Sulla stampa di oggi, tanto per cambiare, pressoché nulla di
significativo e allora tanto vale fare un passo avanti su alcuni temi che stiamo
seguendo con attenzione.
Ieri abbiamo omesso di citare una dichiarazione di Dario
Franceschini, ministro della cultura PD e influente e papabile a tanti
incarichi, rilasciata a Il Foglio “A volte si ha l'impressione che emittenti
private come La7 facciano più "servizio pubblico" della Rai che
incassa il canone. "Io sono da sempre per una Rai pubblica e mi rallegro
che sia stata accantonata ogni idea di privatizzazione. Certi settori vanno sottratti
alla dittatura dello share. Mi aspetto che la Rai investa di più e meglio in
cultura. Altre tv possono scegliere la cultura come ragione commerciale o
vocazionale ma restano aziende private. Per la Rai è la ragione sociale".
Ecco, appunto quale è e quale dovrebbe essere la “ragione sociale”,
ovvero la sua missione, in un contesto ormai sostanzialmente mutato da quello
già di alcuni anni passati? Credo ci siano pochi dubbi sul fatto che la
tipologia dei contenuti, i generi televisivi, siano sostanzialmente mutati e
mutanti rispetto al mercato di riferimento e ai diversi atteggiamenti di
consumo di chi li fruisce. Nonché, è bene ribadirlo, rispetto alle diverse
piattaforme tecnologiche. Questo argomento ci porta ad aggiustare il tiro su alcune
riflessioni che abbiamo proposto nei giorni scorsi a proposito di rete unica,
DVB-T2, 5G e quant’altro. Argomenti sui quali, peraltro, alcuni lettori hanno sollevato
obiezioni di vario genere.
Allora in ordine: insistiamo sul DVB-T2 perché senza mezzi
termini la consideriamo una minaccia
grave, incombente, oggi, subito, immediata, per il futuro della Rai e perché
comunque con la mancata comunicazione al pubblico viene disatteso un preciso
obbligo del Contratto di servizio al quale nessuno ha diritto di opporsi. Continuiamo
a seguire la partita sulla rete unica perché rappresenta una grande opportunità
per la Rai di entrare in un mondo nel quale finora è stata marginale e che invece
rappresenta una grande opportunità.
Detto questo, proponiamo un piccolo passo
avanti: le tecnologie di diffusione non sono neutre rispetto ai prodotti
editoriali. Linguaggi, modalità espressive, e quindi contenuti viaggiano di
pari passo con il contesto di riferimento al quale sono destinati. Tanto per
intenderci: il genere intrattenimento leggero, quello del sabato sera destinato
al grande pubblico di prima serata, non è indifferente se viene trasmesso in
digitale terrestre o sulla rete in streaming come pure non è indifferente se il
pubblico lo fruisce su un tablet o smartphone o sul classico schermo tv di
casa. Alcune settimane addietro un nostro lettore ci ha scritto sostenendo fortemente
che “la televisione è ciò che manda in onda … tutto il resto è accessorio”. Poniamo
l’interrogativo se invece possa essere vero il contrario: “la televisione è il
modo tecnologico con il quale viene fruita e il contenuto è subordinato (non irrilevante)”. In altre parole:
si produce in funzione di come, dove e quando verrà consumato il prodotto televisivo.
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