devi pagare 39,80 Euro al mese. Evidente però che non è solo un problema di costi ma di natura e cultura del “prodotto Tv” dove nell’ambiente televisivo di Servizio Pubblico ci sono presupposti di natura culturale e sociale che nell’ambiente commerciale non ci sono. Nell’ambiente pubblico ci sono regole, leggi e regolamenti, che nell’ambiente privato non ci sono o hanno meno forza cogente. Infine, si aggiunga un piccolo fattore non del tutto irrilevante: Rai oggi paga un salato canone di noleggio della CDN (a vaga memoria, ricordiamo circa 6mln/anno) e da tempo si dibatte l’opportunità se è più conveniente esserne proprietari o invece pagare un salato canone di noleggio. Argomento tabù. Tutti tacciono.
In soldoni: la sensazione che non sia stato un grande affare vantaggioso per Rai resta forte e gli argomenti del Popolo del si all’accordo non ci appaiono del tutto convincenti.
Andiamo avanti. Siamo in piena campagna elettorale e anche qui stiamo cercando di capire quanto “pesa” in termini di consenso il tema Rai nella comunicazione politica. Al momento, per quanto sappiamo, solo la Lega si è esposta riprendendo il suo argomento di battaglia noto da anni: aboliamo il canone e non occorre molta fantasia ad immaginare che anche qualche suo alleato possa essere d’accordo. Di Calenda sappiamo che ha un sogno nel cassetto del tutto aderente alla sua natura/cultura: privatizzare la Rai. Del PD sappiamo che fa il PD: cioè nulla. Amen. Eppure sappiamo che in Commissione lavori pubblici del Senato giacciono silenti e dormienti ben sette propose di Legge di revisione della Governance Rai … eppure sappiamo che, prima o poi, si dovrà pur decidere se e come verrà riscosso il canone Rai a partire dal 20233 (salvo rinvio all’anno successivo). Nel frattempo, sembra che i partiti ritengono meglio non toccare l’argomento: materia incandescente che potrebbe porre più problemi di quanti ne risolverebbe.
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