lunedì 21 settembre 2020

La Rai aspetta Godot


Oggi saremo tutti concentrati sugli esiti della consultazione elettorale e referendaria. Difficile immaginare che, quali che essi siano, non sortiranno effetti sul quadro politico e, di conseguenza, difficile immaginare che questi possibili mutamenti non possano influenzare il percorso di trasformazione del sistema delle TLC.

Se andate a rileggere il post di sabato, trovate la notizia sulla data (appunto il 19 settembre) entro la quale gli Stati membri dell’UE avrebbero dovuto recepire nei loro ordinamenti la direttiva del 2018 sui servizi media audiovisivi. Cosa che, ovviamente, non è avvenuta e non è affatto chiaro quando potrà avvenire (forse la settimana prossima in Aula della Camera). Il ministro Patuanelli ha ricordato, lo scorso 4 settembre, che entro il 31 dicembre si dovrà completare l’iter di ratifica del Testo unico sulle radiotelevisioni (TUSMAR) oggi ancora fermo al Senato. Si tratta di un argomento sul quale dobbiamo studiare e comprendere bene quali potranno essere gli impatti per il Servizio Pubblico.

Intanto però il calendario corre implacabile e questa mattina ce lo ricorda una pagina del supplemento economia del Corriere, a firma Maria Elena Zanini, con il titolo “Poche frequenze ma di qualità la next generation della tv digitale” e leggiamo “«Dal punto di vista degli utenti questo cambiamento porterà un concreto miglioramento della qualità visiva e sonora. Ma in Italia c'è ancora un'alta percentuale di televisori che non sono in grado di supportare un livello tecnologico così alto. Su un totale di 40 milioni di apparecchi, stando alle rilevazioni fatte dall'Auditel per le prime case, 9 milioni non supportano ancora l'Hd. Per i broadcaster è importante riuscire a raggiungere anche questa fetta di utenti». «C'è giusto il tempo necessario per comunicare agli utenti che avverrà lo spegnimento di alcune frequenze, in modo che sostituiscano il televisore o che comprino un nuovo decoder. L'obiettivo è che il passaggio al nuovo digitale terrestre sia il più indolore possibile”. Che possa essere niente affatto indolore è quindi assolutamente chiaro. 

Rimane oscuro invece il silenzio tombale che Rai anzitutto continua ad ostentare su questo tema, mascherandosi dietro un imbarazzante “… dobbiamo agire in coordinamento con il MISE” che nessuno (vedi Contratto di Servizio) gli ha mai chiesto di fare. In altre parole, il MISE agisce con un logica “politica” e di compensazione delle parti in causa dove gli interessi del Servizio Pubblico potrebbero non essere per nulla coincidenti con gli altri soggetti, cioè, in soldoni, ognuno per se e Dio per tutti. Questo argomento, traslato modo, si riferisce anche alla partita banda larga che, negli ultimi giorni, sembra avere preso un aderiva “lenta”, annacquata dall’eterno indecisionismo di chi non riesce a decidere da che parte stare.

Ma torniamo su un tema che lambisce il cambiamento legislativo, il percorso delle riforme e l’innovazione tecnologica. Possiamo tutti convenire che da alcuni anni è in corso una profonda trasformazione delle abitudini, dei linguaggi, degli stili di vita  e dei comportamenti di chi fruisce dei servizi audiovisivi. Non parliamo quasi più di “telespettatori” ma di consumatori di tempo speso con un device in modo non lineare. Parliamo di un pubblico fortemente frammentato e sostanzialmente diviso in due grandi  schieramenti: da un lato gli affezionati ad un prodotto televisivo tradizionale (Un posto al sole, Montalbano etc…) tendenzialmente persone mature e poco inclini al cambiamento. Dall’altro le nuove generazioni ormai cresciute in piena era non lineare che hanno modificato il senso stesso del termine palinsesto. Questi processi stanno incidendo sulla produzione dei contenuti che contendono sul mercato proprio per la loro intrinseca capacità di intercettare “nuovi pubblici” ed erodere costantemente la platea dello storico “telespettatore”. Il problema è che questi nuovi contenuti, questi nuovi prodotti, destinati ad un nuovo mercato, rivolti ad un nuovo pubblico, stentano ad apparire anzitutto sul Servizio Pubblico e, in parte, anche in casa Mediaset.  A gennaio 2019 era stato varato il Piano industriale e, al suo interno, erano previste due nuove direzioni: Rai Format e Rai Doc con l’obiettivo di essere di stimolo all’industria creativa italiana etc etc… Come pure sarebbero dovuti nascere i canali istituzionale, quello inglese e quello “femminile”. È pur vero che il Piano industriale è stato congelato, ma rimane il fatto che di idee nuove non ne è venuta fuori neanche una tirata via con le tenaglie.

Avete presente quelli che viaggiano in autostrada occupando costantemente la corsia centrale che vengono superati a destra e sinistra, con grave pericolo per tutti? Ecco, la metafora usata giusto per dire che la Rai si troverà esattamente nella stessa posizione: da un lato superata dalle nuove tecnologie, dalle nuove regole del mercato nazionale e internazionale, mentre dall’altro si troverà povera di proposte editoriali, di contenuti, di idee.

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