Oggi saremo tutti concentrati sugli esiti della
consultazione elettorale e referendaria. Difficile immaginare che, quali che essi
siano, non sortiranno effetti sul quadro politico e, di conseguenza, difficile
immaginare che questi possibili mutamenti non possano influenzare il percorso
di trasformazione del sistema delle TLC.
Se andate a rileggere il post di sabato, trovate la notizia
sulla data (appunto il 19 settembre) entro la quale gli Stati membri dell’UE avrebbero
dovuto recepire nei loro ordinamenti la direttiva del 2018 sui servizi media
audiovisivi. Cosa che, ovviamente, non è avvenuta e non è affatto chiaro quando
potrà avvenire (forse la settimana prossima in Aula della Camera). Il ministro Patuanelli ha ricordato, lo scorso 4 settembre, che
entro il 31 dicembre si dovrà completare l’iter di ratifica del Testo unico
sulle radiotelevisioni (TUSMAR) oggi ancora fermo al Senato. Si tratta di un
argomento sul quale dobbiamo studiare e comprendere bene quali potranno essere
gli impatti per il Servizio Pubblico.
Intanto però il calendario corre implacabile
e questa mattina ce lo ricorda una pagina del supplemento economia del Corriere,
a firma Maria Elena Zanini, con il titolo “Poche frequenze ma di qualità la
next generation della tv digitale” e leggiamo “«Dal punto di vista degli utenti
questo cambiamento porterà un concreto miglioramento della qualità visiva e
sonora. Ma in Italia c'è ancora un'alta percentuale di televisori che non sono
in grado di supportare un livello tecnologico così alto. Su un totale di 40
milioni di apparecchi, stando alle rilevazioni fatte dall'Auditel per le prime
case, 9 milioni non supportano ancora l'Hd. Per i broadcaster è importante
riuscire a raggiungere anche questa fetta di utenti». «C'è giusto il tempo
necessario per comunicare agli utenti che avverrà lo spegnimento di alcune
frequenze, in modo che sostituiscano il televisore o che comprino un nuovo
decoder. L'obiettivo è che il passaggio al nuovo digitale terrestre sia il più
indolore possibile”. Che possa essere niente affatto indolore è quindi
assolutamente chiaro.
Rimane oscuro invece il silenzio tombale che Rai anzitutto
continua ad ostentare su questo tema, mascherandosi dietro un imbarazzante “… dobbiamo
agire in coordinamento con il MISE” che nessuno (vedi Contratto di Servizio)
gli ha mai chiesto di fare. In altre parole, il MISE agisce con un logica “politica”
e di compensazione delle parti in causa dove gli interessi del Servizio
Pubblico potrebbero non essere per nulla coincidenti con gli altri soggetti,
cioè, in soldoni, ognuno per se e Dio per tutti. Questo argomento, traslato modo,
si riferisce anche alla partita banda larga che, negli ultimi giorni, sembra avere
preso un aderiva “lenta”, annacquata dall’eterno indecisionismo di chi non riesce
a decidere da che parte stare.
Ma torniamo su un tema che lambisce il cambiamento legislativo, il percorso delle
riforme e l’innovazione tecnologica. Possiamo tutti convenire che da alcuni
anni è in corso una profonda trasformazione delle abitudini, dei linguaggi,
degli stili di vita e dei comportamenti
di chi fruisce dei servizi audiovisivi. Non parliamo quasi più di “telespettatori”
ma di consumatori di tempo speso con un device in modo non lineare. Parliamo di
un pubblico fortemente frammentato e sostanzialmente diviso in due grandi schieramenti: da un lato gli affezionati ad un
prodotto televisivo tradizionale (Un posto al sole, Montalbano etc…) tendenzialmente
persone mature e poco inclini al cambiamento. Dall’altro le nuove generazioni ormai
cresciute in piena era non lineare che hanno modificato il senso stesso del
termine palinsesto. Questi processi stanno incidendo sulla produzione dei
contenuti che contendono sul mercato proprio per la loro intrinseca capacità di
intercettare “nuovi pubblici” ed erodere costantemente la platea dello storico “telespettatore”.
Il problema è che questi nuovi contenuti, questi nuovi prodotti, destinati ad
un nuovo mercato, rivolti ad un nuovo pubblico, stentano ad apparire anzitutto sul
Servizio Pubblico e, in parte, anche in casa Mediaset. A gennaio 2019 era stato varato il Piano
industriale e, al suo interno, erano previste due nuove direzioni: Rai Format e
Rai Doc con l’obiettivo di essere di stimolo all’industria creativa italiana
etc etc… Come pure sarebbero dovuti nascere i canali istituzionale, quello
inglese e quello “femminile”. È pur vero che il Piano industriale è stato congelato,
ma rimane il fatto che di idee nuove non ne è venuta fuori neanche una tirata
via con le tenaglie.
Avete presente quelli che viaggiano in autostrada occupando
costantemente la corsia centrale che vengono superati a destra e sinistra, con
grave pericolo per tutti? Ecco, la metafora usata giusto per dire che la Rai si
troverà esattamente nella stessa posizione: da un lato superata dalle nuove
tecnologie, dalle nuove regole del mercato nazionale e internazionale, mentre dall’altro
si troverà povera di proposte editoriali, di contenuti, di idee.
bloggorai@gmail.com
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