lunedì 29 agosto 2022

FLASH: Solidarietà al Cavallo di Viale Mazzini ...merita di meglio

Foto di Ivan Ilijas da Pixabay

Ci prendiamo la briga, sul far della notte che incombe, di scrivere queste povere e scarne righe fresche fresche, dopo uno scambio rapido di battute e autorevoli commenti, per ricordare una serata che entrerà negli Annali della Storia della Rai e del suo Cavallo. 
Lo facciamo con un certo rammarico perché la persona potrebbe meritare ben altra considerazione anche se poi, si sa, siamo tutti umani, è facile cadere preda delle lusinghe, del “progetto politico” (e del lauto guadagno) etc etc . Ci riferiamo alla trasmissione su RaiTre di stasera lunedì 29 agosto alle 20.30 condotta da Marco Damilano. Sintesi: povera e piccola cosa nei contenuti e nel metodo narrativo. Le immagini sono parte del linguaggio e lo sguardo dice molto di più della parola: modeste e già viste le prime (il piccolo paese dimenticato) e dimesso il secondo con gli occhi spesso da un’altra parte rispetto alla telecamera.

Se nel retro pensiero occulto, celato e mai espresso, si voleva fornire una esatta rappresentazione della Rai in questo preciso momento storico lui è la sintesi visiva perfetta: il vuoto formato famiglia (anziana). Non un filo di tensione, non uno sguardo partecipato, non una venatura di attenzione: solo frasi intermezzate da qualche fotografia che non toccano né il cuore né la mente. Ma forse non si voleva e si doveva fare di più. In quei pochi minuti si è posto il tema di chi non andrà a votare: è stata data una buona risposta.

Comunque, tanto per non tirarla troppo a lungo e pure per il rispetto che merita La Mossa del Cavallo, sia per il celebrato autore e sia per il significato nella nobile arte degli Scacchi (chissà se Damilano sa giocare?)   merita la citazione del passaggio forse più rappresentativo da utilizzare, forse, da chi non ha capito bene di dove si trova e di cosa significa quel cavallo su Viale Mazzini. Una metafora perfetta per il personaggio e la rappresentazione scenica.

"C'era sì un òmmo, ma non stava appostato. Era stinnicchiato in terra a pansa a l'aia, le braccia in croce, una larga macchia di sangue nella parte alta del petto, proprio sott'a-a gòa. D'istinto si mise a correre verso l'òmmo, poi si fermò,  paralizzato. Mai prima aveva veduto a uno sparato, mai aveva veduto tanto sangue. Ripigliò a muoversi squaexi in ponta de pé, e zenogge mòlle. Quando fu a pochi passi sentì il rantolo, o meglio una specie di fischio rauco interrotto da gorgoglii raschiosi. Non era una fìmmina, come a un certo momento gli era parso, ma un parrino, aveva scangiato a sottann-a pe de fàdette.

S'inginocchiò allato al ferito, cavò dalla sacchetta il mandillo, cercò di tamponare col fazzoletto il pirtuso che quello aveva tanticchia più sotto del pomo d'Adamo. Il cappello del prasve era rotolato poco distante. Giovanni era infracidato di sudore, non sapeva che fare. L'aiutò il parrino stesso, raprendo gli occhi che prima teneva serrati e tarlandolo fisso. Fu allora che Giovanni lo riconobbe: era il famoso patre Carnazza che uno dell'Intendenza gli aveva fatto conoscere e del quale gli aveva tanto parlato il cugino Fefè.

Il parrino, sempre tallendolo, cercò d'articolare qualcosa.

«Spa... ato... spa... iiii... ato...»

Spaiato? Che veniva a significare? Forse voleva dire "sparato".

Passò una mano sotto la testa del ferito, tenendogliela leggermente sollevata. Di colpo il parrino gli artigliò la mano dritta, che Giovanni teneva a mezz'aria non sapendola dove posare, e la tirò verso di sé, costringendolo ad avvicinare la faccia alla sua. Ma doveva avere fatto uno sforzo enorme perché richiuse gli occhi esausto. Giovanni pensò che fosse morto, però la stretta del ferito era ancora forte. Il parrino riaprì gli occhi e tentò ancora di parlare.

«Mo... ro... mo... ro... cu... scinu... Fu... fu... moro... cuscinu...»

«Vuole un cuscino?» gli spiò Giovanni intordonuto.

«Ffffff... aaaaaa... nnnnnn... cu...lo» disse il parrino lasciandogli la mano. Chiuse gli occhi, piegò la testa di lato e morì.

Era mai possibile che un prasve, per quanto farabutto, in punto di morte lo mandasse a fare in culo? No, non era possibile, chissà cosa aveva voluto dire, aveva capito male.

«Padre! Padre!» lo chiamò scuotendolo.

L'altro non rispose. O non aveva più sciòu pe parla o non voleva asgreià parole con uno che non ci capiva una minchia. O era morto? Gli toccò, inorridito, il polso. Non batteva.

Che stava a fare ancora lì? Si susì, si levò il mantello, cummigliò il corpo del parrino, corse al cavallo, montò e al galoppo si diresse a Montelusa”.

bloggorai@gmail.com

ps: abbiamo fatto il solito sondaggio fatto in casa formato “lettori Bloggorai”: ve ne daremo conto

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