Chi vi scrive può vantare un piccolo privilegio: sotto casa c’è uno storico bar, di passo e di quartiere, dove ci si incontra, si prende il caffè la mattina o il the nel pomeriggio, dove molti giovani vanno a studiare, altri fanno affari o si incontrano semplicemente per un saluto e dove ci si scambia il consueto saluto “come va?”. E' vicino all'edicola. Il luogo è ben arredato, ampio e confortevole e dotato di due giornali buoni per tutti: il Messaggero e i Corriere dello Sport. È un luogo di “passo” perché si trova lungo una strada molto trafficata, si parcheggia facilmente, ha i tavoli anche all’aperto dove anche in pieno inverno ci si siede volentieri. È un luogo di “quartiere” perché ne rappresenta una sua identità. È accanto ad un teatro (chiuso da tempo) e vicino ad una libreria. Vicino scorre una pista ciclabile. A pochi metri c’è il mercato coperto dove, al suo interno, hanno avuto la brillante idea di aprire una specie di “mensa” dove con 5 euro si mangia un eccellente piatto di pasta (consigliata la matriciana). Insomma, un bel quartiere. Come tanti altri luoghi, come tante altre situazioni, come tante altre parti del Paese dove si è e si cerca di essere normali, nonostante le difficoltà, nonostante la pandemia.
Cosa c’entra tutto questo con il Servizio Pubblico, con la Rai? C’entra, c’entra … e come se c’entra. Perché in un luogo normale, chiamatelo Paese, si agisce in modo normale. Perché quel luogo che via abbiamo descritto cerca di essere un luogo “normale” dove si rispettano le leggi, le disposizioni, i regolamenti e ci si aspetta che questo valga per tutti, senza eccezioni pretestuose o deroghe fantasiose. Se a tutti noi è vietato prendere il caffè seduti al bar sotto casa, se a tutti noi è vietato andare allo stadio a vedere una partita, se a tutti noi è vietato andare a trovare una persona cara, anziana e forse pure ricoverata in una RSA, se a noi tutti è stato vietato di andare tutti insieme alla Messa di Natale, se a tutti noi è vietato andare a scuola o al lavoro come avveniva prima del Covid, se infine, a tutti noi, è vietato abbracciarci, baciarci e stringerci le mani per un saluto … per quale dannato motivo dovrebbe essere lecito fare un’eccezione per Sanremo?
Per fare scelte importanti però ci vuole coraggio. Ci vuole tanto coraggio anzitutto perché un problema del genere non deve essere affrontato tra un agente di spettacolo e l’AD di un’Azienda pubblica come la Rai. Semmai, l’incontro ci sarebbe dovuto essere prima con il Prefetto locale Alberto Intini, che oggi leggiamo gli ha detto chiaro e tondo che non si può fare almeno fino al 5 marzo, giorno di scadenza del DPCM in vigore che “non consente spettacoli aperti al pubblico nei teatri e nei cinema anche all'aperto”. Se questo incontro fosse avvenuto per tempo, ci saremmo risparmiati tutta questa tarantella e magari si sarebbe potuto impegnare lo stesso tempo per immaginare qualcosa di diverso. Leggiamo pure che qualche fantasista, geniale, ha proposto un pubblico di “figuranti” regolarmente pagati. Follia, follia, follia: provate ad immaginare una finale di campionato di calcio con il pubblico di “figuranti” che ad ogni azione dell’una dell’altra squadra e quando avviene, su richiesta dell’allenatore, si alzano in piedi e urlano “gooollll !!!!”. Provate ad immaginare Sanremo, con i figuranti che su richiesta del Direttore di produzione (quello con la cuffia, sempre agitato ai lati del palcoscenico) ai alzano in piedi, applaudono e fanno la ola al temine dell’esibizione di Orietta Berti, ricordando i bei tempi di Quando la barca va .. lasciala andare...
In un certo senso, per paradossale che possa apparire ma no lo è, ha ragione Amadeus: lo spettacolo è tale se ha un suo pubblico, di presenza, che vive e partecipa le emozioni dello spettacolo stesso, sia esso sportivo, teatrale, cinematografico o di qualsiasi altro genere. Ma Sanremo è Sanremo anzitutto per la sua rilevanza televisiva: cosa sarebbe senza le telecamere di RaiUno che lo diffondono in Italia e nel mondo? Sarebbe stato poco più di una sagra di paesello ricco e fortunato per la sua posizione geografica. Se questo è il termine del problema, cioè la dimensione mediatica universale, ci sono solo due possibilità entro le quali scegliere: o si accettano le drammatiche regole imposte dall’emergenza Covid e almeno fino al 5 marzo non si fa nulla, oppure si propone un evento esclusivamente televisivo, cioè senza pubblico di alcun genere, senza giornalisti, senza assembramenti di alcun tipo, interni o esterni al teatro. Tanto per dare un’idea: lo scorso anno sono state rinviate le Olimpiadi, e nessuno ci venga a dire che si sarebbero potute fare lo stesso mentre nel resto del mondo il Covid imperversava mietendo vittime a migliaia.
Ancora una volta, domandiamo: i fini strateghi, i grandi comunicatori di Viale Mazzini ce la fanno a dare una prova di coraggio e di senso pubblico del loro lavoro? Con un pizzico di impegno, ce la potrebbero anche fare e magari, prima della fine del loro mandato, lasciare segno positivo del loro passaggio al VII piano di Viale Mazzini. Forza, dai … magari ce la fate … coraggio !!!
bloggorai@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento